Corte di Cassazione ordinanza n. 25566 depositata il 31 agosto 2022
accertamento fondato su operazioni bancarie – ricorso in cassazione e decesso del ricorrente – il giudice, in tem di prove, deve verifica mediante il ricorso alla nozione di «comune esperienza» – da interpretare in senso rigoroso come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile, costituendo esso una deroga al principio dispositivo ex art. 112 cod. proc. civ. e al principio di disponibilità delle prove ex art. 115 cod. proc. civ. – può essere censurato in sede di legittimità in ordine alla sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta del «fatto notorio»
Rilevato che:
1. Con sentenza 178/08/10, depositata il 28 maggio 2010, la C.t.p. di Roma, nel giudicare i ricorsi, riuniti, proposti dal sig. G.L. avverso la cartella di pagamento n. 097200900584101S5 IRPEF 2000 e l’avviso di accertamento n.RC80102001192005 IRPEF 2000, quest’ultimo traente origine da accertamenti su movimentazioni bancarie ex art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 su conti correnti cointestati all’odierno ricorrente ed alla di lui moglie Loredana Erriquez, ha accolto quello avverso la cartella di pagamento e parzialmente quello avverso l’avviso di accertamento. Quanto alla cartella, il giudice di primo grado ha rilevato che essa traeva titolo da un precedente accertamento (n. RC8010200119, notificato il 7/12/2007) da considerarsi nullo o, comunque, improduttivo di effetti perché sostituito da quello, notificato l’8/11/2008, oggetto del presente giudizio; quanto, invece, all’avviso di accertamento, ha riconosciuto in favore del contribuente, quali spese, una serie di fatture non considerate dall’Ufficio ma non ha accolto la doglianza tendente al riconoscimento nella maggior misura di £ 69.683.000 (anziché in quella di £ 43.000.000 ritenuta nell’atto impositivo) dell’importo percepito dal ricorrente a titolo di lavoro dipendente.
2. Il contribuente ha proposto appello lamentando la mancata considerazione, da parte del primo giudice, della doglianza circa l’omesso scomputo di una somma forfetaria a titolo di costi dal maggior reddito accertato, sulla base dei dettami prescritti dalla sentenza Corte Costituzionale n. 228 del 6/10/2014 nonché che non sia stato considerato giustificato tutto il reddito indicato dal contribuente come da lavoro dipendente (£ 69.683.000 anziché £ 43.000.000 non essendo condivisibile la tesi secondo cui i redditi eia lavoro dipendente sarebbero scomputabili solo se versati su conto corrente o accreditati in banca e che, in base alla documentazione dimostrativa prodotta (indicazione dei destinatari dei prelevamenti), si sarebbe dovuta escludere l’applicabilità della presunzione sui prelevamenti.
Si è costituito l’Ufficio chiedendo il rigetto dell’appello con conferma della gravata sentenza.
3. Con sentenza 235/10/2013, la C.t.r., in data 29/11/2013, ha rigettato l’appello e confermato la sentenza del giudice di prime cure.
4. La sentenza della C.t.r. è stata impugnata dal Sig. G.L. sulla scorta di tre
L’Agenzia delle Entrate, non essendosi costituita nei termini previsti dalla legge mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione orale.
4. La causa è stata discussa nella camera di consiglio del 4 maggio 2022, per la quale non sono state presentate memorie.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 35, primo comma, del d.P.R. 29 n. 600 del 1973, come conformato dalla Corte Costituzionale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., lamentando lamenta l’errar in iudicando nella parte in cui si sarebbe ratificato come legittimo l’accertamento per cui, a fronte di un reddito pari a 70.344.000 (di cui £ 69.683.000 come reddito da lavoro autonomo e £ 651.000 come reddito di fabbricati), l’Agenzia delle Entrate ha accertato sinteticamente un maggior reddito non dichiarato pari a £ 394.175.237 considerando quali movimenti idonei a fondare le presunzioni di cui all’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 l’intera somma dei versamenti ritenuti non giustificati (£. 92.872. 747) e dei prelevamenti ritenuti non giustificati (£. 301.052.490) così considerando presuntivamente un maggior reddito pari alla somma di entrambi gli importi (£. 394.175.237), ciò in violazione dei dettami impartiti dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 228 del 06/10/2014 dichiarativa della incostituzionalità della presunzione sui prelevamenti di cui all’art. 32, secondo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui, per i lavoratori autonomi, i prelevamenti non giustificati vengono riqualificati come compensi.
1.1 Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 32 del P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., lamentando l’errar in iudicando nella parte in cui la sentenza impugnata conferma l’erronea applicazione della presunzione fondata sugli accreditamenti di cui all’art. 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. – dal momento che l’Ufficio non ha considerato come giustificato un ammontare dei versamenti almeno pari al reddito dichiarato ossia f. 70.344.000 (di cui E 69.683.000 come reddito da lavoro autonomo e f 651.000 come reddito di fabbricati) così accertando un presunto maggior reddito non dichiarato sulla base del totale degli accreditamenti effettuati sui conti intestati al contribuente senza tener conto del reddito complessivo dichiarato dal contribuente e, quindi, senza verificare la corrispondenza del reddito complessivo dichiarato e delle somme giustificate con gli importi accreditati.
