Corte di Cassazione ordinanza n. 25188 depositata il 24 agosto 2022
IVA – redito IVA anno precedente va riconosciuto anche in caso di omessa dichiarazione
RILEVATO CHE:
- l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, depositata il 16 gennaio 2012, che, in accoglimento dell’appello proposto dalla L. s.r.l., ha annullato la cartella di pagamento notificata per omesso versamento di imposte relative all’anno 2004;
- dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tale cartella era stato disconosciuto il credito di imposta indicato nella dichiarazione resa per l’anno 2004, in quanto maturato nel periodo di imposta precedente, in relazione al quale la contribuente non aveva presentato la relativa dichiarazione;
- il giudice di appello ha accolto il gravame della società evidenziando che all’omessa presentazione della dichiarazione non conseguiva la perdita del diritto alla detrazione, laddove esercitato entro il termine di decadenza biennale, residuando all’Amministrazione finanziaria unicamente il potere di contestare la sussistenza del credito fiscale;
- il ricorso è affidato a due motivi;
- resiste con controricorso la M. s.r.l.;
CONSIDERATO CHE:
- occorre preliminarmente rilevare che la società ha avanzato domanda di definizione agevolata della lite ai sensi dell’art. 6, d.l. 23 ottobre 2018, 119, conv., con modif., nella I. 17 dicembre 2018, n. 136, ma tale domanda è stata respinta dall’Amministrazione finanziaria in ragione della non definibilità dell’atto impugnato, in quanto avente natura meramente riscossiva;
- ciò posto, con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli 30 e 54 bis, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, 19 e 55, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 8, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, per aver la sentenza impugnata ritenuto che, in una situazione di omessa presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo di maturazione di un credito i.v.a., il contribuente potesse utilizzare tale credito in detrazione dall’imposta dovuta per l’anno successivo;
- il motivo è infondato;
- la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili (così, Cass., Sez. Un., 8 settembre 2016, n. 17757);
- tale principio trova applicazione anche qualora il credito d’imposta sia esposto nella dichiarazione dell’anno di maturazione e non riportato nella dichiarazione relativa all’anno successivo, atteso che la decadenza è comminata, giusta l’art. 28, quarto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 (ratione temporis vigente), soltanto per il caso in cui il credito (o l’eccedenza di imposta versata) non venga indicato nella prima dichiarazione utile, sempre che la detrazione sia esercitata, ex art. 8, comma 3, del d.P.R. n. 322 del 1998, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui in diritto è sorto (cfr. Cass., ord., 25 luglio 2018, n. 19790; , ord., 20 gennaio 2017, n. 1627);
- la Commissione regionale, nel ritenere irrilevante l’omessa presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta precedente rispetto a quello in cui il credito è stato riportato, ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, per cui rae alla censura formulata;
- con il secondo motivo l’Agenzia deduce, con riferimento all’art. 360 primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 p.c., per aver la Commissione regionale annullato integralmente la cartella di pagamento, benché la domanda originaria avesse ad oggetto solo l’annullamento parziale della stessa, in relazione al contestato disconoscimento del credito i.v.a., e non anche la pretesa erariale avente ad oggetto il mancato versamento dell’i.re.s.;
- il motivo è inammissibile;
- la Commissione regionale dà atto che la società ha impugnato la cartella di pagamento solo nella parte relativa alla pretesa avanzata a titolo di omesso versamento dell’i.v.a., concludendo per l’annullamento parziale dell’atto, benché tale cartella comprendesse anche il credito erariale vantato per omesso versamento dell’i.re.s., e che con il gravame interposto ha censurato la sentenza di primo grado relativamente a tale prima pretesa;
- ha, quindi, esaminato la legittimità dell’atto impugnato limitatamente alla sola pretesa contestata dalla società e, corrispondentemente, motivato la sua decisione unicamente con riferimento a tale domanda;
- tuttavia, il dispositivo reca la statuizione di annullamento della cartella di pagamento, senza alcuna limitazione a una parte di essa;
- viene, dunque, in rilievo un difetto di corrispondenza fra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto del dispositivo della sentenza con le considerazioni contenute nella motivazione, inidoneo ad incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione (cfr. 22 giugno 2020, n. 12187; Cass. 15 gennaio 2019, n. 668);
- un siffatto errore non integra un vizio attinente alla portata concettuale e sostanziale della decisione, ma rientra nell’ambito degli errori materiali, per ovviare ai quali deve fare ricorso al procedimento di cui all’art. 287 cod. civ.;
- per le suesposte considerazioni, dunque, il ricorso non può essere accolto;
- le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 2.300,00, oltre rimborso spese forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
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