Corte di Cassazione ordinanza n. 22452 depositata il 18 luglio 2022
TIA / TARSU – disapplicazione presupposto
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza n. 1983/17, depositata il 20 settembre 2017, la Commissione tributaria regionale della Toscana, ha accolto l’appello proposto da T. S.p.a., – così pronunciando in riforma della decisione di prime cure che aveva accolto l’impugnazione di dodici avvisi di accertamento, emessi relativamente alla Tariffa di igiene ambientale (TIA) dovuta dalla contribuente per le annualità dal 2006 al 2009, nella sola parte relativa all’Iva applicata sulla tariffa,- ed ha dichiarato «non assoggettabile a TIA la superficie nella quale vengono prodotti nel ciclo di lavorazione rifiuti speciali nonché le aree destinate a magazzino.».
1.1 – Per quel che qui rileva, il giudice del gravame ha ritenuto che:
- andava disapplicato il regolamento comunale, – approvato con la delibera di Consiglio 28 del 13 aprile 2004, – in quanto l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani era stata prevista senza predeterminazione di criteri quantitativi;
- la contribuente aveva dato prova dello smaltimento in proprio dei rifiuti speciali prodotti, a tal fine rilevando, dunque, la produzione dei MUD nonché che «una rilevante quantità dei rifiuti speciali prodotti dalla società contribuente, sono stati smaltiti affidandoli proprio alla ASCIT S.p.a. e pagando il relativo servizio a parte».
2. – ASCIT – Servizi Ambientali p.a. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria.
T. S.p.a. non ha svolto attività difensiva.
Fissato all’udienza pubblica del 15 febbraio 2022, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal d.l. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in I. n. 176 del 2020, e dal
sopravvenuto d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, c. 1, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositato conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, che non hanno fatto richiesta di discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. n. 22 del 1997, artt. 21 e 49, agli artt. 5 e 23 del regolamento TIA approvato dal Comune di Capannori con delibera di Consiglio n. 28 del 13 aprile 2004 nonché agli artt. 2697 e 2712 cod. civ.
Si assume, in sintesi, che non aveva fondamento il riconosciuto «esonero totale» dalla tariffa, in quanto:
- in forza delle adottate disposizioni regolamentari, l’Ente locale aveva disposto l’assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali prodotti dalla contribuente che, però, non aveva diritto ad alcuna riduzione tariffaria (sulla quota variabile) in quanto non aveva assolto agli oneri procedurali di regolamento (produzione di un’autocertificazione recante in allegato il MUD) volti a consentire all’ente impositore di calcolare, sul totale dei rifiuti (speciali e assimilati) prodotti, la percentuale di quelli avviati al recupero;
- la stessa effettiva destinazione d’uso delle superfici tassate era stata provata dietro produzione di una autocertificazione, e di una «perizia certificata e atto notorio» che era stata allegata ad una nota di variazione presentata (solo) in data 3 febbraio 2012 e, così, inapplicabile (retroattivamente) agli anni di imposizione (dal 2006 al 2009) cui gli avvisi di accertamento avevano riguardo;
- lo stesso quantitativo dei rifiuti speciali assimilati prodotti non dava titolo alla riduzione della quota variabile , ai sensi dell’art. 22 del regolamento, cit.
Il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di nullità della gravata sentenza «per contrasto tra motivazione e dispositivo», in relazione all’art. 111 Cost., all’art. 132 cod. proc. civ., ed al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 36, c. 2, n. 4, sull’assunto che, – nel mentre il dispositivo recava espresso riferimento alla «superficie» di produzione di rifiuti speciali nonché alle «aree destinate a magazzino», in quanto tali ritenute esenti dalla Tariffa, – nella motivazione della pronuncia non v’era alcuna specificazione di dette superfici, né l’esenzione, secondo dieta della giurisprudenza di legittimità, avrebbe potuto riferirsi al magazzino.
Soggiunge la ricorrente che, del resto, la controparte non aveva mai identificato, in corso di giudizio, le superfici ove si svolgeva il ciclo delle lavorazioni se non attraverso la produzione di una denuncia di variazione che, però, era stata inviata il 3 febbraio 2012 e, dunque, sinanche dopo la notifica degli avvisi di accertamento.
Col terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per mancanza di motivazione assumendo che rimaneva immotivata tanto la rilevata illegittimità del regolamento comunale quanto, – ed avuto riguardo alle ragioni poste a fondamento della pronuncia di rigetto della Commissione tributaria provinciale, – lo stesso accoglimento del gravame di controparte.
