Corte di Cassazione ordinanza n. 23381 depositata il 26 luglio 2022

Rimborso IVA – Cessioni intracomunitarie – processo tributario

RILEVATO CHE

1. con la    sentenza 69/22/13 del 04/07/2013, la Commissione tributaria regionale del Veneto (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate e rigettava l’appello incidentale di S.H. s.p.a. (di seguito S.H.) avverso la sentenza n. 36/07/12 della Commissione tributaria provinciale di Vicenza (di seguito CTP), che aveva accolto parzialmente il ricorso della società contribuente nei confronti del diniego parziale di rimborso IVA relativo all’anno d’imposta 2009;

1.1 come emerge anche dalla sentenza impugnata, il diniego riguardava alcune fatture emesse nel 2005 da E. s.r.l., incorporata da S.H., nei confronti della società inglese T.W. Ltd e nel 2007 dalla stessa S.H. nei confronti della ditta tedesca E.M., società che non godevano dello status di soggetti passivi UE;

1.2 la CTR accoglieva il solo appello dell’Agenzia delle entrate con riferimento alle fatture rilasciate nei confronti di T.W. Ltd, osservando, per quanto ancora interessa in questa sede, che: a) la CTP aveva accolto parzialmente il ricorso della società contribuente in ragione della produzione di due documenti provenienti dall’ufficio doganale inglese e dal legale rappresentante di T.W. Ltd; b) i predetti documenti non erano idonei a comprovare la natura intracomunitaria delle operazioni, poiché non dimostravano la soggettività passiva della società inglese e presentavano varie irregolarità (in particolare, la dichiarazione rilasciata dal legale rappresentante di T.W. Ltd era redatta in lingua inglese e, comunque, non era ammissibile come prova, trattandosi di dichiarazione di terzo); c) T.W. Ltd aveva iniziato la propria attività nel 2007 mentre le operazioni con S.H. riguardavano l’anno 2005; d) doveva, pertanto ritenersi che le operazioni erano imponibili IVA in quanto eseguite in Italia;

2. S.H. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati da memoria ex 380 bis.1 cod. proc. civ.;

3. l’Agenzia delle entrate non si costituiva in giudizio e restava, pertanto, intimata.

CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo di ricorso S.H. deduce violazione degli artt. 53, comma 2, e 22, comma 1, del lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la CTR dichiarato l’inammissibilità dell’appello in ragione del mancato deposito, da parte dell’Agenzia delle entrate e presso la segreteria della Commissione adita, della ricevuta di spedizione della notifica a mezzo posta dell’atto di appello;

1.1 il motivo è inammissibile;

1.2 secondo la giurisprudenza di questa Corte, «Nel processo tributario, non costituisce motivo d’inammissibilità del ricorso (o dell’appello), che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente (o l’appellante), al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purché nell’avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario. Solo in tal caso, infatti, l’avviso di ricevimento è idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione; invece, in loro mancanza, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull’avviso di ricevimento può essere superata, ai fini della tempestività della notifica del ricorso (o dell’appello), unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall’agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto (o della sentenza)» (Cass. S.U. n. 13452 del 29/05/2017; conf. Cass. n. 11559 del 11/05/2018);

1.3 orbene, il ricorrente ha sostenuto la nullità dell’atto di appello in ragione del mancato deposito della ricevuta di spedizione, ma nulla ha precisato con riferimento al mancato deposito dell’avviso di ricevimento, con conseguente difetto di specificità del ricorso in parte qua;

1.4 né sono idonee a integrare il motivo le successive specificazioni contenute con la memoria ex 380 bis.1 cod. proc. civ., che ha carattere illustrativo e non integrativo;

2. gli altri motivi possono essere esaminati unitariamente in ragione della loro stretta connessione, inerendo tutti alle fatture emesse da E. s.r.l., poi incorporata in S.H., nei confronti della società inglese T.W. Ltd;

2.1 con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione degli artt. 122 e 123 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto la inammissibilità del deposito di documenti in lingua straniera;

2.2 con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 2727 e 2697 cod. civ. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR indebitamente ritenuto che le dichiarazioni di terzo non siano utilizzabili nel processo tributario;

2.3 con il quarto motivo si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dai certificati delle autorità fiscali inglesi, dai quali si evincerebbe l’adesione di T.W. Ltd al gruppo IVA fin dal 2005, sicché la stessa sarebbe dotata di soggettività passiva UE;

