Corte di Cassazione ordinanza n. 23150 depositata il 25 luglio 2022
presunzioni – sede effettiva – individuare la sede di direzione effettiva di una società
Rilevato che:
1. L’ Agenzia delle entrate, recependo i rilievi del processo verbale di constatazione redatto in data 20 gennaio 2011 dalla Guardia di finanza, notificò alla società P. Asia Pacific E. Co. Ltd – già M.E. Ltd – esercente attività di fabbricazione di resistenze, condensatori e acceleratori, con sede legale dichiarata in Cina- un avviso d’accertamento relativo all’anno d’imposta 2005, con il quale, sul presupposto che la società fosse da considerarsi fiscalmente residente in Italia, accertò, ex art 41-bis d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, un reddito d’impresa di € 6.342.079,14.
Infatti, nel corso di una verifica fiscale nei confronti della P. Italy s.p.a., esercente l’attività di fabbricazione di componenti elettronici e controllante la M.E. Co. Ltd., era stato rilevato che nel Consiglio di amministrazione della controllata cinese sedevano C.A., C.A. e V.A., che avevano ricoperto o ricoprivano cariche di vertice anche all’interno della controllante italiana.
I predetti erano tutti residenti in Italia e, anche per le cariche ricoperte nella società italiana, nel territorio nazionale permanevano in pianta stabile.
Solo il Verdi si era recato nel triennio 2004/2006 con una certa regolarità in Cina, sebbene per questioni prettamente logistiche e non nella veste di amministratore, come aveva dichiarato egli stesso ai verificatori. Piuttosto, secondo l’Agenzia, i tre amministratori italiani avevano assunto le decisioni relative alla società cinese dall’Italia, direttamente dalla sede della controllante P. Italy s.p.a.
Il settore commerciale di quest’ultima aveva, anche, intrattenuto direttamente i rapporti con i clienti della società cinese, stabilendo il prezzo dei prodotti finiti. Lo stesso general manager cinese, in caso di problemi con i clienti e, comunque, prima della conclusione degli affari, si consultava con la parte commerciale italiana, per comunicare l’offerta e chiudere la trattativa.
Nella sostanza, a detta dell’Ufficio, il manager cinese non prendeva alcuna decisione (nemmeno quelle relative alla normale conduzione della contrattazione), operando di fatto come un responsabile di stabilimento, subordinato all’effettivo organo di direzione sito in Italia.
Inoltre, la società cinese non aveva corrisposto alcun compenso agli amministratori italiani.
Sulla base di tali elementi l’Amministrazione aveva quindi concluso che il potere decisionale era demandato ai tre amministratori residenti in Italia, che dall’Italia lo esercitavano, impartendo le direttive per la gestione amministrativa ed operativa, anche in ordine alla risoluzione degli ordinari problemi commerciali, per cui in Cina aveva, nella sostanza, sede un mero opificio, mentre la M.E. Co. Ltd, sebbene asseritamente società di diritto cinese, doveva considerarsi fiscalmente residente in Italia.
2. Proposto ricorso dalla contribuente, la Commissione Tributaria Provinciale di Arezzo lo ha accolto.
3. Decidendo sull’ appello principale dall’Amministrazione, e su quello incidentale condizionato della contribuente, la Commissione tributaria regionale della Toscana, con la sentenza di cui all’epigrafe, ha rigettato l’impugnazione erariale, confermando la sentenza di primo grado.
4. Avverso la sentenza di secondo grado l’Agenzia ha introdotto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, e la contribuente si è costituita con Ambedue le parti hanno prodotto memoria.
Considerato che:
1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. , la ricorrente deduce la violazione dell’art. 73, terzo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Assume infatti l’Amministrazione che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente interpretato il criterio, alternativo, della «sede dell’amministrazione» – dettato dalla predetta norma ai fini dell’individuazione della residenza rilevante ai fini fiscali- come “sede dell’ordinaria amministrazione”, avendo la CTR affermato che « non può risultare decisivo il luogo dove sono determinati gli indirizzi generali dell’attività societaria ad opera dello stesso Consiglio» d’amministrazione e che «nessuna rilevanza può assumere la circostanza che nel C.d.A. siano inquadrati soggetti residenti in Italia», con conseguente individuazione della residenza della contribuente in Cina, quale luogo in cui veniva svolta la mera gestione dell’ «ordinaria amministrazione» della società.
2. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente deduce la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. , con violazione in via conseguenziale dell’art. 73, terzo comma, d.P.R. n. 917, n. 1986; oltre che la violazione diretta dello stesso art. 73, terzo comma, d.P.R. n. 917, n. 1986.
Assume infatti l’Agenzia che (come emergerebbe dalla motivazione della sentenza impugnata, resa anche per relationem con quella della sentenza di primo grado, riprodotta in parte qua nel ricorso) il giudice d’appello avrebbe omesso la doverosa disamina, analitica ed unitaria, degli elementi indiziari addotti dall’Ufficio al fine di individuare la sede effettiva della società, solo apparentemente cinese, in Italia.
3. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3 cod. proc. civ., la ricorrente deduce la violazione degli artt. 73, secondo comma, e 162 d.P.R. n. 917, n. 1986, in combinato disposto tra loro, per avere la CTR affermato che «L’esercizio entro i confini nazionali dell’attività di direzione e coordinamento implica per la struttura preposta a tale attività, ai sensi dell’art. 162 del d.p.r. n. 917/1986 e, usualmente, dell’art. 5 delle varie convenzioni stipulate dall’Italia, conformi al modello OCSE, la qualificazione, al più, di stabile organizzazione».
Assume infatti l’Agenzia che il concetto di stabile organizzazione in Italia (filiale o branch, sede secondaria con rappresentanza stabile in Italia, ma priva di autonomia giuridica, costituente un autonomo soggetto passivo d’imposta, assoggettato a tassazione per i soli redditi prodotti in Italia), non è compatibile con l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento esercitato su altra società non residente in Italia. Neppure in astratto, deduce quindi la ricorrente, è possibile ipotizzare che la società che eserciti il potere direttivo sia una stabile organizzazione di quella sulla quale il potere viene esercitato.
4. I tre motivi, per la loro connessione, vanno trattati congiuntamente. Rispetto al primo ed al secondo, va innanzitutto respinta l’eccezione di inammissibilità proposta dalla controricorrente, atteso che il primo mezzo individua in maniera sufficiente la violazione della norma che imputa alla CTR e la diversa interpretazione che ne sostiene, ai fini dell’individuazione della residenza effettiva della società Quanto al secondo, esso è ammissibile in quanto non attinge le valutazioni di merito espresse dal giudice d’appello, ma censura la corrispondenza dell’operato di quest’ultimo, oltre che all’interpretazione ed all’applicazione della disposizione tributaria della quale si controverte, anche alle norme, ed ai relativi principi giurisprudenziali, in materia di prova critica e ragionamento inferenziale.
4.1 Tanto premesso, occorre muovere dal testo dell’art. 73, terzo comma, u.i.r., il primo periodo del quale dispone che « Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.».
Prima ancora di procedere all’interpretazione di quest’ultima disposizione, al fine di applicarla al caso di specie, è opportuno sottolinearne la ratio.
Invero, in coerenza con la stessa rubrica («Soggetti passivi») dell’art. 73, il comma in esame indica i criteri di collegamento, paritetici ed alternativi, tra i soggetti passivi (nel caso di specie le società) dell’imposizione diretta ed il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, determina la residenza in Italia della contribuente e, con essa, l’assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano.
La rilevanza dei criteri di collegamento territoriale individuati dalla norma prescinde dall’ eventuale alterazione, da parte della società contribuente, della realtà oggettiva, al fine di configurare una residenza diversa da quella effettiva, con il fine di sottrarsi all’imposizione dello Stato italiano e di entrare nell’area territoriale di imposizione di uno Stato diverso, il cui trattamento fiscale risulti più favorevole.
Vale a dire che i criteri in questione non sono finalizzati unicamente ad individuare fenomeni, di natura elusiva, solitamente definiti di “esterovestizione”, caratterizzati in generale dall’artificiosa ed apparente distrazione del soggetto passivo dal territorio nazionale, e quindi dalla residenza in Italia e dalla potestà impositiva nazionale, per attrarlo nell’area impositiva più conveniente di altro Stato.
