Corte di Cassazione ordinanza n. 24338 depositata il 5 agosto 2022
divieto di nova in appello – il contribuente può emendare la dichiarazione IVA anchein sede contenzioso
RILEVATO CHE
– La T. s.r.l. proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento, emessa a seguito del controllo automatizzato ai sensi degli 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972, con la quale l’Ufficio recuperava l’IVA dichiarata a debito, ma non versata, relativa all’anno 2009, per € 86.599,00, oltre sanzioni e interessi;
– dalla sentenza impugnata risulta che:
– la società ricorrente sosteneva che il debito era frutto di alcuni errori materiali, non avendo riportato in dichiarazione il credito corretto, così come risultava confermato dalla documentazione contabile prodotta e dalla perizia di parte;
– la CTP di Pavia rigettava il ricorso, in quanto la documentazione allegata dalla ricorrente era incompleta;
– la CTR rigettava l’appello proposto dalla contribuente, osservando che il debito IVA non derivava da un errore materiale di compilazione della dichiarazione, ma da errori sistematici relativi a molteplici dati e quadri della dichiarazione che l’Ufficio non avrebbe potuto rettificare, essendo stato commesso un errore già nel calcolo progressivo delle liquidazioni periodiche, relative all’esercizio 2009, viziate da un dato errato riguardante il credito per l’anno 2008, indicato in misura superiore a quanto esposto nella relativa dichiarazione (da € 50.000,00 ad € 218.000,00), che non trovava alcuna rispondenza con il dato indicato al rigo VL39 della dichiarazione IVA per l’anno 2008;
– in ogni caso, al fine di emendare l’eventuale errore, la contribuente non aveva presentato la dichiarazione integrativa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione per l’anno 2010, ai sensi dell’art. 2, comma 8-bis del d.P.R. n. 322 del 1998;
– la T. s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, avverso la sentenza indicata in epigrafe, illustrato con memoria;
– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo di ricorso, la T. deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR sostenuto, da un lato, che la contribuente non aveva commesso un errore materiale nella compilazione della dichiarazione, e, dall’altro, che aveva commesso un errore di calcolo, di tipo progressivo, in quanto dipendente da un errore iniziale, il che equivale a qualificarlo come errore materiale, rettificabile con la dichiarazione integrativa;
– con il secondo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2, comma 8-bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, per avere la CTR erroneamente ritenuto che la dichiarazione integrativa doveva essere presentata entro il termine per la presentazione della dichiarazione per l’anno d’imposta 2010, mentre poteva essere presentata anche successivamente: la contribuente, infatti, aveva presentato la dichiarazione integrativa, non appena si era resa conto dell’errore, ossia dopo la comunicazione di irregolarità inviata dall’Ufficio, depositandola, poi, già in primo grado;
– con il terzo motivo, denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 5 cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo, ossia la presentazione in corso di causa della dichiarazione IVA 2010 emendata;
– con il quarto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione della direttiva CE 77-388 art. 18 punto 2, per avere la CTR limitato l’esercizio del diritto della contribuente alla deduzione dell’IVA, non riconoscendole la possibilità di presentare la dichiarazione integrativa anche in corso di causa, pur essendo scaduto il termine previsto per la dichiarazione per l’anno d’imposta 2010;
– con il quinto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973, avendo la CTR fatto riferimento alla predetta disposizione, in concreto non applicabile, visto che la cartella impugnata si riferiva solo al versamento dell’IVA;
– con il sesto motivo, denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 3 cod. proc. civ., la violazione della legge n. 241 del 1990, non essendovi prova che gli atti compiuti dall’Ufficio, ivi compresi gli atti di costituzione nei precedenti gradi di giudizio, fossero stati firmati o delegati da un dirigente munito di poteri;
– per esigenze di priorità logica va esaminata prima quest’ultima censura;