Il quarto motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 7, alla I. n. 2248 del 1865, AII. E, art. 5, ed all’art. 112 cod. proc. civ., assumendo la ricorrente che la disapplicazione delle disposizioni regolamentari era stata operata: – in difetto di uno specifico nesso tra rilevata illegittimità e contenuto dell’atto impositivo impugnato; – nonostante che il giudice amministrativo (TAR Toscana, 21 gennaio 2010, n. 985; Consiglio di Stato, 7 giugno 2017, n. 2730) si fosse già pronunciato «sulla legittimità del Regolamento», peraltro in giudizi nei quali la stessa odierna intimata era parte ricorrente; – in difetto di domanda di parte ricorrente.
2. – Secondo l’ordine logico delle questioni poste, va disatteso il quarto motivo di ricorso rispetto al quale deve premettersi che, nella fattispecie, non si era affatto formato il giudicato sulla legittimità delle disposizioni regolamentari oggetto di disapplicazione, e posto che i giudicati amministrativi evocati dalla ricorrente (T.A.R. Toscana, II, 20 aprile 2020, n.985; Cons. di Stato, V, 7 giugno 2017, n. 2730) avevano ad oggetto diverse deliberazioni di Consiglio comunale (involgenti il piano tariffario e le tariffe TIA per gli anni 2005, 2007 e 2008 oltreché connesse modifiche regolamentari).
Va, quindi, rimarcato che, secondo un consolidato orientamento interpretativo della Corte, il potere-dovere del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi costituenti il presupposto dell’imposizione, – potere che è espressione del principio generale, espresso dalla l. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, allegato E, dettato dall’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione in giudizio di tali atti solo se legittimi (d.lgs. n. 546 del 1992, art. 2, c. 3, e art. 7, c. 5), – può, in effetti, essere esercitato – anche d’ufficio, ed indipendentemente dall’avvenuta impugnazione dell’atto avanti al giudice amministrativo, trovando esso limite esclusivamente nell’eventuale giudicato amministrativo diretto di affermata legittimità dell’atto, – a condizione che gli atti in questione rivestano rilevanza (incidentale) ai fini della decisione e, dunque, in quanto siano stati investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo impugnato (v., ex plurimis, Cass., 28 novembre 2019, n. 31112; Cass., 17 giugno 2016, n. 12545; Cass., 13 giugno 2012, n. 9631; Cass., 4 maggio 2012, n. 6724; Cass., 10 giugno 2008, n. 15285; Cass. Sez. U., 18 aprile 2016, n. 7665).
3. – E’, però, fondato, e va accolto, il primo motivo di ricorso, dal cui esame consegue l’assorbimento del secondo e del terzo motivo.
4. – Il d.lgs. n. 22 del 1997, art. 49, 3, dispone che la tariffa di igiene ambientale (cd. TIA) «deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale.».
4.1 – Per quanto sia stata rilevata una sostanziale continuità regolativa col previgente règime impositivo, – costituendo la TIA «una mera variante della TARSU» già disciplinata dal d.lgs. n. 507 del 1993, della quale ha conservato la qualifica di tributo propria di quest’ultima (così Corte Cast., 24 luglio 2009, n. 238), – ciò non di meno lo stesso Giudice delle Leggi, e la Corte, hanno avuto modo di rimarcare alcune peculiarità applicative della Tariffa con riferimento, in specie, alla sua articolazione (in una quota fissa ed in una quota variabile) ed alle conseguenti ricadute sulla tassazione delle aree produttive di rifiuti urbani ovvero speciali, assimilati o meno (v. , 27 febbraio 2020, n. 5360; Cass., 23 maggio 2019, n. 14038; Cass., 22 settembre 2017, n. 22127).
