Corte di Cassazione ordinanza n. 23085 depositata il 25 luglio 2022

giudizio di ottemperanza

Rilevato   che    la    C.T.P.,    adita    in    sede    di  ottemperanza dall’odierno  ricorrente, a seguito dell’inerzia dell’Amministrazione finanziaria  che non aveva provveduto  al pagamento delle spese giudiziali liquidate in favore del contribuente medesimo con sentenza           n. 146/2019 della medesima Commissione, con ordinanza n. 84/2020, depositata il  2.3.2020,  ha  compensato,  ex  art.  1242  cod.  civ.,  detto credito con un controcredito vantato dall’Agenzia nei confronti dello B.A.,  ritenendo la  stessa  operante di diritto e dichiarando, pertanto, cessata  la materia del contendere  per estinzione del diritto azionato;

che avverso tale decisione B.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi; si è costituita con controricorso, l’ADER – AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE;

che sulla proposta avanzata dal relatore, ex art. 380-bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio; Rilevato che con il primo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) della violazione e falsa applicazione dell’art. 1242 cod. civ., per avere la C.T.P. applicato, in sede di ottemperanza, l’istituto della compensazione;

che con il secondo motivo la difesa del B.A. lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la violazione dell’art. 70 del d.lgs. n. 546 del 1992, “non potendo il  giudice  dell’ottemperanza  attribuire  alcunché  di  nuovo rispetto all’oggetto riconosciuto dalla sentenza azionata” (cfr. ricorso, p. 4);

che i due motivi – i quali disvelano un errar in procedendo ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. e sono suscettibili di trattazione congiunta, per identità delle questioni agli stessi sottese – sono fondati;

che il giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze delle commissioni tributarie, disciplinato dall’art. 70 del d.lgs. n. 546 del 1992 è proponibile a fronte dell’inerzia dell’amministrazione (nonché, dopo la modificazione apportata al predetto art. 70, comma 2, dall’art. 9, comma 1, lett. ii, n. 2 d.lgs. n. 156 del 2015, degli agenti incaricati della riscossione) o della difformità dell’atto da essa adottato rispetto al giudicato – presenta connotati diversi rispetto al processo di esecuzione previsto dal codice di procedura civile. Ed infatti, lo scopo del giudizio di ottemperanza non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva, tout court, del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, bensì quello di rendere effettivo quel comando, compiendo tutti – e soltanto – quegli accertamenti indispensabili a delimitare la reale portata precettiva della sentenza (cfr. Cass., Sez. 5, 18.1.2012, n. 646, Rv. 621288-01);

che, dunque, per un verso, il potere del giudice dell’ottemperanza riguardo al comando definitivo rimasto inevaso non può essere esercitato che entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alla parte diritti nuovi e ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire; per altro, può – e deve – essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendone  il reale significato (Cass., Sez.  5, 29.7.2016,  n.  15827,  Rv.  640648-01;  Cass.,  Sez.  5, 20.6.2019, n. 16569, Rv. 654387-01, cit.);

che, peraltro, l’art. 70 del d.lgs. n. 546 del 1992 – a mente del quale il ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata in esito al giudizio di ottemperanza è ammesso per “violazione delle norme del procedimento” – deve essere interpretato nel senso che è possibile denunciare alla Suprema Corte non soltanto la violazione delle norme disciplinanti LI predetto giudizio, ma anche ogni altro errar in procedendo nel quale sia incorso il giudice dell’ottemperanza (Cass., Sez. 5, 28.9.2018, n. 23487, Rv. 650511-01);

che, a tale riguardo questa Corte ha affermato che nel giudizio di ottemperanza alle decisioni emesse dalle commissioni tributarie, il giudice non può dichiarare l’estinzione per compensazione del credito pecuniario accertato dalla sentenza in favore del contribuente, presupponendo una tale statuizione un’attività di accertamento del controcredito del Fisco (con riferimento alla relativa sussistenza, liquidità, esigibilità, epoca di insorgenza) che travalica i limiti (supra esposti) fissati dal giudicato ed eccede l’ambito della cog’nizione fissato dall’art. 70, comma 7, del d.lgs. n. 546 del 1992, pur fatta salva la possibilità di dichiarare la predetta compensazione se sul punto non sia necessaria alcuna attività cognitiva, in quanto accettata sia dal Fisco, che dal contribuente, con riguardo alle reciproche pretese creditorie, ovvero quando il credito opposto dal Fisco promani a sua volta da sentenza passata in giudicato (Cass., Sez. 5, 25.5.2011, n. 11450, Rv. 618174-01); Cass., Sez. 5, 14.7.2021, n. 20035, Rv. 661886-01);

che l’ordinanza impugnata non si è attenuta ai principi che precedono,  avendo  dichiarato  la  compensazione  malgrado

l’assenza di un accordo tra contribuente e Ufficio in merito al credito opposto da quest’ultimo;

Ritenuto, in conclusione che il ricorso debba essere accolto, con la conseguente cassazione della decisione impugnata e rinvio della causa alla C.T.P. di Parma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla C.T.P. di Parma, in diversa composizione, cui demanda altresì la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.