Corte di Cassazione ordinanza n. 22811 depositata il 20 luglio 2022
giudicato esterno – contributi consorzio di bonifica – mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia – Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale
Fatti rilevanti e ragioni della decisione.
1. La A.B. srl propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittima l’ingiunzione notificatale da Ge.Fi.L. spa, per conto del Consorzio, per il pagamento dei contributi consortili di bonifica anno 2011 in relazione ai terreni da essa posseduti in agro di Castel Volturno.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:
- la pretesa si fondava su un piano di classifica regolarmente approvato e pubblicato, con la conseguenza che spettava al contribuente, proprietario di terreni inclusi nel perimetro di contribuenza, l’onere di provare l’insussistenza di beneficio diretto per i fondi in conseguenza della mancata esecuzione delle opere di bonifica;
- nel caso di specie la società opponente si era limitata, tanto in primo quanto in secondo grado, a formulare contestazioni generiche, di stile e comunque inconferenti.
Resiste con controricorso il Consorzio, mentre nessuna attività difensiva è stata posta in essere dalla società di riscossione intimata.
La ricorrente ha depositato memoria.
2.1 Con il primo motivo di ricorso la società deduce, ex art.2909 cod.civ., la sopravvenienza, rispetto alla deliberazione della sentenza qui impugnata, di ben due sentenze tra le parti, passate in giudicato per mancata impugnazione, attestanti la non debenza del contributo per l’annualità 2011 (sentenze trascritte nel ricorso per cassazione ed a questo allegate, sub nn. 4) e 5), con attestazione di avvenuto passaggio in giudicato).
Con la prima sentenza (n. 4417/05/15) deliberata il 19 maggio 2015 e depositata il 24 giugno 2015, la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta (pronunciando su varie annualità, tra le quali il 2011) aveva osservato come il consorzio si fosse limitato a quantificare il dovuto ed a dedurre l’inserimento dei terreni nel perimetro di contribuenza, senza tuttavia fornire la prova – posta a suo carico – di una utilità direttamente riconducibile all’esecuzione di opere di bonifica, nè allegare le opere che sarebbero state eseguite, la loro finalità ed il loro costo.
Con la seconda sentenza (n. 4371/09/15) deliberata il 16 giugno 2015 e depositata il 22 giugno 2015, la commissione tributaria provinciale di Caserta (pronunciando sulla annualità 2014) aveva escluso la fondatezza della pretesa del consorzio, sia perché basata su un piano di classifica pubblicato sul BURC in data 29 giugno 1998, ma poi non adeguato alle sopravvenute disposizioni di cui alla LR Campania n. 4 del 2003 (mediante, tra l’altro, la predisposizione dei prescritti piani triennali) sia perché, a fronte della contestazione della società, il consorzio, neppure costituitosi in giudizio, non aveva fornito la prova dei benefici arrecati ai fondi, quand’anche ricompresi nel perimetro di contribuenza.
2.2 La deduzione in esame, concretante non un vero e proprio motivo censorio quanto l’affermazione della contrarietà della sentenza impugnata rispetto ad altre ad essa sopravvenute e passate in giudicato, non può trovare accoglimento.
Per quanto concerne la sentenza n. 4417/05/15, risulta dalla decisione stessa che l’annualità 2011 era stata in quella sede vagliata con specifico ed esclusivo riguardo all’avviso di notifica e pagamento n. 4560100873 dell’11 luglio 2014 (recupero 2013 e residuo annualità pregresse). Come risulta dall’inserimento in controricorso di tale avviso, la pretesa del consorzio riguardava in quella sede, per l’anno 2011, unicamente un residuo (pari ad euro 267,86) relativo ad un terreno (F.5, mapp. 5033) non ricompreso tra quelli fatti invece oggetto dell’ingiunzione di pagamento n. 4560330961 dedotta nel presente giudizio (pur essa agli atti di causa e riportata in controricorso). Risulta dunque che quel giudicato si sia formato su un diverso terreno e, in definitiva, su un diverso oggetto di lite; e questa circostanza non può che essere dirimente – nel senso della infondatezza dell’eccezione del giudicato – nell’ambito di una fattispecie nella quale la prova dell’utilità (ovvero della sua inesistenza) in conseguenza e per effetto della regolare esecuzione delle opere consortili di bonifica, manutenzione e governo idrico, non poteva che essere fornita e valutata con riguardo appunto ai singoli terreni in proprietà del soggetto consorziato, così come dedotti nell’intimazione di pagamento e, poi, nel giudizio di opposizione contro di questa proposto.
