Corte di Cassazione ordinanza n. 23107 depositata il 25 luglio 2022
Avviso accertamento ricavi dichiarati socio – Studi di settore – contraddittorio è elemento essenziale e imprescindibile – il contribuente dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa – accertamento induttivo
Ritenuto in fatto
1. M.U. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Crotone avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva riscontrato che nell’anno 2005 l’ammontare dei ricavi dichiarati dalla E.B. s.a.s. di M.M., di cui il ricorrente era socio al 50%, era inferiore a quello determinato sulla base degli studi di settore e, in conseguenza di ciò, aveva rettificato l’Irpef e le addizionali in capo al socio.
2. La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso.
3. Sull’appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale Calabria accoglieva il gravame, evidenziando che lo scostamento dal parametro del reddito dichiarato era pari al 21,61% e, quindi, inferiore a quello minimo, pari al 25-30%, individuato dalla giurisprudenza di merito per il riconoscimento di una “grave incongruenza”.
4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due M.U. non ha svolto difese.
5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Ritenuto in diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli 2909 c.c. e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR rilevato che dall’attività di accertamento espletata nei confronti della E.B. s.a.s. di M.M. era derivato l’accertamento in contestazione e che su quello operato in danno della società si era formato il giudicato esterno, avuto particolare riguardo all’attendibilità dello strumento presuntivo applicato.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli 62 sexies d.l. n. 331/1993 e 39, comma 1, lett. d), dPR n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che, per effetto del contraddittorio con il contribuente, le presunzioni degli studi acquistano i requisiti di gravità, precisione e concordanza, da soli giustificativi della pretesa impositiva, con conseguente inversione della prova a carico del contribuente.
3.Il primo motivo è infondato.
In termini generali, la sentenza emessa nei confronti della società costituisce l’antecedente logico-giuridico non solo nelle ipotesi di controversie su contestazioni di utili extracontabili, ma in tutti i casi di contestazione rivolti alla compagine sociale relativi ai maggiori redditi derivanti da ricavi non dichiarati o da costi non sostenuti.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la validità dell’avviso in ordine a ricavi non contabilizzati, emesso a carico di società di capitali a ristretta base partecipativa, costituisce presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, con la conseguenza che l’annullamento dello stesso con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari; tale carattere pregiudicante non si rinviene, invece, nelle ipotesi di annullamento per vizi del procedimento (si pensi all’inesistenza della notifica o alla errata intestazione dell’avviso), le quali danno luogo ad un giudicato formale, e non sostanziale, difettando una pronuncia che revochi in dubbio l’accertamento sulla pretesa erariale (Sez. 5, Ordinanza n. 752 del 19/01/2021).
Dalle considerazioni che precedono deriva che nella controversia relativa all’accertamento del reddito da partecipazione societaria, qualora la difesa del socio non si fondi su eccezioni personali diverse da quelle dedotte dalla società, il giudicato formatosi nel giudizio relativo ai redditi di questa manifesta la sua efficacia nel giudizio relativo al socio nei limiti del dictum sull’unico accertamento (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22942 del 10/11/2015). Ed è questa la ragione per la quale, come anticipato, in caso di pendenza separata di procedimenti relativi all’accertamento del maggior reddito contestato ad una società di capitali e di quello di partecipazione conseguentemente contestato al singolo socio, quest’ultimo giudizio dovrebbe essere sospeso, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 295 c.p.c., in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa nei confronti della società, costituendo, ripetesi, l’accertamento tributario nei confronti della società un indispensabile antecedente logico-giuridico di quello nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23323 del 31/10/2014).
Tuttavia, benché la controversia decisa nei confronti della società aveva ad oggetto la medesima questione (valore probatorio da attribuirsi agli studi di settore) che si agita in quella in esame e la determinazione del reddito di partecipazione dei soci sia (ai fini dell’IRPEF e dell’IRPEG) una diretta conseguenza giuridica dell’accertamento del reddito in capo alla società, e nonostante, essendosi il giudicato sulla società formato dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado, rappresentava questa la sede nella quale farlo valere, ove il socio abbia (come nel caso di specie) separatamente impugnato l’accertamento notificatogli, con il quale gli sia stata attribuita una quota del reddito della società, la decisione resa nel processo instaurato dalla società, al quale il socio non abbia partecipato o non sia stato posto in grado di parteciparvi, non può svolgere alcuna efficacia di giudicato nei confronti del processo riguardante il socio, ostandovi i principi in tema di limiti soggettivi del giudicato, coniugati con quelli costituzionali in materia di tutela dei diritti, stabiliti nell’art. 24 Cost. (Sez. 5, Sentenza n. 14901 del 23/11/2001; conf. Sez. 5, Sentenza n. 16050 del 20/12/2001).
