Corte di Cassazione ordinanza n. 22499 depositata il 18 luglio 2022
obbligo del contraddittorio preventivo per i tributi armonizzati – principio di effettività – doppia conforme – interamente deducibili i costi e le spese ai fini delle imposte sui redditi solo dei veicoli indispensabili per l’esercizio stesso dell’impresa, ovvero la circostanza che l’attività dell’impresa senza quei veicoli non possa essere esercitata – ripartizione dell’onere della prova
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale II di Milano, con due avvisi di accertamento, emessi per gli anni 2006 e 2007, recuperava a imposizione, a fini Ires, Irap e Iva, i costi dedotti da M. s.r.l. per due imbarcazioni (Sempione Sey ed Elisa), sul rilievo che esse non potessero considerarsi beni strumentali della società e che quindi la deduzione dei costi ad esse relativi non fosse giustificata.
2. Contro tali avvisi la società proponeva distinti ricorsi davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano che, dopo averli riuniti, li rigettava, evidenziando che dai documenti prodotti non emergeva che la ricorrente svolgesse effettivamente il noleggio di imbarcazioni, non desumibile dalla visura camerale, non indicato negli studi di settore, svolto per periodi limitati e solo in favore di soggetti collegati.
3. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza in questa sede impugnata, rigettava l’appello della società, condannandola al pagamento delle spese di lite del grado.
4. Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M. s.r.l., con sei motivi.
Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 19 maggio 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis.1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31 agosto 2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che:
1. La società propone sei motivi di ricorso.
1.2 Con il primo motivo deduce la violazione dei principi generali del diritto comunitario quanto al mancato rispetto da parte dell’ufficio dell’obbligo di contraddittorio anticipato in materia di tributi armonizzati; in particolare lamenta la violazione dell’art. 41, 1, e 2 lettera a) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sotto il profilo dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
La ricorrente deduce infatti che se l’insegnamento di Cass., Sez. U., n. 24823 del 2015 è pienamente condivisibile laddove riconosce l’immediata applicabilità della disciplina comunitaria in tema di obbligo del preventivo contraddittorio nelle materie relative ai tributi cosiddetti armonizzati come l’Iva, che in questa sede rileva, sebbene in parte, non sia invece condivisibile ove afferma che, al fine di poter pervenire a una declaratoria di nullità dell’atto impositivo non preceduto dal contraddittorio, sia necessario che il contribuente abbia assolto all’onere di denunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere ove il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato; secondo la ricorrente tale onere probatorio non troverebbe riscontro nella disciplina nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
1.2 Col secondo motivo deduce, sotto il profilo dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 97 della Costituzione, quanto alla mancata considerazione del principio di correttezza che deve improntare l’agire della pubblica amministrazione, disposizione che sarebbe stata violata per la mancata attivazione del contraddittorio anche in relazione ai tributi non
1.3 Col terzo motivo la società lamenta la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. per l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Premesso che la C.T.R. ha evidenziato il carattere generico delle argomentazioni della società, circa la possibilità che la preventiva conoscenza delle contestazioni le avrebbe consentito di fornire la documentazione necessaria, senza però precisare di quali documenti avrebbe voluto avvalersi, oltre a quelli già forniti con le risposte ai questionari inviati dall’Agenzia delle entrate, la società indica dei documenti prodotti dai quali si ricaverebbe che le imbarcazioni erano utilizzate esclusivamente per fini di impresa.
1.4 Con il quarto motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 164, comma 1, lett. b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., quanto alla ritenuta indeducibilità dei costi delle imbarcazioni di cui essa aveva la disponibilità in leasing, perché asseritamente non utilizzate per finalità di impresa, nonché la correlata violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Il quarto motivo si compone di plurime censure; esse attengono in parte alla violazione dell’art. 164 t.u.i.r., laddove la C.T.R. ha subordinato la deducibilità dei costi di mantenimento delle imbarcazioni alla circostanza che la società dovesse provare trattarsi di beni utilizzati esclusivamente e in concreto per finalità di impresa, ed in altra parte alla violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., avendo la M. documentalmente dimostrato la destinazione delle imbarcazioni ad attività di impresa.
1.5 Con il quinto motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione degli 36, comma 2, n. 4 e 61 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. e 118, primo comma, disp. att. cod. proc. civ., sotto il profilo dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per la mera apparenza della motivazione in punto eccepita carenza di motivazione degli avvisi in materia di Iva.
In particolare, censura la mera apparenza della motivazione della sentenza laddove non ha valutato le specifiche contestazioni introdotte in relazione alle rettifiche operate dall’ufficio in materia di Iva.
