Corte di Cassazione ordinanza n. 25425 depositata il 29 agosto 2022
IVA – responsabilità solidale – concessionario – art. 60-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 – Ufficio ha l’onere di provare l’omesso versamento dell’iva da parte del cedente e all’inferiorità al valore di mercato del prezzo praticato
RILEVATO CHE
– l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale delle Marche aveva accolto l’appello proposto da Marzo Zini, titolare di omonima ditta individuale, avverso la sentenza n. 169/02/2012 della Commissione Tributaria Provinciale di Ascoli Piceno di rigetto del ricorso proposto dal contribuente avverso la cartella di pagamento emessa nei confronti di quest’ultimo, ai fini Iva, per l’anno 2007, in applicazione dell’art. 60bis del d.P.R. n. 633/72, quale cessionario-condebitore solidale della ditta L. di C.F., cedente fittizia di autoveicoli di provenienza comunitaria ad un prezzo asseritamente inferiore al valore normale ed evasore dell’Iva dovuta sulle operazioni in questione;
– la CTR, per quanto di interesse, ha, da un lato, rigettato l’eccezione di duplicazione della pretesa tributaria non sussistendo un bis in idem stante la non sovrapponibilità della cartella impugnata all’avviso accertamento emesso dagli uffici di Pistoia (non relativo alle medesime poste, essendovi recuperi per altri tributi a seguito di disconoscimento di costi diversi da quelli delle autovetture) e dall’altro, ha ritenuto non ravvisabili i presupposti per l’applicazione dell’art. 60bis del d.P.R. n. 633/72 stante la dimostrata corrispondenza tra i prezzi di acquisto delle autovetture e il valore normale in base alle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio svolta dinanzi alla CTP di Pistoia ( davanti alla quale era stato impugnato l’avviso di accertamento, annullato con sentenza n. 67/2013 confermata in appello dalla sentenza n. 851/2017); peraltro, il giudice di appello, richiamandosi a quanto valorizzato dalla CTR della Toscana nella sentenza n. 851/2017, ha evidenziato l’avvenuta archiviazione del procedimento in sede penale per insussistenza dei fatti;
– il contribuente resiste con controricorso;
-sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 60bis, commi 1, 2, e 3 del d.P.R. n. 633/1972, 14, commi 3 e 4 del medesimo decreto nella versione vigente ratione temporis, 2697, commi 1 e 2 e.e., per avere la CTR ritenuto la insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 60bis del d.P.R. n. 633/72, considerando dimostrata la corrispondenza al “valore normale” dei prezzi di acquisto delle autovetture in base alle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio svolta in un giudizio avente un oggetto diverso e all’avvenuta archiviazione del corrispondente procedimento penale.
2.Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per insanabile contraddittorietà della motivazione, avendo il giudice di appello, da un lato, escluso il bis in idem, ritenendo diverso l’oggetto del giudizio in cui si era svolta la consulenza tecnica d’ufficio conclusosi in appello con la sentenza della CTR Toscana n. 851/2017, e dall’altro, posto le risultanze di quella consulenza a fondamento della stimata corrispondenza al “valore normale” dei prezzi di acquisto da parte della ditta Zino delle autovetture cedute fittiziamente dalla ditta L. di C.F., con conseguente non configurabilità dei presupposti di cui all’art. 60bis cit.
3. II primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo.
4. L’art. 60-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, rubricato «Solidarietà nel pagamento dell’imposta» ed introdotto dall’art. 1, comma 386, della legge finanziaria 2005 (legge 30 dicembre 2004, 311), prevede ( comma 2) l’obbligazione solidale del cessionario per il pagamento dell’IVA non versata dal cedente relativamente alle cessioni di beni elencati nel d.m. 22 dicembre 2005 (tra cui, per quel che qui rileva, gli autoveicoli: art. 1, comma 1, lett. a); trattasi di presunzione di solidarietà che vale per le «cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale», presunzione che può essere superata qualora l’obbligato solidale dimostri documentalmente «che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta» (comma 3). Dunque, l’obiettiva divaricazione fra il prezzo sostenuto e quello di mercato è sufficiente elemento costitutivo della solidarietà nel recupero dell’imposta, e ciò per ragioni di economicità e celerità dell’accertamento fiscale in relazione a comportamenti incauti del cessionario che non refluiscono necessariamente nel fenomeno delle cd. catene fraudolente, tant’è che la responsabilità solidale in discorso opera anche senza dimostrazione della colpevole ignoranza della frode. In sostanza, il cessionario potrà fornire la prova contraria dimostrando la plausibilità del minor corrispettivo: o perché il prezzo è analogo a quello costantemente pattuito dal cessionario nelle precedenti transazioni con il cedente, o perché anche altri operatori del mercato praticano proprio quel prezzo o altro simile.
Questa Corte ritiene (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2853 del 31/01/2019) che il l’art. 60-bis, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, nel contemplare la responsabilità solidale del cessionario in caso di mancato versamento dell’IVA da parte del cedente per le cessioni dei beni individuati dal d.m. 22 dicembre 2005, qualora siano effettuate a prezzi inferiori al valore normale, presuppone – a differenza dell’art. 21, comma 7, del medesimo decreto, che concerne l’emissione di fatture per operazioni inesistenti – l’effettività dell’operazione, sia sul piano oggettivo che soggettivo, sicché è consentito al cessionario portare in detrazione l’imposta non versata dal cedente e per la quale è stato chiamato al pagamento come obbligato solidale.