Deriva quindi che l’affermazione coperta da giudicato – concernente la mancata prova, da parte del consorzio, della utilitas – non può che riferirsi allo specifico terreno di cui al mappale inizialmente pretermesso e poi dedotto nell’avviso di notifica menzionato, senza possibilità che la stessa affermazione probatoria possa venire riferita, con effetto preclusivo, anche a terreni diversi (seppure ricompresi nello stesso perimetro consortile) in ordine ai quali lo stesso requisito fondamentale dell’utilitas poteva atteggiarsi in maniera appunto diversa, in modo tale da richiedere una prova specifica e mirata su di essi.
Pur considerandosi i limiti di massima possibile estensione oggettiva del giudicato, va osservato come non si verta nella specie né di estensione dell’effetto preclusivo (oltre che al ‘dedotto’, anche) al ‘deducibile’, dal momento che in quel giudizio la questione dell’utilitas non poteva evidentemente ritenersi ‘deducibile’ con riguardo a terreni del tutto estranei a quello oggetto di causa (il citato mapp. 5033), e neppure di estensione preclusiva per vincolo di dipendenza logico-giuridica, posto che la nozione stessa di utilità ben si prestava a manifestarsi, in fatto, diversamente in ragione delle diverse caratteristiche, consistenza ed ubicazione dei singoli fondi in rapporto agli interventi di bonifica eseguiti o comunque necessari; sicchè dal difetto di utilità per un fondo ben determinato non poteva di per sé discendere, sul piano logico e giuridico, il difetto di utilità anche per fondi diversi e diversamente ubicati.
Per quanto concerne la sentenza n. 4371/09/15 (ma anche la n. 4417/05/15 per quanto concerne l’annualità 2013) basterà osservare come essa si sia occupata di un’annualità (2014) diversa e successiv a da quella fatta oggetto del presente giudizio (2011), sicché nessuna efficacia preclusiva può essa produrre nella presente sede.
Va fatta qui applicazione dell’orientamento di legittimità in base al quale, in materia tributaria, il giudicato esterno prodottosi con riguardo ad una determinata annualità d’imposta esplica effetto vincolante su diverse annualità, allorquando “vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata” (Cass. 4832/15; così, tra le altre: Cass. 6953/15; 20257/15).
Si tratta di orientamento che trova origine in Cass. SU 13916/06, secondo cui “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che ilgiudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta”.
L’espansione nel tempo del giudicato esterno così formatosi presuppone dunque – in contesto di invarianza normativa – che tra le diverse annualità sussista identità e continuità di presupposti fattuali costitutivi del rapporto impositivo; con conseguente permanenza degli effetti dell’accertamento operato con riguardo ad una determinata annualità.
Nella concretezza del caso, la valutazione di mancata dimostrazione dell’utilitas da parte del consorzio (colà ritenuto gravato del relativo onere) per l’anno 2014 non può dunque sortire effetto preclusivo per l’anno 2011, con riguardo al quale diversi (e non necessariamente durevoli) potevano essere i presupposti fattuali e lo stato dei luoghi.
Né un simile effetto preclusivo potrebbe trarsi da una determinata interpretazione della legislazione regionale sui piani di classifica (aspetto sul quale si tornerà nella disamina del successivo motivo di ricorso), vertendosi all’evidenza di attività coessenziale alla funzione giurisdizionale, esulante dall’accertamento dei fatti di causa così come dalla loro qualificazione giuridica, con conseguente esclusione della vincolatività propria del giudicato accertativo ex articolo 2909 cod.civ..
3.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta in via subordinata – ex art.360, co.1^, n.3) cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazionedegli articoli 6, quarto comma, e 12 della citata LR Campania n. 4 del 2003, dal momento che la pretesa per l’anno 2011 si basava su un piano di classifica inefficace perché pubblicato il 29 giugno 1998, ed al quale non aveva fatto seguito la predisposizione dei piani triennali di approvazione regionale previsti dalla legge violata.