1.6 Con il sesto motivo la società lamenta la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per omessa pronuncia sul motivo di appello inerente la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento quanto al recupero a tassazione di una maggior Iva per l’anno d’imposta 2007.
2. I primi tre motivi vanno congiuntamente esaminati e devono essere tutti respinti.
2.1 Preliminarmente si evidenzia che l’Agenzia delle entrate ha dedotto che la C.T.R. abbia ritenuto la censura relativa alla violazione del principio del contraddittorio inammissibile per violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992; di conseguenza le successive argomentazioni contenute nella sentenza e riguardanti il merito delle doglianze sarebbero svolte ad abundantiam e non sarebbero autonomamente impugnabili in mancanza di impugnazione della statuizione di inammissibilità.
L’eccezione non è fondata.
Si deve evidenziare che laddove la C.T.R. ha premesso alla propria motivazione sul merito, relativa alla fondatezza o infondatezza dell’eccepita violazione del contraddittorio, la frase «in disparte l’eccepita inammissibilità», non abbia infatti inteso accogliere tale eccezione, come emerge dal tenore letterale della frase che depone nel senso che i giudici siano passati direttamente al merito della questione (con statuizione non censurata, neanche in via condizionata, dalla controricorrente, che tale eccezione aveva proposto).
Pertanto, i motivi vanno esaminati nel merito.
2.2 La questione dell’obbligatorietà del contraddittorio si pone diversamente in relazione ai tributi armonizzati, come nel caso di specie l’Iva, e ai tributi non armonizzati, come nel caso di specie Ires e Irap.
È ben vero, come sostiene la ricorrente, che, con riguardo ai tributi armonizzati, l’obbligo del contraddittorio preventivo discende direttamente dalla disciplina unionale alla luce dell’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, sicché l’Amministrazione, ove adotti provvedimenti destinati ad incidere sulle posizioni soggettive dei destinatari, è tenuta a mettere costoro in condizione di esporre utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi posti a fondamento dell’atto medesimo (già Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2008, in C-349/07, Sopropé, punto 37; ex multis sentenza 22 ottobre 2013, in C- 276/12, Sabou, punto 38; sentenza 17 dicembre 2015, in C-419/14, WebMindlicenses, punto 84).
Ma la stessa giurisprudenza unionale ha chiarito che qualora l’Amministrazione non sia stata rispettosa dell’obbligo di contraddittorio, la violazione – in assenza di una norma specifica che ne definisca in termini puntuali le conseguenze (come pure precisato, per il nostro ordinamento, da Cass. 15/01/2019, n. 701) – comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (cd. prova di resistenza), ossia se, in mancanza del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa (Corte di Giustizia, sentenze 10 ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware, in C – 141/08, punto 94; 10 settembre 2013, M.G. e N.R., in C-383/13, punto 38; 26 settembre 2013, Texdata Software, in C- 418/11, punto 84; 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Da tema Hellmann Worldwide Logistics, in C-129/13 e C-130/13, punti 79 e 79).
Il parametro di riferimento a tal fine è, dunque, costituito dal principio di effettività – per il quale le modalità procedurali interne «non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione» – che, tuttavia, come anche recentemente ribadito dalla Corte di Giustizia, «non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi. Infatti, una violazione dei diritti della difesa determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso» (sentenza 4 giugno 2020, SC C.F. SRL, in C- 430/19, punti 35 e 37). Non ha invece incidenza, quantomeno nel nostro ordinamento, il principio di equivalenza attesa l’inesistenza di regole procedurali specificamente dettate per l’imposizione in materia di Iva.
Questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza 09/12/2015, n. 24823, proprio su tali basi, nel riconoscere l’esistenza dell’obbligo del contradittorio generalizzato in tema di accertamenti Iva, ha poi utilmente precisato che il requisito in questione va inteso «nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali» ossia che «non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato …, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto».
Tale pronuncia è stata seguita da costante orientamento di questa Corte (tra le tante Cass. 19/07/2021, n. 20436; Cass. 08/01/2019, n. 218; Cass. 20/07/2018, n. 20036; Cass. 11/05/2018, n. 11560) dal quale non sussistono (né sono state indicate) ragioni per discostarsi.
