Corte di Cassazione ordinanza n. 23334 depositata il 26 luglio 2022
giudicato interno – formazione
RILEVATO CHE
Agenzia delle entrate propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Friuli-Venezia Giulia aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 108/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Udine in accoglimento del ricorso proposto avverso avviso di accertamento relativo al classamento di unità immobiliare della contribuente;
la contribuente resiste con controricorso
CONSIDERATO CHE
1.1 va preliminarmente respinta l’eccezione di giudicato interno sollevata dalla controricorrente circa la pretesa mancata impugnazione, in appello, dell’autonoma statuizione, contenuta nella sentenza di prime cure, circa l’inammissibilità delle difese dell’Ufficio, poste ad integrazione dell’atto impositivo;
1.2 la doglianza è infondata;
1.3 sul punto la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la formazione della cosa giudicata su un capo della sentenza per mancata impugnazione può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi perché fondati su distinti presupposti di fatto e di diritto, sicché l’acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata non si verifica quando queste si pongano in nesso consequenziale con altra e trovino in essa il suo presupposto (Cass. Sez. L, Sentenza n. 18713 del 23/09/2016; Sez. 2 -, Ordinanza n. 12649 del 25/06/2020);
1.4 si è pure specificato (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17935 del 23/08/2007; Sez. L -, Sentenza n. 24358 del 04/10/2018; Sez. 3 -, Ordinanza n. 2379 del 31/01/2018) che, mentre il giudicato interno può formarsi solo su capi di sentenza autonomi, sono privi del carattere dell’autonomia i meri passaggi motivazionali, ossia le premesse logico-giuridiche della statuizione adottata, come pure le valutazioni di meri presupposti di fatto che, unitamente ad altri, concorrono a formare un capo unico della decisione;
1.5 anche per Cass. Sez. 1 – , Sentenza n. 21566 del 18/09/2017, in tema di appello, la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dar luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, avendo risolto questioni controverse che, in quanto dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente ad altri, concorrano a formare un capo unico della decisione;
1.6 con riferimento al caso di specie, l’individuazione contenuta nella sentenza di primo grado circa l’inammissibilità delle argomentazioni difensive dell’Ufficio rivolte a sopperire alla mancanza di motivazione dell’atto impositivo, non può costituire un capo autonomo della sentenza, che ha accolto il ricorso introduttivo per carenza di motivazione dell’avviso di accertamento in questione, rappresentando, invero, solo un elemento della vicenda processuale in relazione a quanto dedotto in appello dall’Ufficio circa l’insussistenza di un obbligo di motivazione dell’atto impositivo per mancata modifica delle caratteristiche del compendio immobiliare rispetto alle dichiarazioni DOCFA presentate dalla contribuente;
1.7 va altresì disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per essere formato con trascrizioni compilative degli atti di causa precedenti, senza una sintesi dei contenuti;
1.8 sull’inammissibilità dei cosiddetti ricorsi <<farciti>> o <<sandwich>>, avuto riguardo al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, si è pronunciata più volte questa Corte (cfr. Cass. n. 784/2014, n. 22792/2013, n. 10244/2013; n. 17447/2012, S.U. n. 5698/2012, n. 1380/2011, n. 15180/2010);
1.9 nel caso in esame, la materiale integrazione del ricorso per cassazione con documenti ed atti processuali delle fasi di merito non determina il paventato vizio, in quanto i documenti, integralmente riprodotti, risultano facilmente individuabili ed isolabili, il che consente di enucleare, con sufficiente chiarezza, i fatti salienti della vicenda processuale, e le ragioni dell’impugnazione (cfr. Cass. 13334/2019; Cass. 2913/2019; Cass. 20112/2018, n. 18363/2015, n. 1957/2004);
1.10 va parimenti disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c., che, invero, si applica soltanto laddove la giurisprudenza della Corte di Cassazione già abbia giudicato nello stesso modo della sentenza di merito la specifica fattispecie proposta dal ricorrente oppure quando il caso concreto non sia stato ancora deciso ma, tuttavia, si presti palesemente ad essere facilmente ricondotto, secondo i principi applicati da detta giurisprudenza, a casi assolutamente consimili, e comunque in base alla logica pacificamente affermata con riguardo all’esegesi di un istituto nell’ambito del quale la vicenda particolare pacificamente si iscriva;
1.11 evenienze, queste, che non ricorrono nella fattispecie in esame perché le censure formulate, a prescindere dalla loro fondatezza, mettono in discussione la corretta applicazione, da parte dei Giudici di appello, dei principi di diritto già affermati da questa Corte in tema di motivazione di atto di rettifica di classificazione catastale proposta dai contribuenti a seguito di denuncia DOCFA;