– occorre rammentare che, secondo questa Corte, “in tema di contenzioso tributario, il giudice d’appello, attesa la particolare natura del giudizio, non può decidere la controversia sulla base di un’eccezione (nella specie, relativa alla mancanza di qualifica dirigenziale del sottoscrittore dell’atto impositivo) non ritualmente dedotta con l’originario ricorso introduttivo” (Cass., 23.06.2017, n. 15769);
– nel processo tributario, il divieto di nova in appello, ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, si applica sia alle domande che alle eccezioni in senso proprio, intese come lo strumento processuale con cui il contribuente, fa valere un fatto giuridico avente efficacia impeditiva, modificativa o estintiva della pretesa fiscale, che implica la deduzione di fatti che richiedono una specifica indagine, non effettuabile per la prima volta in appello (Cass., 30.10.2018, n. 27562);
– l’eccezione riguardante l’asserita carenza di potere del funzionario che ha sottoscritto l’atto impugnato, a prescindere dalla sua infondatezza, risulta sollevata per la prima volta in sede di legittimità, non avendo la ricorrente dimostrato di averla dedotta con il ricorso introduttivo, ed è, quindi, inammissibile;
– ciò posto, il primo e il secondo motivo sono fondati nei limiti e con le precisazioni di seguito indicati;
– occorre innanzitutto evidenziare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, dalla sentenza impugnata non si evince che la contribuente abbia esposto un fittizio credito IVA per l’anno 2008, ma solo che “risulta evidente l’errore commesso nel calcolo progressivo delle liquidazioni periodiche relative all’esercizio 2009, essendo dette liquidazioni assolutamente viziate da un dato errato in partenza concernente il credito per l’anno 2008 che è stato inspiegabilmente indicato in misura superiore a quanto esposto nella relativa dichiarazione; infatti, la variazione del credito IVA dell’anno 2008 da € 50.000 a € 218.000, contenuta nelle modifiche apportate dalla contribuente rispetto alla dichiarazione originaria, appare all’evidenza ingiustificata non trovando alcuna corrispondenza con il dato indicato al rigo VL 39 della dichiarazione Iva per l’anno 2008”;
– la contribuente sostiene di avere corretto l’errore commesso presentando la dichiarazione integrativa, non appena si era resa conto dello stesso, dopo avere ricevuto dall’Agenzia delle Entrate in data 12.06.2012 la comunicazione di irregolarità, all’esito del controllo automatizzato;
– secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, il contribuente che abbia compiuto errori e/o omissioni nella dichiarazione dei redditi con conseguente danno a suo carico, deve emendare la dichiarazione entro il successivo periodo di imposta, fermo restando che può sempre opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (ex multis, Cass. Sez. U. 30.06.2016, n. 13378);
– il principio è stato ritenuto applicabile anche in materia di IVA, quando dalla dichiarazione affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico (Cass. 30.07.2018, n. 20119);
– nel caso in esame la contribuente non ha tempestivamente proceduto alla correzione dell’errore denunciato (così come evidenziato dalla CTR), ma si è tuttavia opposta alla ripresa dell’Ufficio, fondata, nella prospettazione difensiva, su un errore nella compilazione della dichiarazione;
– la CTR ha, dunque, errato nel sostenere che la T. non potesse contestare l’esistenza del menzionato errore in sede di opposizione a cartella di pagamento notificata ai sensi dell’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972;
– il giudice di appello avrebbe dovuto, invece, verificare, nel merito, se la dichiarazione del contribuente fosse effettivamente infedele ovvero se fosse viziata da un errore emendabile e trarne le dovute conseguenze ai fini della fondatezza o infondatezza dell’impugnazione proposta;
– l’accoglimento dei primi due motivi rende superfluo l’esame del terzo, quarto e quinto motivo, che restano assorbiti;
– in conclusione, vanno accolti i primi due motivi, dichiarato inammissibile il sesto, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il sesto, assorbiti gli altri e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio;
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