2.3 Come evidenziato dalla stessa Cass., Sez. U., n. 24823 del 2015, in tema di tributi non armonizzati l’obbligo di contradittorio è da ritenersi esistente solo in caso di espressa previsione di legge; né può essere considerato fonte di tale obbligo, come invece deduce la ricorrente, l’art. 97 della Costituzione che non reca, in alcuna delle sue articolazioni, il benché minimo indice rivelatore dell’indefettibilità del contraddittorio endoprocedimentale; né in seno al procedimento amministrativo (in relazione al quale l’obbligo del contraddittorio procedimentale è in modo generalizzato sancito da legge ordinaria) né, tanto meno, con riguardo allo specifico procedimento tributario, per il quale la normativa ordinaria espressamente esclude la sussistenza di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, riconoscendo la ricorrenza dell’obbligo solo in presenza di specifica
2.4 Il giudice di appello ha fatto piena applicazione di tali principi ed evidenziato, quanto alla cd. prova di resistenza, che la «società ha solo genericamente argomentato circa la circostanza che la preventiva conoscenza dei rilievi dell’ufficio le avrebbe consentito di fornire la documentazione necessaria ma non ha precisato di quale documentazione avrebbe potuto avvalersi oltre che di quella già presentata in risposta ai questionari indirizzati dall’Agenzia delle entrate», respingendo quindi l’eccezione di nullità anche in riferimento all’accertamento in tema di Iva.
Trattasi, quest’ultima, di valutazione di fatto, non censurabile in cassazione, che il ricorrente vuole contestare con il terzo motivo, che, essendo formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., è inammissibile, sia perché precluso dall’art. 348-ter cod. proc. civ., in presenza di una cd. doppia conforme, non avendo peraltro la parte allegato che le ragioni poste a fondamento delle due decisioni siano diverse, ma altresì inammissibile perché di fatto le deduzioni riportate nell’appello e trascritte nel ricorso appaiono finalizzate a censurare non una pretesa violazione del contraddittorio endoprocedimentale, in ipotesi incidente sulla validità dell’atto impositivo, ma la fondatezza del merito della pretesa tributaria, lamentando la contribuente non che l’Amministrazione abbia omesso di considerare le sue osservazioni, ma che non le abbia condivise.
3. Il quarto motivo si compone di plurime censure, attinenti in parte alla violazione dell’art. 164 t.u.i.r., laddove la C.T.R. ha subordinato la deducibilità dei costi di mantenimento delle imbarcazioni alla circostanza che essa dovesse provare trattarsi di beni utilizzati esclusivamente e in concreto per finalità di impresa, a prescindere dalla loro astratta utilizzabilità, ed in altra parte alla violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ.; la società deduce di aver documentalmente dimostrato la destinazione delle imbarcazioni ad attività di impresa (da maggio 2006 il noleggio delle imbarcazioni era stato formalmente inserito nell’oggetto sociale della M. s.r.l.; essa aveva prodotto documentazione delle spese sostenute nel 2006 per rendere l’imbarcazione idonea al noleggio nonché le fatture emesse nel corso del 2007 derivanti proprio da attività di noleggio ed anche documentazione relativa all’utilizzazione della imbarcazione Sempione Sey sia nel 2006 che nel 2007 come location di servizi fotografici, tutti documenti di cui i giudici d’appello non avevano tenuto conto, considerazione tanto più non condivisibile laddove il medesimo ufficio accertatore per la successiva annualità 2008 aveva emesso un avviso di accertamento con il quale aveva ritenuto sussistente la destinazione delle medesime imbarcazioni all’uso come bene strumentale, accertando maggiori ricavi conseguiti dalla società come attività di noleggio).
Il motivo si compone di due censure che possono essere autonomamente considerate.
3.1 L’art. 164, corrispondente al previgente art. 121-bis u.i.r., prevede che <<le spese e gli altri componenti negativi relativi ai mezzi di trasporto a motore indicati nel presente articolo, utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni, ai fini della determinazione dei relativi redditi sono deducibili, … per l’intero ammontare relativamente … alle navi e imbarcazioni da diporto … destinati ad essere utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa>>.
Il legislatore ha previsto diverse regole di deducibilità in relazione ai veicoli aziendali, che variano in funzione sia del tipo di veicolo che dell’uso, stabilendo un’integrale deducibilità nel caso in cui la stessa attività propria dell’impresa non possa essere esercitata prescindendo dal mezzo di trasporto (art. 164, comma 1, lett. a); nella lett. b), invece, si fa riferimento ai veicoli che sono utilizzati nell’esercizio dell’impresa (ma non nell’attività propria dell’impresa), arte o professione, senza alcun riferimento espresso in merito all’esclusività o meno dell’utilizzo (e quindi ad un eventuale uso promiscuo) del veicolo nell’esercizio dell’impresa, arte o professione.