1.12 va altresì disattesa l’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto rivolto a sindacare la motivazione della sentenza impugnata diretto al mero riesame del merito;
1.13 le critiche sollevate dalla ricorrente risultano invero adeguatamente formulate con argomenti in iure circa l’erronea applicazione della normativa relativa alla motivazione dell’avviso di accertamento di rettifica dei dati catastali in presenza di dati rimasti immutati rispetto alla denuncia DOCFA;
2.1 poste tali premesse, con unico motivo la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (art. 7 n. 212/2000) e lamenta che la CTR abbia erroneamente accolto le doglianze della contribuente circa la mancanza di motivazione del provvedimento di classamento ed attribuzione della rendita;
2.2 la censura è fondata;
2.3 premesso che la stessa contribuente ha confermato di aver proposto richiesta DOCFA, con riferimento all’attribuzione della rendita catastale mediante la procedura disciplinata dall’art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, 16, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 1993, n. 75, e dal d.m. 19 aprile 1994, n. 701 (cosiddetta procedura DOCFA), questa Corte (Cass. n. 3394 del 2014) ha, condivisibilmente, ritenuto che, in ipotesi di classamento di un fabbricato mediante l’indicata procedura, l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni date dal contribuente deve contenere un’adeguata – ancorché sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria, affermando, appunto, che l’Ufficio «non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perché la proposta avanzata dal contribuente con la Dofca viene disattesa»;
2.4 tale principio contrasta, solo in apparenza, con la giurisprudenza (cfr. Cass. n. 2268 del 2014) secondo cui in tali ipotesi l’obbligo di motivazione è soddisfatto mediante la mera indicazione nell’atto di rettifica dei dati oggettivi e della classe attribuiti dall’Agenzia, trattandosi di elementi conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente e tenuto conto della struttura fortemente partecipativa dell’atto;
2.5 ed invero, questa Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia trarendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati; in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. n. 31809 del 2018, n. 23237 del 2014, n. 21532 del 2013);
2.6 nel primo caso, infatti, gli elementi di fatto indicati nella dichiarazione presentata dal contribuente, non disattesi dall’Ufficio, risultano immutati, di talché la discrasia tra la rendita proposta e la rendita attribuita si riduce ad una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, ed in simili ipotesi risulta evidente che la presenza e la adeguatezza della motivazione rilevino, non già ai fini della legittimità dell’atto, ma della concreta attendibilità del giudizio espresso, diversamente, laddove la rendita proposta con la DOCFA non venga accettata in ragione di ravvisate differenze relative a taluno degli elementi di fatto indicati dal contribuente, l’Ufficio dovrà, appunto, specificarle per i motivi sopra indicati;
2.7 nel caso in esame la CTR non ha fatto corretta applicazione di tali principi, laddove ha ritenuto non sufficientemente motivato l’avviso di accertamento pur ponendo in rilievo come l’atto di classamento traesse origine in conseguenza di una richiesta di variazione con DOCFA del contribuente sulla base <<dell’ampio dibattito apertosi in dottrina e giurisprudenza … sulla interpretazione dell’art. 2, comma 40, d.l. n. 262/2006 conv. in legge n. 286/2006 e sulla categoria catastale nella quale inserire gli Enti fieristici e simili>>;
2.8 l’atto impositivo risultava quindi sufficientemente motivato, assumendo all’uopo rilievo l’attribuzione di una diversa categoria catastale che pone in luce come il nuovo classamento non si sia fondato su elementi di fatto diversi da quelli indicati dal contribuente, ma su una differente valutazione compiuta dall’Ufficio sul valore economico del bene, ed a ciò consegue che l’onere motivazionale, in ragione della procedura partecipata in esame (DOCFA), può dirsi pienamente adempiuto con l’attribuzione della categoria diversa da quella indicata dal contribuente fondata proprio sulla indicata valutazione tecnica;
3. quanto sin qui illustrato comporta l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata;
4. inoltre, non richiedendosi, per la risoluzione della controversia, alcun altro accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 1, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente;
5. poiché l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, in base al quale si è decisa la causa, s’è consolidato dopo la proposizione del ricorso introduttivo, si ritiene opportuno compensare tra le parti le spese processuali delle fasi di merito, con condanna della controricorrente al pagamento delle spese del presente grado, con liquidazione come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente, compensando tra le parti le spese processuali dei gradi di merito; condanna la controricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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