Corte di Cassazione ordinanza n. 22903 depositata il 21 luglio 2022
vizio di violazioni di norme di diritto
Rilevato che:
1. La Corte d’appello di Catanzaro confermava la pronuncia del Tribunale di Rossano che aveva respinto la domanda proposta da M.G. nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza;
2. M.G., premesso di aver lavorato: – dal 22.11.1999 al 19.2.2002 alle dipendenze della Rocco D.C. “Pubblica Assistenza” s.a.s, convenzionata con l’ASP di Cosenza, come autista soccorritore presso l’Ospedale di Corigliano Calabro; – dal 16.8.2003 al 31.10.2005 come responsabile autista presso la PET del 118 dell’Ospedale di Cassano allo Ionio; – dall’1.6.2008 al 30.9.2008 presso il pronto soccorso dell’Ospedale di Corigliano; – dall’1.1.2008 al 30.1.2011 sempre presso l’ASP di Cosenza, aveva lamentato di essere stato licenziato oralmente in data 24.10.2008 e chiesto la reintegra nel posto di lavoro in precedenza occupato;
3. il Tribunale aveva respinto la domanda rilevando che dalla documentazione allegata agli atti di causa non risultava la sussistenza di un rapporto a tempo determinato in relazione al periodo dall’1.10.2008 al 30.1.2001 e che l’avviata procedura per l’assunzione non era stata in realtà mai portata a termine;
4. la Corte territoriale, in conformità con il decisum del Tribunale, riteneva preliminare rispetto all’accertamento dell’inefficacia del licenziamento la verifica della sussistenza di un rapporto di lavoro, rapporto che però non emergeva dall’esame degli atti di causa;
rilevava che la comunicazione di assunzione, proveniente dal Direttore delle Risorse Umane (e cioè da un soggetto carente della rappresentanza legale dell’Amministrazione) era un mero atto unilaterale inidoneo a dare conto dell’esistenza di un regolare rapporto;
riteneva che le quattro buste paga depositate fossero solo funzionali alla prova dell’esistenza di un rapporto di mero fatto ma non giovavano alla dimostrazione della formale assunzione del Morrone;
evidenziava che il contratto di assunzione di cui all’ordine di esibizione all’ASP era privo di sottoscrizione del Direttore Generale, necessaria ai fini del perfezionamento del contratto;
riteneva che la mera prestazione di fatto fosse inidonea a far sorgere il diritto ad una prosecuzione del rapporto;
riteneva irrilevanti le prove testimoniali richieste dal ricorrente in quanto intese a dimostrare lo svolgimento in fatto dell’attività e l’allontanamento del Morrone;
5. avverso tale pronuncia ricorre per cassazione M.G. con un motivo, cui resiste con tempestivo controricorso, l’ASP di Cosenza.
Considerato che:
1. con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 114 e 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.;
censura la sentenza impugnata per avere omesso di pronunciarsi sull’assorbente circostanza dell’esistenza del rapporto di lavoro tra esso ricorrente e l’ASP soprattutto in considerazione della mancata contestazione da parte di quest’ultima;
rileva che la Corte territoriale non ha tenuto conto della missiva del 16.5.2008 (prot. 30641) con la quale era stata comunicata al ricorrente la sua assunzione presso la PA con mansioni di autista nonché dell’ulteriore missiva del 30.9.2008 (port. 54676) egualmente relativa alla sua nuova assunzione a tempo determinato né ha tenuto conto degli altri atti (schede relative all’elenco degli autisti ed all’orario di lavoro, buste paga);
2. il ricorso è inammissibile;
2.1 il motivo non intercetta il decisum della sentenza impugnata fondato sull’irrilevanza delle prestazioni in fatto (non disconosciute dalla Corte territoriale) a fondare una pretesa conservativa del lavoratore ed un suo diritto alla prosecuzione del rapporto;
tale decisum è, peraltro, del tutto conforme all’orientamento di questa Corte di legittimità (cfr. Cass. 3 febbraio 2012, n. 1639; Cass. 21 novembre 2007, n. 24247; si veda anche, nel senso che tra gli effetti previsti dall’art. 2126 cod. civ. non rientra il diritto di continuare a rendere la prestazione cfr. Cass. 29 dicembre 2006 n. 27608);
2.2 in ogni caso i rilievi, là dove denunciano violazioni di norme di diritto, non formulano le censure così come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, trascurando di considerare che il vizio ex 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’elencazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass. 12 gennaio 2016, n. 287; Cass. 15 gennaio 2015, n. 635; Cass. 1° dicembre 2014, n. 25419; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038);
nella specie, il ricorrente, ad onta della veste formale della denuncia di violazione e falsa applicazione di legge, nella sostanza censura quelli che sono stati accertamenti in fatto della Corte territoriale concernenti l’insussistenza di un regolare rapporto di lavoro per mancanza di un valido contratto che però incontrano i ristretti limiti imposti dal novellato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., così come rigorosamente interpretato da Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054;
né può il ricorso per cassazione enucleare vizi di motivazione dal mero confronto tra le risultanze di causa, vale a dire attraverso un’operazione che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione non consentiti in sede di legittimità (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 cit.);
3. da tanto consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
4. alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;
5. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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