Corte di Cassazione ordinanza n. 23135 depositata il 25 luglio 2022

abuso del diritto

Ritenuto in fatto

1. Il R.W. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano avverso due avvisi di accertamento con cui, per gli anni d’imposta 2012 e 2013, l’Agenzia delle Entrate gli aveva contestato la natura fiscalmente abusiva delle operazioni di utilizzazione in locazione di immobili destinati all’esercizio della professione dentistica, mediante deduzione, a titolo di costo, delle fatture emesse dalla società concedente R.W.-R.W. s.n.c. di Destro Marco & C. – riconducibile al professionista – dal reddito imponibile oggetto delle dichiarazioni fiscali.

2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso.

3. Sull’appello dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, riuniti i giudizi d’appello, rigettava il gravame, evidenziando che, pur in presenza di taluni indici sintomatici che avevano legittimato l’avvio delle operazioni di verifica fiscale, l’operazione posta in essere dal dott. R.W. era connotata anche da valide ragioni extrafiscali idonee ad escludere la fattispecie abusiva.

4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di un unico R.W. ha resistito con controricorso.

5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Ritenuto in diritto

1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli 2 e 4 del d.l. n. 351/2001 e 14 delle preleggi, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per aver la CTR ritenuto le operazioni poste in essere giustificate da plausibili motivazioni economiche, laddove le stesse costituivano tasselli di un unico disegno abusivo volto ad ottenere l’immediata deduzione dal reddito dei canoni di leasing.

1. Il motivo è inammissibile.

Con il motivo in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente l’Agenzia nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo. Infatti, è appena il caso di rilevare come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza. Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o delle circostanze ritenute rilevanti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. Ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.

In ogni caso, essendosi al cospetto di una cd. “doppia conforme” (non avendo la ricorrente neppure dedotto che le sentenze emesse dai giudici di merito fossero fondate su ragioni di fatto differenti; applicabile anche al processo tributario, come chiarito da Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), la ricorrente non avrebbe potuto, ai sensi del quarto comma dell’art. 348 ter c.p.c., censurare l’impugnata sentenza sul piano motivazionale.

1.2. Anche a voler prescindere dagli assorbenti rilievi che precedono, va evidenziato che, in materia tributaria, ricorre l’abuso del diritto, enucleabile in base ai principi di capacità contributiva e di progressività ex art. 53 Cost., ogni qual volta si sia in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, pur se non contrastanti con alcuna specifica disposizione, sono realizzate al fine di eludere l’imposizione e siano prive di sostanza commerciale ed economica; di talchè, per configurare la condotta abusiva è necessaria un’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa.

In tal senso, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato (Sez. 5, Sentenza n. 27158 del 06/10/2021).

Il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente; ne consegue che va esclusa l’abusività quando sia ravvisabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, non identificabili necessariamente in una redditività immediata dell’operazione, potendo rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 31772 del 05/12/2019).

Orbene, nel caso di specie, la CTR ha nitidamente posto in rilievo le apprezzabili ragioni economiche che giustificavano l’operazione posta in essere, identificandole: a) sul piano della ragionevolezza, nella circostanza che, essendo stata la società costituita agli inizi di settembre del 2009, la stessa avrebbe avuto a sua disposizione quasi quattro mesi per stipulare un contratto di leasing quando ancora il regime fiscale applicabile era quello della deducibilità dei relativi canoni (prevedendo l’art. 1, comma 335, l. n. 296/2000, la loro indeducibilità solo per i contratti stipulati a partire dall’1.1.2010); b) nella circostanza che l’immobile acquisito in leasing (e poi concesso in locazione al R.W.) necessitava di un consistente intervento di ristrutturazione, dei cui costi si era fatta carico la società e, per essa, i soci con ulteriori finanziamenti; c) nella circostanza che solo l’operazione complessiva avrebbe sottratto l’immobile alle possibili azioni risarcitorie derivanti da malpractice sanitarie (esercitando il R.W. l’attività professionale di dentista); d) sul piano prettamente economico, nella possibilità per il R.W., nell’esercizio della propria libertà di iniziativa economica, di ricavare un reddito sia dallo studio professionale che dai ricavi provenienti dall’attività societaria; e) sul piano patrimoniale, nella possibilità di esercitare, al termine del rapporto di leasing, il diritto di riscatto, in tal guisa patrimonializzando la società in nome collettivo con un bene che avrebbe garantito un flusso costante di cassa.

Senza tralasciare che 1) lo stesso dott. R.W. avrebbe potuto stipulare il contratto di leasing immobiliare 19 giorni prima, beneficiando in tal modo dell’esenzione fiscale e senza la necessità di ricorrere alla costituzione di una società di persone; 2) il contratto di locazione tra la R.W.-R.W. s.n.c. ed il dott. R.W. è stato stipulato l’1.6.2011, vale a dire a distanza di circa un anno e mezzo dalla stipula di quello di leasing, laddove, se l’intento predominante fosse stato quello elusivo, i due sarebbero stati posti in essere quasi contemporaneamente; 3) se il R.W. avesse acquistato direttamente l’immobile, sarebbe rimasto esposto alle eventuali iniziative giudiziarie di creditori e non avrebbe potuto coinvolgere nell’iniziativa i nipoti; 4) i canoni di locazione, se da un lato vengono dedotti dal professionista, dall’altro risultano imponibili in capo alla società concedente. Il tutto alla luce del principio giurisprudenziale – già sopra citato – secondo cui il carattere abusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4604 del 26/02/2014; conf. Cass. n. 31772 del 05/12/2019 citata).

Va da ultimo ricordato che costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo elusivo del fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera ove esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta; la prova del disegno elusivo, nonché delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato ed utilizzati solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria (Sez. 5, Sentenza n. 21390 del 30/11/2012; conf. Sez. 5, Sentenza n. 3938 del 19/02/2014).

2. Il ricorso non merita, pertanto, di essere accolto. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, dPR 30 maggio 2002, nr. 115 (Cass. Sez. 6 – Ordinanza nr. 1778 del 29/01/2016).

P.Q.M.

La Corte

dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 5.600,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% dei compensi e agli accessori di legge.