Certamente, in questi ultimi casi, i criteri di collegamento territoriale dettati dal ridetto art. 73 t.u.i.r. sono fondamentali per verificare quale sia in realtà la residenza effettiva della società, nonostante la manipolazione della realtà operata dalla contribuente.
Tuttavia gli stessi criteri svolgono la loro naturale funzione selettiva dei soggetti passivi dell’imposizione nazionale in ogni fattispecie nella quale, per elementi oggettivi transnazionali che emergano nel caso concreto ed a prescindere da qualsiasi ipotetica manovra elusiva dell’ente accertato, sorga l’esigenza di verificare, ai fini fiscali, la residenza in Italia di quest’ultimo.
Pertanto non vi è necessaria coincidenza tra accertamento della residenza in Italia di una società ai sensi dell’art. 73, terzo comma, t.u.i.r. ed accertamento della c.d. esterovestizione elusiva, trattandosi di concetti che possono, ma non debbono inevitabilmente presentarsi contemporaneamente in ogni fattispecie di rilevanza transnazionale. Con la conseguenza, quindi, che la verifica della residenza in Italia di una società, ai sensi del ridetto art. 73, non richiede necessariamente l’imputazione alla contribuente, e l’accertamento, di una finalità elusiva volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe (in questo senso cfr. Cass. 11/04/2022, n. 11709 e n. 11710, tra le stesse parti).
Può, quindi, formularsi il seguente principio di diritto: « In materia di imposte sui redditi delle società, l’art. 73, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986 individua i criteri di collegamento (la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale), paritetici ed alternativi, delle società e degli enti con il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, determina la residenza in Italia e l’assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano, a prescindere dall’accertamento di un’eventuale finalità elusiva della contribuente, che sia volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe».
4.2 Nel caso sub iudice, tra i criteri alternativi e paritetici descritti nell’art. 73, terzo comma, t.u.i.r., viene in rilievo quello della «sede dell’amministrazione».
Questa Corte, a proposito dell’interpretazione del relativo concetto, ha già avuto modo di precisare, e di ribadire recentemente, che « la nozione di “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, deve ritenersi coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (Cass., 16/06/1984, n. 3604, 04/10/1988, n. 5359, 18/01/1997, n. 497, 13/04/2004, n. 7037, 12/03/2009, n. 6021, 28/01/2014, n. 2813);
un analogo principio è stato affermato, con specifico riferimento all’art. 73, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986, da Cass. pen., 24/01/2012, n. 7080, 21/02/2013, n. 32091, 13/07/2018, n. 50151;» (così Cass. 03/06/2021, n. 15424, in motivazione; nello stesso senso Cass. 21/06/2019, n. 16697, in motivazione).
Sebbene la controversia in questione interessi una fattispecie di pretesa residenza non effettiva in un paese extracomunitario, non priva di rilevanza sistematica è comunque la considerazione che, nel contesto internazionale, anche la giurisprudenza comunitaria mostra di convergere sulla rilevanza della “sede effettiva”, nel senso appena precisato, ai fini della determinazione della residenza fiscale.
E’ stato infatti già sottolineato da questa Corte che « sullo stesso specifico punto, la citata sentenza della Corte di giustizia 28 giugno 2007, Planzer Luxembourg Sàrl, ha statuito che la nozione di sede dell’attività economica “indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultima” (punto 60), e che la determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica “la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie” (punto 61);» (così Cass. 03/06/2021, n. 15424, in motivazione; nello stesso senso Cass. 21/06/2019, n. 16697, in motivazione).
Un contributo, al fine di orientare l’interpretazione del significato di «sede dell’amministrazione», è fornito anche dal diritto pattizio, ed in particolare dalle convenzioni stipulate tra gli Stati per disciplinare la rispettiva competenza impositiva, stipulate sulla base di modelli e commentari condivisi e, quanto meno, sintomatici di una definizione degli elementi di collegamento territoriale diffusa nel più ampio contesto internazionale.
A supporto ulteriore della rilevanza della “sede effettiva” va quindi anche considerato che l’art. 4, paragrafo 3, dell’ Accordo tra il Governo della Repubblica Italiana ed il governo della Repubblica Popolare Cinese per evitare le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, sottoscritto a Pechino il 31 Ottobre 1986 e ratificato in Italia con legge 31 ottobre 1989, n. 376, dispone, quale tie-breaker rule, che « Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, si ritiene che essa è residente dello Stato in cui si trova la sua sede centrale o la sede della sua direzione effettiva.».
