Corte di Cassazione ordinanza n. 22609 depositata il 19 luglio 2022
TFM – incasso “giuridico” – ritenuta
Rilevato che:
– la società contribuente ricorreva avverso l’avviso di accertamento notificatole con riguardo all’omessa applicazione della prescritta ritenuta sul trattamento di fine mandato (TFM) spettante all’amministratore della stessa, sig. R.N., deceduto nel 2012;
– la CTP accoglieva in parte il ricorso applicando la ritenuta nella misura del 20%; gravava tale pronuncia di appello la società;
– con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello ritenendo che le scritture contabili redatte con riferimento all’importo contestato, per mezzo delle quali la somma in questione transitava da debito /vs terzi (eredi) a soci /vs finanziamento, come sostenuto dall’appellante Ufficio, avevano natura dispositiva finalizzata a realizzare l’”incasso giuridico” della somma a favore degli eredi (soci della R.F. s.r.l.) senza applicazione delle ritenute e con mantenimento della stessa nel patrimonio societario;
– ricorre a questa Corte la società con atto affidato a un solo motivo; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che:
– con l’unico motivo dedotto la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 600 del 1973 con l’art. 59 c. 1 lett. c-bis del TUIR in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR considerato erroneamente che il giroconto contabile della scrittura da fondo TFM amministratore a debito/vs eredi costituisse in sé una ipotesi di incasso giuridico, mentre invece essa consisterebbe nel mero effetto legale del trasferimento iure successionis del credito, formatosi in capo al de cuius, ai suoi eredi una volta avvenuto il decesso;
– il motivo è infondato;
– invero, esso risulta imperniato su una mera distinzione nominalistica (il mutamento del soggetto creditore della somma, che nel caso del trattamento di fine mandato era l’amministratore, sig. R.N., e che a seguito del decesso di questi è mutato, divenendo tali i di lui eredi) che parte ricorrente propone come puramente contabile – sopravvalutandosi in tale prospettazione le scritture che l’hanno rappresentata, come accertata dalla CTR – mentre essa ha rappresentato, nei fatti, una operazione economica e finanziaria oggetto di accordo tra la società e i soci- eredi diretta a consentire l’incasso della somma caduta in successione e il suo trasferimento nel patrimonio societario a titolo capitale con corretto inserimento della stessa quale posta di patrimonio;
– come la CTR ha accertato in fatto, con valutazione qui non più suscettibile di revisione, a fronte della ridetta scrittura contabile la società R.F. s.r.l. – d’intesa con gli eredi, soci della stessa società che quindi erano a conoscenza e condividevano tali appostazioni – ha conseguito un finanziamento a proprio favore mantenendo la somma che avrebbe dovuto erogare loro, quali eredi, a titolo di trattamento di fine mandato “mutandone la natura da eredità a patrimonio aziendale”;
– e tale è il risultato annotato nelle scritture contabili, che trasformano – contabilmente e giuridicamente, stante l’”acquiescenza alla mancata erogazione del credito e con la conseguenza della sua mancata tassazione” alla luce dell’accertamento in fatto operato dalla CTR– un credito verso gli eredi e carico di R.F. s.r.l. in una voce di patrimonio netto costituente finanziamento della stessa da parte degli eredi medesimi;
– nel compiere tale operazione, detti eredi hanno con tutta evidenza economicamente e giuridicamente appreso il credito per poi finanziare la loro società, senza però sottoporre la somma, che la CTR ha accertato come effettivamente percetta, alla prescritta imposizione a titolo di ritenuta da operarsi ad opera della società;
– questa Corte ha già riconosciuto valenza alla teoria dell’incasso giuridico sostenuta dall’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 26842/2014, e più di recente si veda anche Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2057 del 30/01/2020, ove la decisione precedente è ben citata in motivazione) chiarendo come in tema di determinazione del reddito d’impresa, l’art. 55 (poi art. 88), quarto comma, del TUIR che esclude debbano considerarsi sopravvenienze attive le rinunce ai crediti operate dai soci nei confronti della società, debba essere letto in correlazione con i successivi artt. 61, quinto comma (poi 94, sesto comma) e 66, quinto comma (poi 101, settimo comma);
– esso non vale ad alterare il regime fiscale del credito che costituisce oggetto di rinuncia, per cui, ove si tratti di crediti da lavoro autonomo del socio nei confronti della società, i quali, sebbene materialmente non incassati, siano, mediante la rinuncia, comunque conseguiti ed utilizzati, sussiste l’obbligo di sottoporne a tassazione il relativo ammontare, con applicazione, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, della ritenuta fiscale, cui la società è tenuta quale sostituto d’imposta (Cass. n. 1335/2016: Cass. 7636/2017);
– ancora, la Corte ha precisato che, sebbene il d.L. n. 557 del 1993 vigente ratione temporis abbia previsto che a partire dall’esercizio 1993 la rinuncia da parte dei soci a crediti, quale che sia la natura (commerciale o finanziaria) dei crediti medesimi e la fonte che li ha generati, non costituendo sopravvenienza attiva e perciò non integrando materia imponibile, non comporti tassazione a carico della società, detta norma agevolativa non vale ad alterare il regime fiscale – in capo ai soci – di ciò che costituisce oggetto di rinuncia. La rinuncia al credito da parte del socio costituisce, quindi, una prestazione che viene ad aumentare il patrimonio della società, qui resa con la scrittura soci c/finanziamento e può comportare anche l’aumento del valore delle sue quote sociali. In tale contesto appare corretto ritenere che la rinuncia del credito oggetto di causa da parte dei soci sia espressione della volontà di patrimonializzare la società – cosa che nel presente caso la CTR ha accertato essere in concreto avvenuta stante la mancata erogazione del credito agli eredi dopo cinque anni dal decesso dell’avente causa – e che, pertanto, non possa essere equiparata alla remissione di un debito da parte di un soggetto estraneo alla compagine sociale;
– in altri termini, la situazione di fatto, come ricostruita dalla CTR, presuppone il conseguimento del credito il cui importo, anche se non materialmente incassato, viene comunque “utilizzato”, sia pure con atto di disposizione avente natura di rinuncia, che può consistere anche nella condivisione in quanto oggetto di decisione in assemblea e approvazione del bilancio da parte dei soci/eredi (che hanno mostrato di condividere la appostazioni contabili operate dalla società come accertate dalla CTR);
– altrimenti operando, si permetterebbe alla società di beneficiare di accantonamenti fiscalmente dedotti nel corso dei singoli periodi di imposta che non scontano alcuna imposizione fiscale, nonostante producano l’effetto ultimo di incrementare il costo della partecipazione;
– alla luce delle sopra esposte considerazioni, il ricorso va quindi
– le spese sono regolate dalla soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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