Corte di Cassazione ordinanza n. 22449 depositata il 15 luglio 2022

anomalia motivazionale – accertamenti bancari – presunzione legale relative – onere della prova contraria

RILEVATO CHE

– N.D. – esercente attività di vendita al dettaglio di abbigliamento – proponeva distinti ricorsi avverso due avvisi di accertamento per IRES, IRAP e IVA, in relazione, rispettivamente, agli anni di imposta 2002 e 2003, emessi ex 32 e 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, con i quali erano stati recuperati a tassazione ricavi, accertati sulla base dell’esame delle movimentazioni sui conti bancari e postali;

– la CTP di Brindisi, con distinte sentenze (ciascuna relativa ad un anno di imposta), accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando i maggiori ricavi per il 2002 in € 14.437,85 e per il 2003 in € 31.177,00, ritenendo giustificati sia i versamenti che avevano come contropartita in avere il conto “Titolare c/c”, formatosi in anni precedenti con disponibilità non messe in discussione dall’accertamento, e tutti le operazioni riscontrate dalla documentazione prodotta dalla contribuente;

– la CTR della Puglia – sezione staccata di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 254/01/10 (relativa all’anno 2002) e l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 25/01/10 (relativa all’anno 2003), mentre accoglieva parzialmente l’appello incidentale presentato dalla contribuente avverso quest’ultima sentenza, ritenendo fondato il rilevato errore di calcolo e rideterminando, per l’effetto, il reddito per il 2003 in € 047,00;

– dalla sentenza impugnata si evince, per quanto interessa ancora in questa sede, che:

– la sentenza di primo grado aveva correttamente rideterminato gli importi da riprendere a tassazione, seppure con la correzione minima (pari ad € 130,00 in più) dovuta per il 2003, in quanto le movimentazioni che utilizzavano risorse provenienti dal conto “Titolare c/c” non necessitavano di giustificazione, essendosi formate in anni non oggetto di accertamento;

– la contribuente ha provato, per quasi tutti gli importi accertati per l’anno 2002, il riversamento di fondi dal conto c/o Poste italiane, cointestato con il marito (collaboratore dell’impresa familiare) al conto aziendale e, comunque, in ordine ai movimenti su detto conto l’Ufficio appellante non ha proposto alcuna censura specifica;

– per quanto riguarda le operazioni del 2002 e del 2003 sul conto c/o Poste italiane, cointestato con il padre, e del 2003 sul libretto di deposito c/o Poste italiane, intestato al marito e alla di lui madre, le stesse non apparivano collegate all’attività aziendale, per cui il recupero del 50% non era corretto, avendo, peraltro, la ricorrente dimostrato la provenienza della somma versata sul libretto cointestato al marito e alla suocera dal conto di quest’ultima;

– anche il versamento fuori conto del 2002 della somma di € 10.974,71, a prescindere dall’affermato pagamento di Ri.Ba, trovava la giustificazione nelle risorse prelevate dal conto “Titolare c/c”;

– per il 2003 restavano ingiustificate solo le operazioni pari a complessivi € 31.047,00;

– l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi;

– la parte intimata non si è costituita.

CONSIDERATO CHE

– con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli 32, comma 2, e 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, 2697 cod. civ., in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., censurando la decisione della CTR di riconoscere la giustificazione di movimenti finanziari privi di riscontro documentale;

– con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 cod. proc. civ. e 53 del d.lgs. n. 536 del 1992, 132 proc. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per violazione della disciplina della specificità dei motivi di appello e per difetto di motivazione, avendo la CTR erroneamente affermato che l’Ufficio non aveva specificatamente criticato le argomentazioni sul punto a) del 2002 (mancata giustificazione per i versamenti sul conto c/o Poste italiane cointestato con marito);

– con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli 32, comma 2, e 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, 2697 cod. civ., in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente affermato, sempre in relazione alla mancata giustificazione per i versamenti sul conto c/o Poste italiane cointestato con marito, che il riversamento di fondi dal conto cointestato con il marito al conto aziendale costituiva prova contraria idonea a superare la presunzione di ricavi;

– con il quarto motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli 32, comma 2, e 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, 2697 cod. civ., in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto giustificati i movimenti sui conti cointestati con familiari fondando la propria decisione sul solo dato dell’intestazione del rapporto, senza pretendere la prova contraria specifica anche quando la contribuente utilizzava il conto a lei intestato per movimentare denaro altrui;