1.2 Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 32 del P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., lamentando l’errar in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, in base alla documentazione dimostrativa prodotta (indicazione dei destinatari dei prelevamenti), si sarebbe dovuta escludere l’applicabilità della presunzione sui prelevamenti.
2. Preliminarmente va rilevato che è stata depositata istanza con cui si chiede disporsi l’interruzione del giudizio per essere il sig. G. deceduto.
Sul punto, costituisce giurisprudenza pacifica di questa Corte quella della assoluta irrilevanza dell’evento morte nel corso del giudizio di cassazione; così testualmente la sentenza n. 1757 del 29 gennaio 2016 recita «Nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo». (Cass. 3/12/2015, n. 24635, Cass. 9/07/1993, n.8377, Cass. Sez. U. civ. 22/04/2013, n. 9692).
3. Quanto all’esame del ricorso, il primo motivo è fondato.
La Corte costituzionale con sentenza 24 settembre 2014, n. 228 ha rilevato la contrarietà della medesima al principio di ragionevolezza e di capacità contributiva, ritenendo «arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito», dichiarando, quindi, l’illegittimità costituzionale della sopra riportata disposizione «limitatamente alle parole “o compensi”».
La Corte Costituzionale ha, così, chiarito che anche se le figure di imprenditore e lavoratore autonomo sono per molti versi affini, non è possibile equipararle per quanto attiene alla presunzione che il prelevamento dal conto bancario corrisponde ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo. Ciò perché l’attività dei lavoratori autonomi, a differenza degli imprenditori, si caratterizza per la prevalenza del proprio lavoro e la marginalità dell’apparato organizzativo, apparato che, peraltro, per alcune tipologie di lavoratori autonomi, nei quali è più accentuata la natura intellettuale, è quasi assente.
La non ragionevolezza della presunzione è, poi, avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti si inseriscono in un sistema di contabilità semplificata – del quale per lo più si avvale la categoria – e, pertanto, da tale assetto contabile deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali.
Ciò precisato e venendo, quindi, al motivo di ricorso in esame, indiscussa l’efficacia retroattiva sentenza della Corte costituzionale di accoglimento della questione di legittimità costituzionale, in quanto il mutamento normativo prodotto da una tale pronuncia si configura come ius superveniens, che «impone, anche nella fase di cassazione, la disapplicazione della norma dichiarata illegittima e l’applicazione della disciplina risultante dalla decisione anzidetta» (Cass. 19/04/1995, n. 4349, Cass. 21/06/2016, n. 12779), salvo il limite del giudicato (nella specie non sussistente), osserva il Collegio che, al caso in esame, ben si attaglia la predetta decisione, avendo il contribuente denunciato la violazione e falsa applicazione della presunzione di cui al citato art. 32, comma 1, n. 2 laddove il maggior reddito accertato con l’avviso di accertamento controverso si fonda proprio sulla cd. presunzione sui prelevamenti, in virtù del quale l’Ufficio 1·,a ripreso a tassazione l’intero ammontare dei prelevamenti non giustificati.
4. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono fondati. Invero, alla luce dei principi consolidati in materia di questa Corte (Cass. 18/11/2021, n. 35258), in tema di IVA e di accertamenti bancari, grava sul contribuente l’onere di superare la presunzione posta dall’art. 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, ed il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso contribuente, avuto riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione. Il compimento della predetta verifica mediante il ricorso alla nozione di «comune esperienza» – da interpretare in senso rigoroso come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile, costituendo esso una deroga al principio dispositivo ex art. 112 cod. proc. civ. e al principio di disponibilità delle prove ex art. 115 cod. proc. civ. – può essere censurato in sede di legittimità in ordine alla sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta del «fatto notorio». (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione del giudice d’appello che aveva ritenuto i versamenti sul conto corrente del contribuente giustificati dalle fatture emesse, nonostante il loro sfasamento temporale rispetto alle operazioni bancarie oggetto dei rilievi erariali, sulla scorta del fatto, erroneamente ritenuto di comune esperienza, che i clienti di uno studio odontoiatrico possano non avere a disposizione il denaro necessario per il pagamento delle prestazioni ricevute e, così, che l’importo delle fatture venga saldato in contanti nei giorni successivi alla data dei documenti fiscali).
Ed ancora, secondo il principio affermato dalla V Sezione civile della Suprema Corte con la decisione del 30 giugno 2020, n.. 13112, in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del dl.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti da111’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze.
Infine, secondo V Sezione civile della Suprema Corte, l’Ordinanza del 16/11/2018, n. 29572, in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, primo comma, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha affermato che, avendo l’Amministrazione provato che sul conto corrente del contribuente erano affluite somme per accrediti bancari esteri con causale “disinvestimenti in beni e diritti immobiliari”, incombeva sul contribuente l’onere di provare l’esatta provenienza delle rimesse estere, anche al fine cli usufruire del cd. condono tombale).
5. In conclusione, la Corte accoglie il primo motivo di ricorso rigetta il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla C.t.r. del Lazio perché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame in ordine alla questione dedotta in giudizio ossia, la disapplicazione della norma dichiarata illegittima e l’applicazione della disciplina risultante dalla decisione anzidetta
Al giudice del rinvio è demandato anche di provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo e terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla COMM. TRIB. REG. LAZIO perché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché alla determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
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