2.4 con il quinto motivo di ricorso si contesta la violazione degli 41, 46 e 50 del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. nella l. 29 ottobre 1993, n. 427 e degli artt. 22 e 28 della direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977 (sesta direttiva), per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’indicazione di un codice identificativo IVA erroneo sia rilevante ad escludere la non imponibilità dell’operazione;

3. i motivi sono complessivamente fondati per le ragioni che seguono;

3.1 la CTR afferma che la CTP avrebbe errato a riconoscere a S.H. il diritto al rimborso dell’IVA fondandosi sui seguenti assunti:

a) la dichiarazione del legale rappresentante di T.W. Ltd è redatta in lingua inglese e, quindi, è inutilizzabile; b) le dichiarazioni di terzo non sono comunque ammissibili come prova nel processo tributario; c) T.W. Ltd ha iniziato la sua attività solo nel 2007 ed è indicata con un numero di partita IVA erroneo;

3.2 le superiori affermazioni non sono conformi al diritto per come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte;

3.2.1 in primo luogo, deve evidenziarsi che «Nel processo tributario, come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non anche per i documenti prodotti dalle parti, relativamente ai quali il giudice ha, pertanto, la facoltà, e non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore ex art. 123 cod. proc. civ., di cui si può fare a meno allorché non vi siano contestazioni sul contenuto del documento o sulla traduzione giurata allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice, mentre, al di fuori di queste ipotesi, è necessario procedere alla nomina di un traduttore, non potendosi ritenere non acquisiti i documenti prodotti in lingua straniera» (Cass. n. 12525 del 17/06/2015; conf. Cass. n. 24980 del 09/11/2020);

3.2.2 ne consegue che la CTR non avrebbe potuto non apprezzare il contenuto dei documenti prodotti in lingua straniera e, occorrendo, avrebbe dovuto disporne una traduzione, con conseguente fondatezza del secondo motivo di ricorso;

3.2.3 quanto alle dichiarazioni di terzo, il divieto di prova testimoniale posto dall’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, sia da parte dell’Agenzia delle entrate che del contribuente, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento ovvero le dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale; tali dichiarazioni, che rilevano quali elementi indiziari, possono concorrere a formare il convincimento del giudice unitamente ad altri elementi (cfr. Cass. n. 29757 del 19/11/2018; Cass. n. 6616 del 16/03/2018; Cass. n. 9080 del 07/04/2017; Cass. n. 8369 del 05/04/2013);

3.2.4 erra, pertanto, la CTR nell’escludere valenza probatoria tout court alle dichiarazioni rese dal legale rappresentante di T.W. Ltd: il giudice di appello avrebbe dovuto valutare tale dichiarazione unitamente agli altri elementi probatori, con conseguente fondatezza anche del terzo motivo di ricorso;

3.2.5 è incorsa ulteriormente in errore la CTR – con conseguente fondatezza del quinto motivo di ricorso – allorquando ha ritenuto l’imponibilità delle cessioni sul presupposto dell’erronea indicazione del codice identificativo IVA del soggetto cessionario: è noto, infatti, che «l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale che non incide sul regime di esenzione previsto per gli scambi tra operatori comunitari, quando la ricorrenza, in capo al destinatario, della qualità di soggetto d’imposta nello Stato d’appartenenza, secondo il principio di tassazione del luogo di destinazione dei beni, non sia contestata e non sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode» (Cass. n. 25651 del 15/10/2018; conf. Cass. n. 12822 del 13/05/2021);

3.2.6 la CTR, pertanto, non si sarebbe dovuta limitare ad apprezzare il dato formale della indicazione di un codice identificativo IVA erroneo, ma avrebbe dovuto considerare tale dato nel complesso degli elementi probatori acquisiti agli atti, al fine di ritenere l’effettiva esistenza della frode;

3.2.7 infine, il giudice di appello ha totalmente omesso di verificare che il codice IVA indicato dalla ricorrente e ritenuto erroneo sarebbe quello del gruppo IVA di cui fa parte anche la società cessionaria fin dal 2005: detta evidenza, debitamente allegata da S.H., non è stata in alcun modo presa in considerazione dalla sentenza impugnata, con conseguente fondatezza anche del quarto motivo di ricorso;

4.vin conclusione, vanno accolti i motivi secondo, terzo, quarto e quinto del ricorso, rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla CTR del Veneto, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.