Il riferimento alla sede della «direzione effettiva», definita place of effective management (c.d. POEM), quale luogo in cui vengono adottate le decisioni più importanti relative alla gestione della società nonché allo svolgimento dell’attività d’impresa, peraltro, non viene meno neppure nel nuovo accordo tra i due Stati, in corso di ratifica, ma è mediato da un possibile mutuo accordo tra le rispettive autorità fiscali, che tenga in considerazione anche il luogo ove è situata la sede della direzione effettiva della società, seguendo l’evoluzione dell’articolo 4, paragrafo 3, del Modello OCSE, che, a partire dal 2017 (sulla scia di considerazioni manifestate sin dalla versione del 2008 del relativo Commentario), per rispondere alle criticità emerse in precedenza, accanto al riferimento, non più esclusivo, al place of effective management, predilige un approccio case-by-case al problema della doppia residenza delle società, da risolversi preferibilmente con una procedura amichevole tra gli Stati interessati,
Il criterio applicato dall’articolo 4, paragrafo 3, del Modello OCSE, come modificato dal 2017, è infatti quello del luogo dove le autorità Fiscali degli Stati contraenti, di comune accordo, determinano la residenza, tenendo conto della combinazione di diversi fattori, sia formali che sostanziali, tra i quali continua ad essere menzionato il place of effective management, ma come uno (non l’unico) dei possibili elementi rilevanti: « Where by reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an individual is a resident of both Contracting States, the competent authorities of the Contracting States shall endeavour to determine by mutual agreement the Contracting State of which such person shall be deemed to be a resident for the purposes of the Convention, having regard to its Place of effective management, the place where it is incorporated or otherwise constituted and any other relevant factors. In the absence of such agreement, such person shall not be entitled to any relief or exemption from tax provided by this Convention except to the extent and in such manner as may be agreed upon by the authorities of the Contracting States.».
Peraltro, già prima della modifica della tie-breaker rule di cui all’articolo 4, paragrafo 3, del Modello OCSE, i rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria italiana presso l’OCSE avevano apposto un’ osservazione all’art. 4 del relativo Commentario, il quale, nella versione del 2000, precisava che, nella maggior parte dei casi, la sede di direzione effettiva coincide con il luogo in cui le persone che esercitano le funzioni di rango più elevato prendono le proprie decisioni e sono, quindi, definite le azioni principali dell’ente.
L’Italia aveva infatti esplicitato di non condividere interamente l’interpretazione di sede di direzione effettiva esposta nel paragrafo 25 del Commentario all’art. 4 del Modello OCSE, ritenendo che “nel determinare la sede di direzione effettiva deve essere preso in considerazione il luogo ove l’attività principale e sostanziale dell’ente è esercitata”.
Tale osservazione è stata ribadita nelle successive versioni del Commentario pubblicate nel 2003 e nel 2005 e (con modifiche) in quelle pubblicate nel 2008, nel 2010 e nel 2014.
In parallelo, attraverso la prassi (risoluzione n. 312/E del 5 novembre 2007), l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che tale osservazione è nella sostanza coerente con la tesi erariale secondo cui per individuare la sede di direzione effettiva di una società non basta fare riferimento al luogo di svolgimento della “prevalente attività direttiva e amministrativa”, ma occorre considerare anche il “luogo ove è esercitata l’attività principale”.
In tale prospettiva, quindi, il luogo di svolgimento dell’oggetto principale della società non integra tanto un criterio a sé stante e contrapposto a quello del place of effective management, ma contribuisce ad identificare quest’ultimo, come sede di direzione effettiva.