– con il quinto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere ritenuto, con motivazione apparente, in relazione al versamento fuori conto indicato al punto c) dell’anno 2002, che l’utilizzazione del conto “Titolare c/c” fosse una prova idonea a superare la presunzione di maggiori ricavi aziendali, nonostante a sostegno di tale presunzione ci fosse un pagamento di Ba.;

– con il sesto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere ritenuto giustificati, con una motivazione apparente, la maggior parte dei movimenti bancari rilevati nell’anno 2003;

– i predetti motivi sono suscettibili di trattazione congiunta, in quanto la ricorrente lamenta in tutti la violazione delle norme tributarie disciplinanti l’utilizzo delle presunzioni negli accertamenti sui conti correnti bancari e la conseguente carenza di motivazione della sentenza impugnata sul punto;

– le predette censure sono fondate;

– come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;

– deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, ma anche nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;

– solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);

– la sentenza impugnata è affetta da tale grave vizio, avendo affermato in maniera apodittica il superamento da parte della contribuente della presunzione legale posta dagli 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, senza spiegarlo, con riferimento a ciascuno degli elementi probatori indicati dal contribuente e con specifico riferimento alle singole poste accertate come ricavi non dichiarati;

– secondo un indirizzo ormai consolidato di questa Corte, infatti, qualora l’accertamento effettuato dall’Amministrazione finanziaria si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rilevanza fiscale (Cass. nn. 22179/2008, 18081/2010, 15857/2016, 4829/2015); ciò vale anche in tema di IVA, al fine di superare la presunzione di imponibilità delle operazioni confluite nelle movimentazioni bancarie, posta a carico del contribuente dall’art. 51, secondo comma, numero 2, del DPR n.633/1972 (Cass. n. 21303/2013);

– la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dall’art. 38 del P.R. n. 600 del 1973, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; fermo restando che, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (Cass. n. 29572 del 2018);

– il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici e il giudice di merito deve “individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (Cass. 11102 del 2017), dando espressamente conto in sentenza delle risultanze di tale verifica;

– nel caso in esame risulta evidente che la CTR si è ingiustificatamente sottratta alle attività sopra descritte, non avendo illustrato per tutti i movimenti le ragioni della decisione assunta, avendo omesso di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuta alla propria determinazione;

il giudice di appello ha ritenuto, poi, che la provenienza di risorse da conti o depositi intestati o cointestati a familiari della contribuente (padre, marito, suocera) poteva giustificare la loro estraneità all’attività aziendale;

– tali affermazioni si pongono in contrasto con il costante orientamento di questa Corte, con riferimento tanto alle compagini societarie che alle imprese individuali, secondo il quale lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale è sufficiente a giustificare, fatta salva la prova contraria, la riferibilità alla attività economica della contribuente, assoggettata a verifica, delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari di tali soggetti (ex plurimis, Cass. 14.01.2015, n. 428 e Cass. 4.08.2010, n. 18083);

– e poi appena il caso di osservare che l’Amministrazione finanziaria non è esonerata affatto dalla necessità della prova presuntiva in ordine alla riferibilità all’impresa delle somme movimentate sui conti intestati ai terzi, ma tale prova va rinvenuta nel requisito di “serietà e gravità” dell’elemento indiziario costituito dallo stretto legame parentale che, valutato unitamente ad altri elementi significativi desunti dalle circostanze del caso concreto (quali, ad esempio, l’assenza di attività economiche svolte dagli intestatari o cointestatari di conti, idonee a giustificare versamenti e prelievi, sussistenza di un rapporto di collaborazione del soggetto intestatario del conto con l’impresa), converge alla formazione della prova concludente della condotta evasiva (Cass. 4.08.2010, n. 18083), dovendosi in tal caso ritenere sussistente l’inferenza tra il fatto certo (ingente movimentazione di denaro) ed il fatto ignorato (riferibilità delle movimentazioni all’attività imprenditoriale) e soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con conseguente spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente (Cass. 14.01.2015, n. 428);

– non essendosi la CTR attenuta ai suddetti principi, in accoglimento del ricorso, la sentenza deve essere dichiarata nulla e cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla CTR della Puglia – sezione staccata di Lecce, in diversa composizione;

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla CTR della Puglia – sezione staccata di Lecce, in diversa composizione.