Corte di Cassazione ordinanza n. 25223 depositata il 24 agosto 2022
l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 c.p.c. – vizio di omessa pronuncia – mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza
RILEVATO CHE:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 20 maggio 2019 n. 4308/25/2019, che, in controversia su impugnazione di avviso di rettifica e liquidazione per imposta di registro in relazione alla rideterminazione del valore venale della proprietà di una farmacia (comprensiva dell’immobile ove essa era ubicata) sita in Caserta alla Via per Tuoro (“Parco Scala”) e venduta da B.L. a B.A. e B.P. (ciascuna acquirente per la quota di 1/2) con atto del 23 maggio 2015, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti di B.A. e B.P. avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta il 27 marzo 2018 n. 1708/08/2018, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che l’amministrazione finanziaria non avesse dedotto elementi idonei a supportare la rideterminazione del valore venale dell’azienda ceduta (dopo la riduzione del valore di avviamento in sede di autotutela parziale) e che il giudice tributario non potesse supplire al deficit probatorio per la quantificazione della pretesa impositiva. Il ricorso è affidato a due motivi.
B.A. e B.P. si sono costituite con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado l’esame della questione sollevata dall’amministrazione finanziaria in ordine alla corretta rettifica del valore di avviamento dell’azienda ceduta all’esito di un provvedimento di autotutela parziale.
2. Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato deciso l’appello dal giudice di secondo grado con motivazione inesistente, apparente o perplessa con particolare riguardo alla rettifica del valore di avviamento dell’azienda ceduta sulla scorta della comparazione con altra cessione dell’anno 2015.
RITENUTO CHE:
1. Il primo motivo è infondato.
1.1 Invero, è pacifico che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 27 ottobre 2014, n. 22759; Cass., Sez. 6A-3, 16 marzo 2017, n. 6835; Cass., Sez. 6-1, 12 ottobre 2017, n. 23930; Cass., Sez. 5, 23 luglio 2020, n. 15735; Cass., Sez. 5, 6 agosto 2020, n. 16761; Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2020, n. 29901; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6-5, 29 marzo 2021, nn. 8680, 8682 e 8683).
1.2 Ad integrare gli estremi della omessa pronuncia non basta, però, la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessario che sia completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile in riferimento alla soluzione del caso concreto: il che non si verifica quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (Cass., 5, 18 ottobre 2021, n. 28718).
In ogni caso, nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (tra le tante: Cass., Sez. 5, 19 luglio 2021, n. 20438; Cass., Sez. 6-5, 22 ottobre 2021, n. 29665).
1.3 Nella specie, dopo aver delineato il thema decidendum, attraverso una sintetica (ma puntuale) premessa dei motivi di appello, tra i quali oggetto di espressa menzione è anche l’autotutela parziale sulla rideterminazione del valore di avviamento dell’azienda ceduta, la sentenza impugnata si è pronunziata nel senso che l’appellante non aveva addotto argomentazioni idonee a contrastare il decisum di prime cure, ma si era limitato a muovere critiche assolutamente vaghe e generiche, valutando che, «su quelli che sono i punti carenti, sotto il profilo dimostrativo, dell’accertamento impugnato, nessun elemento di diversa valutazione viene adotto rispetto al primo grado (ad eccezione dell’atto di comparazione prodotto in grado di appello), tanto da concretizzare, come ritenuto dalla CTP, una non contestazione dei fatti esposti dalle ricorrenti a sostegno del proprio assunto». La conseguente conclusione del giudice di appello è stata, quindi, che: «L’assenza di allegazioni da parte dell’Ufficio a sostegno dell’accertamento impugnato a fronte delle eccezioni sollevate dalle parti, si traduce nella indimostrata fondatezza della pretesa erariale».
1.4 Ne discende l’insussistenza del vizio denunciato, posto che il giudice di appello si è implicitamente pronunziato sulla questione prospettata, sia pure in assenza di specifiche e pertinenti argomentazioni, avendo disatteso in modo onnicomprensivo la valenza probatoria degli elementi addotti a sostegno della pretesa impositiva (ivi compresa, dunque, la postuma riduzione del valore di avviamento in sede di autotutela parziale).
Difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancanza di espressa statuizione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto (da ultime, in materia tributaria: Cass., Sez. 5, 24 febbraio 2022, n. 6268; Cass., Sez. 5, 23 marzo 2022, n. 9515; Cass., Sez. 5, 28 marzo 2022, nn. 9986 e 9989; Cass., Sez. 5, 6 maggio 2022, nn. 14479 e 14481). Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta, dunque, la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, e dovendo pertanto escludersi il suddetto vizio quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (da ultime, in materia tributaria: Cass., Sez. 5, 14 settembre 2021, n. 24667; Cass., Sez. 5, 12 ottobre 2021, n. 27657; Cass., Sez. 6-5, 26 ottobre 2021, n. 30054; Cass., Sez. 5, 26 novembre 2021, n. 36826; Cass., Sez. 5, 29 novembre 2021, n. 37190; Cass., Sez. 5, 14 gennaio 2022, n. 999).
2. Viceversa, il secondo motivo è fondato.
2.1 Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: , Sez. 5″, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6″-5, 15 aprile 2021, n. 9975).
Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. l”, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6″-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6″-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5″, 13 aprile 2021, n. 9627).
2.2 Nella specie, tuttavia, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia sufficiente o coerente sul piano della logica giuridica, contenendo un’inadeguata esposizione delle ragioni sottese al rigetto dell’appello (al di là di ogni considerazione sul piano della loro fondatezza in diritto), con particolare riguardo all’estimazione del valore di avviamento, al fondamento del provvedimento di autotutela parziale ed all’irrilevanza probatoria (ai fini comparativi) dell’atto indicato dall’amministrazione finanziaria a fronte di una non meglio specificata documentazione prodotta dalle contribuenti.
Si rammenta, in proposito, che, in tema di accertamento tributario, la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’amministrazione finanziaria nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa; con la conseguenza che, fermo restando l’onere della prova gravante sull’amministrazione finanziaria, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, (nella specie, relativo all’imposta di registro sulla cessione di azienda), senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa impositiva (tra le tante: Cass., Sez. 5/\, 8 novembre 2013, n. 25153; Cass., Sez. 5, 22 settembre 2017, n. 22148; Cass., Sez. 5, 25 novembre 2020, n. 26795; Cass., Sez. 5, 29 marzo 2022, n. 10025; Cass., Sez. 5, 8 aprile 2022, n. 11427).
Per cui, la sentenza impugnata non dà conto del percorso argomentativo sotteso alla valutazione negativa degli elementi addotti dall’amministrazione finanziaria, posto anche che il richiamo alla decisione di prime cure si risolve nella acritica ed irragionevole affermazione dell’equivalenza dell’autotutela parziale ad una tacita ammissione dell’infondatezza della rideterminazione del valore di avviamento.
2.3 In tal modo, peraltro, il giudice di appello ha adottato una decisione inidonea ad assolvere la sua funzione di cognizione piena nel merito della pretesa impositiva. Difatti, per costante insegnamento di questa Corte, il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’atto impositivo per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (tra le altre: Cass., Sez. 5/\, 19 novembre 2014, n. 24611; Cass., Sez. 5/\, 30 ottobre 2018, n. 27574; Cass., Sez. 5/\, 4 dicembre 2019, n. 31599; Cass., Sez. 5/\, 2 ottobre 2020, n. 21072; Cass., Sez. 5/\, 11 febbraio 2021, n. 3427; Cass., Sez. 5/\, 18 giugno 2021, n. 17485; Cass., Sez. 5/\, 29 luglio 2021, n. 21681). In quest’ottica, ove il giudice tributario ravvisi la parziale infondatezza della pretesa fiscale (e non anche l’assoluta nullità dell’atto), non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo che la rappresenta, ma è tenuto a quantificare la corretta pretesa dell’amministrazione finanziaria, sia pure entro i limiti tracciati dai petita delle parti (Cass., Sez. 5/\, 28 novembre 2014, n. 25317; Cass., Sez. 51‘, 9 ottobre 2020, n. 21820; Cass., Sez. 5/\, 25 novembre 2020, n. 26795).
Per cui, anche sotto tale profilo, la sentenza impugnata è carente di motivazione adeguata in ordine al mancato esercizio del potere sostitutivo, essendosi limitata al rilievo che il giudice di prime cure non era tenuto alla quantificazione della pretesa impositiva.
2.4 Ne deriva che il decisum non raggiunge la soglia del minimo costituzionale, essendo fondato su argomentazioni inidonee a sorreggere il convincimento del giudice di appello.
3. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del secondo motivo e l’infondatezza del primo motivo, il ricorso può essere accolto entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo e rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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