Si è, così, rilevato che il presupposto impositivo si correla al possesso o alla detenzione di superfici astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, e che «la qualità e quantità di rifiuti prodotti incide nella determinazione della quota variabile della TIA che può essere legittimamente pretesa, in misura intera o ridotta, solo in presenza di una effettiva produzione di rifiuti urbani o assimilati, con conseguente esclusione dell’assoggettamento a tale parte del tributo di quelle superfici ove il contribuente dimostri di non produrre rifiuti o di produrre esclusivamente rifiuti speciali smaltiti, pertanto, autonomamente» (così Cass., 23 maggio 2019, n. 14038, cit.); ciò, del resto, in coerenza con la natura, cd. universale, della Tariffa, – in quanto «Ogni edificio che si trovi sul territorio comunale, … è normativamente considerato come potenzialmente idoneo, per le attività che vi si potrebbero svolgere, a produrre rifiuti urbani» (così Cass., 27 febbraio 2020, n. 5360, cit.), – ed in conseguenza della cennata articolazione tariffaria che, – quanto alla quota fissa ( «determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti»; art. 49, c. 4, cit.), – «ha la funzione di coprire il costo dei servizi di smaltimento concernenti i rifiuti non solo “interni”, cioè prodotti o producibili dal singolo soggetto passivo che può avvalersi del servizio, ma anche “esterni”, quali i “rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico”, e quindi di coprire anche le pubbliche spese afferenti ad un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente» (così, ancora, Cass., 23 maggio 2019, n. 14038).
Secondo i principi di diritto enunciati dalla Corte, cui va data continuità, in presenza di locali destinati alla produzione di rifiuti speciali non assimilati, per lo smaltimento dei quali il contribuente deve necessariamente provvedere in proprio tramite un operatore qualificato, l’esenzione dal pagamento della quota variabile della tariffa è totale, fermo restando, tuttavia, l’obbligo del pagamento della quota fissa, che non è parametrata alla quantità dei rifiuti gestiti dal servizio pubblico e ai costi di erogazione di tale servizio, ma è destinata per legge alla “copertura” dei costi di investimento ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (così Cass., 27 febbraio 2020, n. 5360).
4.2. – Il giudice del gravame, come anticipato, ha considerato che la contribuente aveva dato prova dello smaltimento in proprio dei rifiuti speciali prodotti; epperò pur ha rilevato che «la società contribuente ha inviato al gestore (ASCIT S.p.a.) la propria denuncia di variazione delle superfici solamente il 3/02/2012: quindi ben quattro mesi dopo la notifica degli avvisi di accertamento oggetto del presente ».
4.2.1 – La Corte, anche in tema di tariffa di igiene ambientale, ha già avuto modo di rilevare la legittimità di disposizioni regolamentari con riferimento alla prevista efficacia (solo) per il futuro delle denunce di variazione comportanti il pagamento di una tariffa inferiore «sia se correlate a sopravvenienze sia se derivanti da errori contenuti nella precedente dichiarazione».
In particolare si è osservato che la finalità di dette disposizioni «è quella – da un lato – di fare salvo il diritto del contribuente di comunicare in ogni momento all’ente impositore la variazione delle condizioni di applicabilità della tariffa precedentemente emerse; e – dall’altro – di escludere che tale comunicazione possa esplicare efficacia retroattiva.», e si è rimarcato che «Se il primo scopo della disciplina regolamentare risponde al principio di generale emendabilità della dichiarazione fiscale nei dati di scienza, e non di natura volitivo – negoziale, in essa contenuti, la seconda finalità è conforme all’esigenza di indurre il contribuente alla sollecita presentazione della comunicazione di variazione e, al contempo, di preservare all’ente impositore la concreta possibilità di verificare tempestivamente, e sulla base dell’attualità di stato, il fondamento della variazione comunicata»; così individuando una sostanziale continuità regolativa con la disciplina della TARSU (d.lgs. n. 507 del 1993, art. 66, c. 5; a cui riguardo v. Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde Cass., 3 marzo 2010, n. 5036; Cass., 15 aprile 2005, n. 7915), disciplina quella «espressiva di una finalità pratica comune all’imposizione ambientale in quanto tale – connotata dall’esigenza non di ricostruire documentalmente un patrimonio ovvero un movimento di affari, quanto di accertare, in una data annualità, l’effettiva e materiale detenzione/occupazione di superfici produttive di rifiuti – ma anche perchè relativa ad un tributo (appunto la Tarsu) nei cui confronti la Tia si pone in rapporto di sostanziale continuità, per natura e caratteri distintivi» (Cass., 23 febbraio 2018, n. 4602).
Si è, poi, rilevato che spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione dell’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 70 del d.lgs. n. 507 del 1993) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 31 luglio 2015, n. 16235; v., altresì, Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde Cass., 17 settembre 2019, n. 23059; Cass., 3 marzo 2010, n. 5036; Cass., 15 aprile 2005, n. 7915).
5. – L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti (sub 4.).
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo motivo, e rigetta il quarto motivo;
cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.