In questo senso, invero, vanno letti quei precedenti di legittimità citati dalla controricorrente, che, pur considerando la predetta osservazione dell’Italia al Commentario OCSE, concludono che « Va, infatti, considerato che l’attività principale e sostanziale di una società si concretizza nella sua gestione amministrativa, nella programmazione di tutti gli atti necessari affinché il fine sociale venga raggiunto, nella organizzazione economico-finanziaria della stessa, e non nella esplicazione materiale degli obblighi contrattuali assunti, con la prestazione dei relativi servizi […]» (Cass. pen. 24/01/2012, n. 7080, in motivazione, il cui principio di diritto è richiamato da Cass. pen. 08/04/ 2013, n. 16001, pure citata nel controricorso; mentre Cass. 07/02/2013, n. 2869, a sua volta citata, individua la “sede dell’amministrazione” in coincidenza con la “sede effettiva”, come « il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente»).
Tirando, quindi, le fila di tali premesse, deve ribadirsi, in conformità all’orientamento di questa Corte recentemente ribadito (Cass. 03/06/2021, n. 15424, cit.; Cass. 21/06/2019, n. 16697, cit.), che ai sensi dell’art. 73, terzo comma, d.P.R. n. 917 del 1986, la nozione di “sede dell’amministrazione”, contrapposta alla “sede legale”, coincide con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione dell’ente e dove si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente .
Fermo restando che tale valutazione, nel singolo caso concreto, proprio perché finalizzata all’accertamento di un dato “effettivo”, non può non tenere conto anche di quei rilevanti fattori sostanziali ( tra i quali in ipotesi lo svolgimento dell’attività principale) che, a fronte di dati formali relativi alla collocazione geografica del luogo dove si svolga l’attività amministrativa e di direzione, depongano invece per l’ effettiva riconduzione di quest’ultima ad un diverso contesto territoriale.
La necessità della verifica, nel caso concreto, di un complesso di dati sostanziali è emersa, in sede penale, a proposito della società̀ con sede legale estera controllate da società con sede in Italia, quando si è affermato che non può̀ costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della “direzione effettiva” l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative, qualora esso s’identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società̀ controllante italiana, precisando che in tal caso è necessario accertare anche che la società̀ controllata estera non sia costruzione di puro artificio, ma corrisponda a un’entità̀ reale che svolge effettivamente la propria attività̀ in conformità̀ al proprio atto costitutivo o allo statuto (Cass. pen., 24/10/2014, n. 43809, richiamata da Cass. civ. 21/12/2018, n. 33234, in motivazione), non essendo le società̀ esterovestite, per ciò soltanto, prive della loro autonomia giuridico-patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabili come schermi (Cass. pen. 07/11/2018, n. 50151, richiamata da Cass. civ. 21/12/2018, n. 33234, cit.).
4.3 Venendo al caso in esame, la sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei predetti principi, giacché, come emerge dalla sua motivazione, senza neppure premettere quale dei criteri alternativi (sede legale, sede dell’amministrazione od oggetto principale) di cui all’art. 73, terzo comma, P.R. n. 917 del 1986 stesse valutando, ha aprioristicamente escluso che possa avere rilevanza «il luogo dove sono determinati gli indirizzi generali dell’attività societaria», apoditticamente privilegiando quello dove «in via continuativa ed in concreto, viene gestita l’ordinaria amministrazione», a sua volta declinata in concreto in termini meramente operativi (contrattazioni, direttive al personale e cura del processo produttivo), con un non meglio precisato ridimensionamento rispetto al necessario parametro più ampio di riferimento alle attività amministrative e di direzione effettiva dell’ente.
Nel medesimo contesto argomentativo, ma in netto contrasto con la premessa che a priori nega ogni rilevanza al luogo dove sono determinati gli indirizzi generali dell’attività societaria e privilegia quello nel quale si svolge la produzione (ovvero la Cina), la sentenza impugnata ha poi affermato che si deve considerare il « luogo dove si realizzi l’effettivo dominio sulla società che, nel caso in contestazione, risulta realizzato dal management della capogruppo statunitense», ipotesi che allora dovrebbe collocare la residenza della contribuente negli Stati Uniti.
Oltre che contraddittoria con la premessa posta nella stessa motivazione, tale ultima conclusione, violando i principi sinora illustrati (in particolare al punto 5.2), sembra supporre che vi sia una pressoché automatica sovrapposizione tra sede della società capogruppo e residenza delle società appartenenti al gruppo, ma si è già chiarito che non vi è una necessaria astratta corrispondenza tra il dato formale della relazione di controllo tra società e quello sostanziale, da accertare in concreto, della residenza effettiva della società controllata.