3.2 Il motivo è infondato.
La società contribuente non contesta che la pretesa sia dal Consorzio ricondotta ad un piano di classifica adottato, con relativo perimetro di contribuenza, ai sensi dell’articolo 22 della LR Campania n. 23 del 1985 (pubblicato sul BU della Regione Campania n. 38 del 29 giugno 1998 ed approvato dalla Giunta Regionale con deliberazione del 25 settembre 1998); essa lamenta piuttosto la sopravvenuta invalidità, ovvero inefficacia, di questo piano di classifica perché asseritamente non conforme alla disciplina successivamente introdotta dalla citata LR n. 4 del 2003.
La contestazione muove dunque, in altri termini, da un dedotto problema di successione di leggi nel tempo (in modo tale che la legge regionale successiva avrebbe travolto tutti i piani di classifica precedenti che ad essa non si fossero adeguati), e non dall’affermazione di intrinseca ed originaria difformità alla legge degli strumenti consortili posti a base della ingiunzione di pagamento.
La normativa di cui si assume la violazione stabilisce quanto segue:
- 6 LR 4/2003: “Piano generale di Bonifica. 1. I Consorzi di Bonifica predispongono, con riferimento al comprensorio di rispettiva competenza, il Piano generale di bonifica che, in coerenza con gli strumenti di programmazione regionale e provinciale vigenti, prevede: a) la possibilità di valorizzazione dei diversi ambiti del territorio comprensoriale, attraverso il razionale impiego della risorsa idrica, la tutela dello spazio rurale, la difesa del suolo e dell’ambiente; b) le opere pubbliche di bonifica da realizzare per il perseguimento delle predette finalità. 2. Il Piano generale di bonifica è inviato alle Province e alle Autorità di Bacino che possono formulare osservazioni e proposte di modifiche entro trenta giorni dal ricevimento. Decorso tale termine, il parere si intende reso in senso favorevole. 3. Il Consorzio, nei successivi trenta giorni, provvede ad adeguare il Piano sulla base delle osservazioni formulate ai sensi del comma 2 ed a trasmetterlo alla Giunta regionale ai fini dell’approvazione e della successiva pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione. 4. In sede di prima applicazione della presente legge, i Consorzi predispongono i Piani generali di bonifica entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Fino all’approvazione dei piani generali, gli interventi di cui all’articolo 2, rientranti nelle opere pubbliche di bonifica e rispondenti alle linee di indirizzo programmatiche determinate dalla Giunta regionale, sono definiti tali dalla Giunta regionale sulla base dei progetti di massima predisposti e presentati dai Consorzi di Bonifica 5. Il Piano generale di bonifica è attuato attraverso i piani triennali predisposti e approvati ai sensi della legge 11 febbraio 1994, n. 109, articolo 14 e successive modifiche”;
- 12 LR 4/2003 in esame: “Contributi dei privati per l’esercizio e la manutenzione delle opere pubbliche di bonifica. 1. I proprietari dei beni immobili che conseguono benefici dalle opere pubbliche di bonifica di cui all’articolo 2, contribuiscono alle spese di esercizio e manutenzione delle predette opere a norma del Regio Decreto 13 febbraio 1933, n. 215, e della legge 25 luglio 1952, n. 991, e successive modificazioni nonché alle spese di funzionamento dei Consorzi. 2. Ai fini di cui al comma 1, ciascun Consorzio predispone un piano di classifica per il riparto della contribuenza consortile che, in base a parametri ed elementi obiettivi di individuazione e quantificazione dei benefici tratti dagli immobili, stabilisce gli indici di attribuzione dei contributi alle singole proprietà, i cui dati identificativi sono custoditi ed aggiornati nell’apposito catasto consortile. 3. Dalla determinazione delle spese di cui al comma 1, sono comunque escluse le opere di carattere civile-infrastrutturale consegnate ai Comuni, alle Province ed alle Comunità montane, nonché l’esercizio e la manutenzione delle opere pubbliche di bonifica dichiarate di preminente interesse regionale, ai sensi dell’art. 2, comma 3, i cui oneri di manutenzione e gestione sono a carico della Regione. 4. I contributi di cui al comma 1 costituiscono oneri reali sugli immobili e sono riscossi direttamente, ovvero per mezzo di terzi abilitati, sulla base delle leggi vigenti in materia di tributi e in conformità alle specifiche disposizioni attuative contenute negli statuti.”