Dalla radicale differenza naturalistica dei due fenomeni (da un lato l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, alla quale l’ordinamento replica con il diniego di detrazione dell’iva esposta; dall’altro lato il mancato versamento dell’iva da parte del cedente, al quale l’ordinamento replica con l’attribuzione al cessionario della responsabilità solidale per l’iva non versata), deriva una diversa perimetrazione e una differente dosimetria dell’onere probatorio.
Ne deriva che quanto alle fattispecie di cui all’art. 60 bis d.P.R. n. 633 del 1972 l’Ufficio ha l’onere di provare unicamente le due circostanze di fatto relative all’omesso versamento dell’iva da parte del cedente e all’inferiorità al valore di mercato del prezzo praticato; a fronte di tali deduzioni e prove, ove entrambe siano dedotte e assolte, l’onere seguente si trasferisce sul contribuente che ai sensi dell’art. 60 bis comma 3 del richiamato d.P.R. dovrà dare la prova che “il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta” (in tal senso Cass. Sez. 5, Sentenza n. 877 del 16/01/2019).
Conseguentemente, si è chiarito come (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17171 del 28/06/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 8857 del 29/03/2019) in tema di IVA, ove il cedente non versi l’imposta relativa a cessioni di autovetture effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario è obbligato solidalmente al pagamento, senza che sia necessaria nei suoi confronti alcuna attività accertativa, ferma la possibilità, per lo stesso, di impugnare la cartella di pagamento emessa nei suoi confronti ( Cass. n. 12489 del 2021).
La ragionevolezza della previsione di cui all’art. 60bis cit. e la sua compatibilità con l’ordinamento eurounitario trova riscontro nella sentenza della Corte di Giustizia U.E., 11 maggio 2006, causa C- 384/04, Federation of Technological Industries, il cui punto 1 del dispositivo statuisce quanto segue: «L’art. 21, n. 3, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, quale modificata dalle direttive del Consiglio 17 ottobre 2000, 2000/65/CE, e 20 dicembre 2001, 2001/115/CE, deve essere interpretato nel senso che esso permette ad uno Stato membro di adottare una normativa, quale quella di cui alla causa principale, ai sensi della quale un soggetto passivo, a favore del quale è stata effettuata una cessione di beni o una prestazione di servizi e che era a conoscenza del fatto, o aveva ragionevoli motivi per sospettare, che la totalità o parte dell’imposta sul valore aggiunto dovuta per tale cessione o tale prestazione, ovvero per qualsiasi altra cessione o qualsiasi altra prestazione precedente o successiva, non sarebbe stata versata, può essere obbligato a versare tale imposta in solido con il debitore. Tuttavia, una tale normativa deve rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico comunitario, quali, in particolare, i principi di certezza del diritto e di proporzionalità.»; a tale ultimo proposito, la pronuncia chiarisce che, in particolare, benché l’art. 21, n. 3, della sesta direttiva permetta di fondarsi su presunzioni in merito al fatto che l’interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’imposta non sarebbe stata assolta, tali presunzioni non possono essere formulate in maniera tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile per tale soggetto superarle fornendo la prova contraria ( v. i punti 28, 32, 35).
Tanto richiamato, l’art. 60-bis deve essere coordinato con l’art. 14 del d.P.R. n. 633 del 1972 il quale stabilisce – nel testo vigente ratione temporis, anteriormente alle modifiche apportate dalla legge 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 4, lett. c) – che «Per valore normale dei beni e dei servizi si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe dell’impresa che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini della camera di commercio più vicina, alle tariffe professionali e ai listini di borsa» (Cass. n. 2019 n. 877).
La Corte ha già avuto modo di chiarire che, alla luce del disposto dell’art. 14 cit., «è dunque possibile fare legittimo riferimento anche alle tariffe di chi ha fornito i beni e non solo ai listini: dunque il valore normale avrebbe potuto benissimo corrispondere al prezzo di acquisto da parte della cedente» (Sez. 6-5, 27 aprile 2017, n. 13425, in motivazione).
In definitiva, la CTR, in violazione degli artt. 60-bis e 14 del d.P.R. n. 633 del 1972, ha errato nel basare la propria pronuncia circa la corrispondenza tra i prezzi di acquisto delle autovetture e il “valore normale” delle stesse sulle risultanze di una perizia di ufficio svolta un altro giudizio avente un diverso oggetto (l’impugnativa dell’avviso di accertamento emesso dall’ufficio di Pistoia, peraltro non relativo alle medesime poste) prescindendo del tutto, per determinare in concreto il valore normale, dai listini o tariffe dell’impresa che aveva fornito i beni e dai prezzi di acquisto del cedente ( di cui alle fatture comunitarie) come evidenziati nella “comunicazione di debito solidale per mancati versamenti Iva ex art. 60-bis del d.P.R. n. 633/72”, trascritta in ricorso (pag. 10-12); del tutto irrilevante, sotto il profilo del raffronto tra prezzi di acquisto e valore normale delle autovetture, è poi il richiamo nella sentenza impugnata alla definizione del corrispondente procedimento penale con provvedimento di archiviazione.
In conclusione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR delle Marche che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame attenendosi ai suddetti principi.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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