Non è poi comprensibile, nel contesto della motivazione, l’affermazione della CTR secondo cui l’esercizio entro i confini nazionali dell’attività di direzione e coordinamento implicherebbe, per la struttura preposta a tale attività, ai sensi dell’art. 162 d.p.r. n. 917 del 1986, «la qualificazione, al più, di stabile organizzazione».
Premesso che la sentenza impugnata non chiarisce a quale società dovrebbe, nel caso di specie, attribuirsi la qualità di « stabile organizzazione», e ricordato che, per la citata norma, quest’ultima designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato, deve comunque rilevarsi che, come dedotto dalla ricorrente, non è ipotizzabile che la società che eserciti il potere di direzione e coordinamento sia una “stabile organizzazione” di quella sulla quale lo stesso potere viene esercitato.
4.4 La necessità di un accertamento concreto della “sede effettiva” della contribuente, secondo i principi già richiamati, non può poi ritenersi soddisfatta dalla mera elencazione, nella parte della sentenza impugnata dedicata allo svolgimento del processo, degli indizi offerti dall’Amministrazione in ordine alla residenza in Italia della contribuente, né dal generico richiamo, con clausola di stile, alla logica ed esaustiva decisione come espressa dai primi giudici.
Va, invero, premesso che in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente, sotto i tre caratteri individuanti la presunzione (gravità, precisione, concordanza), fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 16/11/2018, n. 29635; Cass. 04/08/2017, n. 19485; Cass. 15/11/2021, n. 34248l).
Va poi aggiunto che In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (ex plurimis Cass. 12/04/2018, n. 9059; Cass. 16/07/2018, n. 18822).
Non si è attenuta a tali principi la CTR, giacché la motivazione non rende conto del complesso procedimento di valutazione degli elementi indiziari offerti dall’Ufficio, in particolar modo con riferimento alle dichiarazioni dell’ ing. Verdi, membro del c.d.a. della contribuente, rese nel p.v.c. (per autosufficienza individuato dalla ricorrente , tra le produzioni nel merito, come allegato al ricorso introduttivo) e localizzate puntualmente, oltre che riassunte, anche nel ricorso per cassazione.
Tali dichiarazioni – relative alla correlazione tra la dirigenza italiana e la società cinese, in ordine alle direttive attinenti l’amministrazione e la produzione- dovevano pertanto essere valutato in correlazione al più ampio quadro indiziario, risultante dal medesimo p.v.c. e richiamato nel ricorso (ad esempio con riferimento alla costante presenza in Italia dei membri del c.d.a. della contribuente, dei quali solo il Verdi si recava in Cina con una certa regolarità; all’assenza di compensi corrisposti dalla società cinese ai suoi amministratori italiani, le cui rare trasferte in Cina erano rimborsate dalla stessa società italiana controllante; alla correlazione tra i fatturati delle due società). Né comunque, come avvenuto nella motivazione della sentenza di primo grado (riprodotta in parte qua nel ricorso e richiamata con clausola di mero stile dalla sentenza d’appello), le stesse dichiarazioni potevano essere aprioristicamente private di rilevanza indiziaria, ai sensi dell’art. 2729 cod.civ., e ritenute «dubbie», «essendo il teste sprovvisto di conoscenze in materia fiscale e tributaria», dovendo il giudice del merito valutare la gravità, la precisione e la concordanza di dati fattuali dichiarati dal terzo (e non certo l’autorevolezza di un suo parere tecnico o giuridico).
Infine, deve rilevarsi che la corretta interpretazione dei canoni normativi di individuazione della residenza della contribuente, da condurre ai sensi dei principi esposti nei punti 5-5.3 che precedono, rende comunque necessario, nel caso di specie, reiterare nel merito il conseguente accertamento in fatto, da condurre in base ai criteri descritti.
Pertanto, in conformità ad altri precedenti tra le stesse parti per diverse annualità ( Cass.21/03/2022, nn. 11709 ed 11710), la sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice a quo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 24 maggio 2021, n. 14194 - In tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 31 maggio 2019, n. 14989 - In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 36211 depositata il 12 dicembre 2022 - In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell'art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni "gravi, precise e concordanti", laddove il requisito della "precisione" è…
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