Emerge dunque, sulla base di questa disciplina, come l’operato del consorzio non potesse reputarsi contra legem, dal momento che esso trovava fondamento in un piano generale di bonifica (strumento diverso tanto dal piano di classifica quanto dal perimetro cartografico di contribuenza) già adottato ed adeguato nel 1990 ai sensi della legge regionale n. 23 del 1985 all’epoca vigente (circostanza riportata in controricorso, e neppure questa contestata nella sua oggettività); sotto diverso aspetto, l’intimazione di pagamento in questione si basava appunto su un piano di classifica e di riparto già adottato dal comune e risultato conforme a quanto poi stabilito dall’articolo 12 cit.. Quanto al sollevato problema di successione legislativa, rileva quanto disposto dalla LR n.29 del 2012 che, nell’abrogare espressamente (art.1) varie leggi regionali già implicitamente abrogate o comunque prive di efficacia (tra le quali la citata LR 23/1985 sulla bonifica integrale), ha poi stabilito (art.2 co. 3^) che: “Le disposizioni abrogate con la presente legge continuano ad applicarsi ai rapporti sorti nel periodo della loro vigenza e per l’esecuzione degli accertamenti dell’entrata e degli impegni di spesa assunti”.
Va del resto considerato che l’art. 6, ultimo comma, della legge della Regione Campania n. 4 del 2003 cit. prevede che il piano generale di bonifica sia attuato attraverso piani triennali, la cui mancata adozione, peraltro, non rende invalido o inefficace il piano generale di bonifica, mentre non si occupa affatto del diverso strumento costituito dal piano di classifica, la cui disciplina è contenuta nel successivo art. 12. Invero, il piano (generale o attuativo) di bonifica ha ad oggetto la programmazione degli interventi di bonifica (come quelli finalizzati ad assicurare lo scolo delle acque, la sanità idraulica del territorio e la regimazione dei corsi d’acqua naturali, a conservare ed incrementare le risorse idriche per usi agricoli in connessione con i piani di utilizzazione idropotabile ed industriale, nonché ad adeguare, completare e mantenere le opere di bonifica già realizzate oppure volti ad assicurare la stabilità dei terreni declivi ed a realizzare infrastrutture civili), mentre il piano di classifica costituisce lo strumento necessario per quantificare il contributo di bonifica gravante sui beni immobili che traggono beneficio dall’attività di bonifica.
4.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in via subordinata, violazione e falsa applicazione delle regole sull’onere probatorio, nonché degli articoli 10 e seguenti RD 215 del 1933 e 860 cod.civ.. Per avere la commissione tributaria regionale posto a carico della società l’onere di provare l’inesistenza di utilità per i fondi, nonostante che l’onere probatorio in materia gravasse nella specie a carico del consorzio stesso.
4.2 Il motivo è infondato.
Va in proposito richiamato quanto più volte già stabilito da questa corte di legittimità, secondo cui: – l’adozione degli strumenti consortili, segnatamente del piano di classifica, ingenera una presunzione di vantaggiosità dell’attività di bonifica svolta dal Consorzio per i fondi ricompresi nell’area di intervento; – qualora il piano di classifica venga specificamente impugnato dal consorziato, la suddetta vantaggiosità deve essere provata ad onere del Consorzio che la deduca, secondo la regola generale di cui all’articolo 2697 cod.civ.; – qualora, invece, non vi sia stata impugnativa del piano di classifica, la presunzione in oggetto (di natura non assoluta, ma juris tantum) deve essere superata con onere della prova a carico del consorziato.