Il legislatore, nell’individuare con riguardo a quali mezzi possano essere interamente deducibili i costi e le spese ai fini delle imposte sui redditi, ha considerato, dunque, come fattore scriminante, l’indispensabilità di quei veicoli per l’esercizio stesso dell’impresa, ovvero la circostanza che l’attività dell’impresa senza quei veicoli non possa essere esercitata; se un uso promiscuo è presunto – ma non espressamente previsto – per quei veicoli che, pur essendo strumentali all’attività (generica) d’impresa, non sono indispensabili per l’esercizio della stessa, tale uso promiscuo non è né presunto né consentito per i veicoli senza i quali l’impresa non possa essere esercitata; la deduzione integrale spetta quindi se il bene sia indispensabile, nel senso predetto, ed esclusivamente utilizzato per lo svolgimento dell’attività d’impresa (Cass. 30/11/2018, n. 31031).
La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, mentre spetta all’amministrazione la prova della maggiore pretesa tributaria, la prova del costo deducibile incombe sul contribuente così come quella della sua inerenza (sebbene quest’ultima risenta della natura del bene e del tenore delle contestazioni dell’ufficio: Cass. 21/11/2019, n. 30366; Cass. 17/07/2018, n. 18904).
Di conseguenza, in applicazione di tali principi, anche la prova della funzione esclusivamente strumentale all’esercizio dell’impresa del bene acquistato deve essere data dal contribuente (Cass. 30/11/2018, n. 31031; Cass. 07/06/2018, n. 14858).
3.2 Il motivo è quindi infondato laddove deduce una violazione dell’onere probatorio al riguardo, perché esso effettivamente compete alla parte ricorrente, ma è fondato quanto alla prima censura, laddove la C.T.R. ha ritenuto che le difese e i mezzi di prova offerti della contribuente fossero irrilevanti in quanto volti a dimostrare solo l’astratta idoneità dei natanti a conseguire lo scopo sociale dell’impresa, negando così in modo aprioristico rilevanza alla circostanza che la M. s.r.l. avesse dedotto di avere inserito il noleggio delle imbarcazioni nel proprio oggetto sociale dal maggio 2006 (come da documenti depositati in appello), noleggiando la Sempione Sey per alcuni periodi nel 2007, e alla circostanza che nel successivo anno 2008 l’ufficio, sull’assunto evidentemente della strumentalità delle imbarcazioni a fini di impresa, abbia emesso accertamento del maggior reddito.
4. Il quinto motivo censura la mera apparenza della motivazione in relazione alle doglianze mosse in merito ai rilievi Iva.
Dal motivo di appello trascritto nel ricorso introduttivo emerge che la società ricorrente aveva lamentato non solo la nullità dell’avviso, che non aveva indicato le norme in base alle quali aveva operato le rettifiche Iva, ma anche che, nel merito, esse le spettavano in quanto l’art. 19-bis, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che la detraibilità a fini Iva per i costi delle unità da diporto sia collegata alla sola circostanza che i beni formino oggetto dell’attività propria dell’impresa, con una norma meno stringente dell’art. 164 t.u.i.r., e quindi essa spetti alle imprese che fanno utilizzo commerciale delle imbarcazioni, come nel caso di specie ove la società svolgeva attività di noleggio di imbarcazioni.
4.1 Il motivo è fondato.
La C.T.R. si è limitata a ritenere infondata l’eccezione di carenza di motivazione in merito alle norme indicate e a fare riferimento alle disposizioni degli artt. 19 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972, senza affrontare la questione e senza minimamente motivare in merito al regime di detrazione dell’Iva per i costi sostenuti per le imbarcazioni da diporto, con statuizione da ritenersi viziata sotto il profilo dedotto.
5. Il sesto motivo attiene all’omessa pronuncia sulla doglianza, anche essa trascritta nel ricorso introduttivo, con cui la società aveva contestato la ripresa dell’imposta sui carburanti dell’anno 2007 per importo di euro 869,86, negando di aver proceduto alla detrazione come risulterebbe dai dettagli delle registrazioni contabili prodotte.
5.1 Il motivo è fondato.
Premesso che nell’appello deve ritenersi capo di domanda il singolo motivo di appello, la questione in esame è relativa ad una specifica ripresa, la cui fondatezza è stata contestata dalla ricorrente sull’assunto dell’inesistenza documentale della detrazione, ed è questione che è rimasta priva di alcuna decisione.
6. Pertanto, respinti i primi tre motivi, vanno accolti il quarto, il quinto e il sesto motivo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, cui compete anche la regolazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso, rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di regolare le spese del giudizio di legittimità.
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