Corte di Cassazione ordinanza n. 22591 depositata il 19 luglio 2022
credito IVA – azienda fallita – rimborso
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
la parte contribuente ricorreva avverso un diniego di rimborso per l’anno d’imposta 2013 relativo ad un credito IVA maturato nel corso della procedura fallimentare a carico di Tanga Antonio di cui la parte contribuente è erede;
la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate affermando che ai fini della manifestazione di volontà di ottenere il rimborso deve aversi riguardo al fatto che nella dichiarazione annuale possa rinvenirsi l’esplicitazione di una tale volontà ancorché non accompagnata dall’ulteriore domanda di rimborso, il che sottrae l’istanza di rimborso al termine biennale di decadenza e l’assoggetta a quello decennale di prescrizione.
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo di impugnazione mentre la parte contribuente si costituisce con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 21, comma 2, del d.Lgs. n. 546 del 1992 e 30 del d.P.R. n. 633 del 1972 per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto sufficiente, ai fini dell’interruzione del termine decadenziale ex art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 per la richiesta di rimborso, la mera esposizione del credito IVA in dichiarazione e non anche la compilazione dell’apposita sezione espressamente preposta, contenente l’indicazione “importo di cui si chiede il rimborso”, che sola esplicita una manifestazione di volontà della contribuente.
Il motivo di impugnazione è infondato. Secondo questa Corte infatti:
«secondo il consolidato orientamento di questa Corte la domanda di rimborso del credito d’imposta maturato dal contribuente deve considerarsi già presentata con la compilazione del corrispondente quadro della dichiarazione annuale (“RX4”), la quale configura formale esercizio del diritto, con la precisazione che, ove si tratti – come nel caso di specie – di richiesta di rimborso relativa all’eccedenza d’imposta risultata alla cessazione dell’attività, la fattispecie è regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, e la richiesta è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale, non a quello biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile in via sussidiaria e residuale, solo in mancanza di disposizione specifiche; e ciò in quanto l’attività non prosegue, sicché non sarebbe possibile portare l’eccedenza in detrazione, e tanto meno in compensazione, l’anno successivo (Cass. n. 9941 del 2015, n. 2005 del 2014; nn. 7684, 7685 e 14070 del 2012; nn. 13920 e 20039 del 2011; nn. 9794 e 25318 del 2010; n. 27948 del 2009),
non essendo neppure necessaria la presentazione del modello VR che costituisce, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, solo un presupposto per l’esigibilità del credito e, dunque, un adempimento prodromico al procedimento di esecuzione del rimborso (ex plurimis, Cass. nn. 4592 e 4857 del 2015; nn. 10653, 20069 e 26867 del 2014; n. 14070 del 2012; n. 20039 del 2011); è peraltro evidente che non può disconoscersi il rimborso del credito IVA alla contribuente per avere quest’ultima avanzato richiesta di compensazione (e non di rimborso) in sede di dichiarazione annuale, in quanto, non essendo sorto un debito IVA della contribuente (che ha cessato l’attività), non può dirsi verificato l’effetto estintivo di cui all’art. 1242 cod. civ.;
– inoltre, si è correttamente osservato (cfr. Cass. n. 9941 del 2015), che la prospettata «soluzione ermeneutica è del resto coerente con il diritto eurounitario, poiché, se è vero che gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare l’osservanza degli obblighi di dichiarazione e di pagamento, l’esatta riscossione dell’imposta e la prevenzione di frodi, tuttavia è pur vero che tali misure non possono eccedere gli obiettivi sopra indicati (v. Corte di giustizia, 11 dicembre 2014, in causa C-590/14, Idexx; 8 maggio 2008, in causa c- 95/07 e C-96/07, Ecotrade; 27 settembre 2007, in causa C- 146/05, Coilee), essendo il diritto al ristoro dell’Iva versata “a monte” basilare nel sistema comunitario, in forza del principio di neutralità (cfr. Corte di giustizia, 22 dicembre 2010, in causa C- 438/09, Dankowski, p.to 34, con riguardo al caso di cessazione d’attività; 18 dicembre
1997, in cause riunite C-286/94, C-340/95, c- 401/95, C-47/96, Molenheide e altri). Deve quindi ritenersi ormai definitivamente superato il diverso e più risalente orientamento secondo cui, in caso di cessazione dell’attività, solo una domanda di rimborso conforme al modello ministeriale corrisponderebbe allo schema tipico delineato dall’art. 30 del decreto IVA, con la conseguenza che la domanda difforme resterebbe assoggettata alla decadenza biennale prevista, in via residuale, dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 (Cass. nn. 18920 e n. 18915 del 2011; n. 7669 del 2012)»;
– quanto al termine prescrizionale, questa Corte ha reiteratamente affermato che il credito Iva esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, mentre non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, in quanto l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto, ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso (ex multis, Cass. n. 4559 del 2017, nn. 9941 e 4857 del 2015, n. 20678 del 2014, nn. 7684, 14070, 15229 e 23580 del 2012, n. 13920 del 2011, n. 9794 del 2010)» (Cass. n. 17495 del 2020);
Il Collegio intende dare continuità al predetto orientamento: trattandosi di una impresa che ha cessato la propria attività, è applicabile al caso di specie il sopra menzionato principio secondo cui il credito Iva esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, mentre non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, in quanto l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto, ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso.
Pertanto il ricorso dell’Agenzia delle entrate va respinto; le spese seguono la soccombenza.
Poiché risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass. 27 ottobre 2021, n. 30191).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali, che liquida in euro 5.600,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% dei compensi e agli accessori di legge.
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