Già le SSUU hanno avuto modo di affermare, in particolare, che: “quando la cartella esattoriale emessa per la riscossione dei contributi di bonifica sia motivata con riferimento ad un “piano di classifica” approvato dalla competente autorità regionale, la contestazione di tale piano da parte di un consorziato, in sede di impugnazione della cartella, impedisce di ritenere assolto da parte del Consorzio il proprio onere probatorio, ed il giudice di merito deve procedere, secondo la normale ripartizione dell’onere della prova, all’accertamento dell’esistenza di vantaggi fondiari immediati e diretti derivanti dalle opere di bonifica per gli immobili di proprietà del consorziato stesso situati all’interno del perimetro di contribuenza; in quanto, se la (verificata) inclusione di uno (specifico) immobile nel perimetro di contribuenza può essere decisiva ai fini della determinazione dell'”an” del contributo, determinante ai fini del “quantum” è l’accertamento della legittimità e congruità del “piano di classifica” con la precisa identificazione degli immobili e dei relativi vantaggi diretti ed immediati agli stessi derivanti dalle opere eseguite dal Consorzio” (SSUU n. 11722 del 14/05/2010).
Tale principio si pone nel solco di SSUU n. 26009 del 30/10/2008,
secondo cui: “in tema di contributi consortili, allorquando la cartella esattoriale emessa per la riscossione dei contributi medesimi sia motivata con riferimento ad un “piano di classifica” approvato dalla competente autorità regionale, è onere del contribuente che voglia disconoscere il debito contestare specificamente la legittimità del provvedimento ovvero il suo contenuto, nessun ulteriore onere probatorio gravando sul Consorzio, in difetto di specifica contestazione. Resta ovviamente ferma la possibilità da parte del giudice tributario di avvalersi dei poteri ufficiosi previsti dall’art. 7, d.lgs. n. 546 del 1992, ove ritenga necessaria una particolare indagine riguardo alle modalità con le quali il Consorzio stesso è in concreto pervenuto alla liquidazione del contributo”.
Cass. 17066/10 ha altresì osservato che il contribuente è sempre ammesso a provare in giudizio – anche in assenza di impugnativa diretta in sede amministrativa del piano di classifica – l’insussistenza del beneficio fondiario; sia sotto il profilo della sua obiettiva inesistenza, sia in ordine ai criteri con cui il Consorzio abbia messo in esecuzione le direttive del predetto atto amministrativo per la determinazione del contributo nei confronti dell’onerato. Con la conseguenza che – soddisfatto l’onere probatorio così posto a carico del contribuente – spetterà al giudice tributario di disapplicare, ex art.7, 5^ co., d.lgs. 546/92, il piano di classifica medesimo, in quanto illegittimo.
Questo principio è poi stato ribadito da Cass. n. 20681/14 e da Cass. n. 21176/14, secondo cui: “in tema di contributi di bonifica, il contribuente, anche qualora non abbia impugnato innanzi al giudice amministrativo gli atti generali presupposti (e cioè il perimetro di contribuenza, il piano di contribuzione ed il bilancio annuale di previsione del Consorzio), che riguardano l’individuazione dei potenziali contribuenti e la misura dei relativi obblighi, può contestare, nel giudizio avente ad oggetto la cartella esattoriale dinanzi al giudice tributario, la legittimità della pretesa impositiva dell’ente assumendo che gli immobili di sua proprietà non traggono alcun beneficio diretto e specifico dall’opera del Consorzio. In tal caso, però, quando vi sia un piano di classifica approvato dalla competente autorità, l’ente impositore è esonerato dalla prova del predetto beneficio, che si presume in ragione della comprensione dei fondi nel perimetro d’intervento consortile e dell’avvenuta approvazione del piano di classifica, salva la prova contraria da parte del contribuente”.
Più recentemente si è riaffermato (Cass.n. 9511/18 ed altre) che: “In tema di contributi di bonifica, ove i fondi siano compresi nel perimetro consortile, in difetto di specifica contestazione del piano di classifica e ripartizione da parte del contribuente, grava sullo stesso l’onere di superare, mediante prova contraria, la presunzione del beneficio diretto e specifico derivante dalle opere realizzate dal consorzio”; e inoltre (Cass.n. 6839/20) che: “in tema di contributi consortili, quando la cartella esattoriale emessa per la loro riscossione sia motivata facendo riferimento ad un piano di classifica approvato dalla competente autorità regionale, il contribuente, anche in assenza di contestazione di tale piano in sede di impugnazione della cartella o di sua mancata impugnazione innanzi al giudice amministrativo, è sempre ammesso a contestare in giudizio la sussistenza del beneficio fondiario o i criteri con cui il Consorzio abbia messo in esecuzione le direttive del predetto atto amministrativo per la determinazione del contributo nei suoi confronti, fornendo la relativa prova, mentre l’ente impositore è esonerato dall’onere di dimostrare il beneficio, in ragione della presunzione derivante dalla comprensione dei fondi nel suo perimetro d’intervento e dall’avventa approvazione del piano di classifica. Peraltro, il giudice tributario, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, può in ogni caso avvalersi dei poteri ufficiosi se ritenga necessario indagare sulle modalità di liquidazione del contributo da parte dell’ente e provvedere alla disapplicazione del piano di classifica, in quanto illegittimo, quando sia soddisfatto l’onere probatorio gravante sul contribuente.”