L’effetto preclusivo del giudicato esterno opera si anche quando la medesima questione, ovvero una questione pregiudiziale, abbia formato oggetto di un precedente giudizio le cui parti coincidano solo parzialmente con quelle del giudizio successivo, ma a condizione che queste ultime abbiano avuto notizia della pendenza del precedente giudizio. In applicazione di questo principio, Sez. 5, Sentenza n. 14014 del 15/06/2007, chiamata a pronunciarsi sulla lite tra l’Amministrazione ed il socio di una società di persone concernente la misura dei redditi di partecipazione, ha rilevato d’ufficio che la sentenza da essa già pronunciata nella analoga lite tra la società e l’erario, avente ad oggetto la misura dei redditi sociali, essendo passata in giudicata vincolava l’amministrazione anche in merito alla determinazione del reddito dei soci. In definitiva, il giudice ha il dovere di conformarsi alla regula iuris già formatasi sulla res iudicanda, quand’anche essa risulti da diverso giudizio intercorso tra le stesse parti o tra parti parzialmente diverse, purché risulti certa, o presumibile in misura assimilabile al certo, la conoscenza del diverso giudizio avente carattere pregiudicante rispetto a quello in atto. Ebbene, in ordine a tale profilo l’Agenzia non ha dedotto alcunché, dovendosi, per l’effetto, ritenere che i giudizi instaurati dalla E.B. s.a.s, poi riunito in appello a quello instaurato dal socio M.F., dalla socia M.M. e dal socio M.U. (odierno resistente) siano andati avanti parallelamente.
4. Il secondo motivo si rivela, invece, fondato.
In tema di “accertamento standardizzato” mediante parametri o studi di settore, il contraddittorio con il contribuente costituisce elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa, in ispecie quando si faccia riferimento ad una elaborazione statistica su specifici parametri, di per sé soggetta alle approssimazioni proprie dello strumento statistico, e sia necessario adeguarle alla realtà reddituale del singolo contribuente, potendo solo così emergere gli elementi idonei a commisurare la “presunzione” alla concreta realtà economica dell’impresa. Ne consegue che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, solo così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30370 del 18/12/2017).
La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è, infatti, ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività -, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato, come nel caso di specie, regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (Sez. 5, Sentenza n. 21754 del 20/09/2017; conf. Sez. 5, Ordinanza n. 27617 del 30/10/2018). In quest’ottica, solo quando il contribuente, in sede di contraddittorio preventivo, contesti l’applicazione dei parametri allegando circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale dagli “standards” previsti, l’Ufficio, ove non ritenga attendibili le stesse, è tenuto a motivare adeguatamente l’atto impositivo sotto tale profilo (Sez. 5, Ordinanza n. 13908 del 31/05/2018). Fermo restando che l’esito del contraddittorio non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards” ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata o inadeguata risposta all’invito (Sez. 5, Sentenza n. 9484 del 12/04/2017).
Nella fattispecie in esame, la CTR ha posto alla base dell’accoglimento dell’appello proposto dal contribuente la circostanza che lo scostamento dal parametro del reddito dichiarato era pari al 21,61%, laddove la giurisprudenza di merito aveva riconosciuto una “grave incongruenza” in presenza di uno scostamento pari ad almeno il 25-30%.
A prescindere dal fatto che il limite minimo su riportato non rappresenta il frutto di indagini statistiche (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 20414 del 26/09/2014), la CTR ha omesso di rappresentare se la questione, nei detti termini, fosse stata sollevata in sede di contraddittorio anticipato e se, in sede di giudizio, il contribuente avesse fornito prove idonee a giustificare il detto scostamento (all’epoca – 2005 – ancora rilevante, atteso che l’accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla gravità dello stesso, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 1° gennaio 2007, in base all’art. 1, comma 23, della l. n. 296 del 2006, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa) che, a quel punto, si fondava su una presunzione grave e precisa.
Senza tralasciare che, in tema di accertamento induttivo dei redditi, ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, l’Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili “dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta”, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (Sez. 5, Sentenza n. 16430 del 27/07/2011; conf. Sez. 5, Ordinanza n. 33340 del 17/12/2019).
5. Il ricorso merita, pertanto, di essere accolto con riferimento al secondo motivo. L’impugnata sentenza va, per l’effetto, cassata e la causa rinviata, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio, alla CTR Calabria in differente composizione.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione.
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