Nel caso di specie la contestazione da parte della società contribuente – come detto infondata – verteva non già sull’effettivo inserimento dei fondi nell’ambito del perimetro di contribuenza, e nemmeno sui criteri di ripartizione dei contributi in ragione delle proprietà classificate, bensì sul ben diverso aspetto dell’asserita invalidità-inefficacia ‘sopravvenuta’ del piano di classifica; e ciò in ragione dell’affermata mancata adozione di piani triennali previsti dalla LR in relazione al diverso strumento del piano generale di bonifica.
Sennonchè la mancata specifica contestazione del piano di classifica nella sua riferibilità ai terreni in proprietà (siccome ricompresi nel perimetro consortile) e nella legittimità dei suoi criteri di ripartizione, precludeva quell’inversione dell’onere probatorio di cui si è detto.
Orbene, la decisione qui impugnata non confligge dunque con i principi così affermati, poiché la commissione tributaria regionale ha deciso la lite ponendo l’onere probatorio in questione a carico della parte contribuente; alla quale spettava, in presenza di un piano di classifica legalmente adottato e non specificamente contestato nel suo contenuto classificatorio e di riparto, di superare la presunzione di miglioramento e vantaggiosità di per sé scaturente, per i fondi comprovatamente ricompresi nel comprensorio di bonifica e contribuzione, dal piano di classifica medesimo.
5.1 Con il quarto motivo di ricorso la contribuente subordinatamente deduce – ex art.360, co.1^, nn. 3 e 5 cpc – violazione della suddetta normativa nonché omesso esame in ordine ad un fatto decisivo e controverso. Per non avere la commissione tributaria regionale rilevato che la società, pur non essendovi tenuta, aveva purtuttavia prodotto in appello (con memoria in data 3.3.2015 ) documentazione (nota Comando Polizia Municipale di Castel Volturno 16 gennaio 2015 di ricognizione territoriale; nota congiunta di Sindaco ed Assessore all’Ambiente del Comune di Castel Volturno del 23 febbraio 2015, con relativi allegati, volta ad ottenere la dichiarazione dello stato di calamità naturale per fenomeni di allagamento e straripamento attestanti la mancata esecuzione delle opere di bonifica) idonea a fornire la prova del difetto di utilitas.
5.2 Il motivo è inammissibile.
E’ costante l’indirizzo secondo cui (Cass.nn. 16812/18; 19150/16 e molte altre): “Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa.”
A seguito della riforma dell’art.360 co. 1^ n.5) cod.proc.civ. da parte dell’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, si è poi ulteriormente precisato che: “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. ord. n. 27415/18 ed altre) e, inoltre, che: “il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. 11892/16, così Cass. 23153/18 ed altre).
Nel caso di specie il giudice del merito ha espresso un convincimento di genericità ed inconferenza delle contestazioni mosse dalla società, e tale convincimento deve riferirsi anche alle difese basate sulla documentazione prodotta.
La ricorrente non ha però validamente contrastato l’affermazione della Commissione Tributaria Regionale dimostrando – sulla base dei su riportati consolidati indirizzi – la decisività delle prove documentali asseritamente pretermesse.
Decisività che deve essere comunque esclusa in ragione del solo fatto che la documentazione in questione risultava essersi formata diversi anni dopo l’annualità non versata, oltre che concernere uno stato dei luoghi anch’esso successivo e dunque non riferibile, con la dovuta certezza e concludenza, a quello effettivamente riscontrabile in tale annualità.
Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso, con condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte
- rigetta il ricorso;
- condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in euro 1500,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori di legge;
- v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
- dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.