Corte di Cassazione ordinanza n. 25619 depositata il 31 agosto 2022
termine di prescrizione di credito di imposta
RILEVATO CHE
In data 15 luglio 1992, SOCIETÀ ITALIANA CAUZIONI COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI E RIASSICURAZIONI S.P.A. (SIC) estingueva la residua parte, pari a lire 863.160.000, dell’imposta dovuta ex art. 25 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, in materia di rivalutazione di immobili, mediante compensazione obbligatoria, ai sensi del comma 6 di detto articolo, con tre crediti: un credito di lire 74.570.000 per IRPEG ed ILOR relativo all’anno 1980; un credito di lire 22.619.000 per ILOR relativo all’anno 1982 ed un credito per IRPEG ed ILOR per lire 765.971.000 relativo all’anno 1987. L’ultimo dei tre crediti non veniva utilizzato per intero, risultando un’eccedenza pari a lire 19.624.000.
In data 28 maggio 1999, SIC notificava al Ministero delle Finanze istanza di rimborso avente ad oggetto gli interessi su tutti e tre i crediti e l’eccedenza sul terzo.
Silente l’Amministrazione, in data 23 gennaio 2001, SIC notificata all’Agenzia delle entrate di Roma 2 ed al Centro Operativo di Pescara istanza di sollecito rimborso, seguita da altra dell’l1 marzo 2004.
In data 23 marzo 2013, ATRADIUS CREDITO Y CAUTION S.A. DE SEGUROS Y REASEGUROS, incorporante di ATRADIUS CREDIT INSURANCE N.V., a sua volta conferitaria del ramo d’azienda di SIC, presentava ricorso avverso il silenzio rifiuto.
Con sentenza n. 26298/54/14 del 25 novembre 2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso, rilevando che i crediti non erano prescritti né contestati.
Con sentenza n. 2800/35/16 del 18 aprile 2016, depositata il 10 maggio 2016, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio Roma, respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate.
In particolare, quanto alla prescrizione dei crediti, osservava che “il contribuente non può esigere il pagamento di un credito tributario fino a che l’Amministrazione può svolgere la sua attività di accertamento”: donde solo spirato il termine per l’accertamento inizia a decorrere quello decennale di prescrizione per richiedere il rimborso. Aggiungeva inoltre di condividere “quanto rilevato dalla contribuente in ordine all’applicazione alla fattispecie dell’art. 2, comma 58, della legge 350/2003[,] che ha stabilito che l’Agenzia deve provvedere all’erogazione delle eccedenze Irpef e Irpeg dovute in base alle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997[,] senza far valere l’eventuale prescrizione del diritto dei contribuenti”.
Avverso detta sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate affidandosi a tre motivi, cui Atradius resiste con articolato controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. :2946 cod. civ.: erroneamente la CTR, discostandosi dagli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che la prescrizione dei crediti esposti nelle dichiarazioni fiscali inizi a decorrere solo dopo che siano spirati i termini di decadenza per l’accertamento.
Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art.
2, comma 58 della legge 24 dicembre 2003, n. 350: erroneamente la CTR, discostandosi dagli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, ha proceduto all’applicazione diretta di detta disposizione, la quale, invece, non modificando i termini di prescrizione, si limita ad invitare l’Amministrazione a non far valere la prescrizione; erroneamente, inoltre, essa ha applicato in via analogica detta disposizione, avente invece natura eccezionale, ai crediti riguardanti l’ILOR e gli interessi, dalla medesima non espressamente contemplati, e non ha considerato che l’invito all’Amministrazione a non eccepire la prescrizione presuppone che il credito sia certo nell”‘an”.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. e violazione o falsa applicazione dell’art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600: erroneamente la CTR, discostandosi dagli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, ha respinto il motivo d’appello volto a dedurre la carenza di documentazione comprovante il diritto al rimborso, sul rilievo che l’Amministrazione non aveva contestato i conteggi e che era ormai decorso il termine di decadenza per l’esercizio della potestà accertatrice, non considerando che, ai fini della contestazione, non era necessaria la confutazione in sé dell’importo richiesto a rimborso e che il mancato esercizio della potestà accertatrice non determina il consolidamento dei crediti esposti nelle dichiarazioni fiscali.
I motivi di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione delle censure, sono fondati.
Questa Suprema Corte – giusta Sez. 5, n. 7706 del 27/03/2013 (Rv. 626121-01) – ha affermato il principio – cui il Collegio intende dare continuità – a termini del quale, “qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito di imposta, l’azione volta al relativo recupero è sottoposta all’ordinario termine di prescrizione decennale, sulla cui decorrenza non incidono né il limite temporale stabilito per il controllo formale o cartolare delle dichiarazioni e la liquidazione delle somme dovute, ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, né i limiti alla proponibilità della relativa eccezione, posti dall’art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350: la prima disposizione è volta, infatti, ad imporre un obbligo dell’Amministrazione finanziaria, senza stabilire un limite all’esercizio dei diritti del contribuente, mentre la seconda contiene un mero invito rivolto agli uffici, non suscettibile di applicazione diretta da parte del giudice“.
In motivazione, detta sentenza richiama, segnatamente, Sez. U, n. 2687 del 07/02/2007 (Rv. 594805-01), cui risale il principio a termini del quale, “qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non trova applicazione, ai fini del rimborso del relativo importo, il termine di decadenza previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non occorrendo la presentazione di un’apposita istanza, in quanto l’Amministrazione, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria”; conseguentemente, “la relativa azione è [ …] sottoposta all’ordinario termine di prescrizione decennale, sulla cui decorrenza non incide né il limite temporale stabilito per il controllo e.ci. formale o cartolare delle dichiarazioni e la liquidazione delle somme dovute, ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, né il limite alla proponibilità della relativa eccezione, posto dall’art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 […]”.
La premessa del ragionamento svolto dalle Sezioni unite risiede in ciò che – per giurisprudenza costante – “la esposizione di un credito d’imposta nella denuncia dei redditi costituisce istanza di rimborso”, soddisfacendo essa medesima la condizione posta dall’art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973 per evitare la decadenza del credito: di conseguenza, non applicabile il termine di decadenza previsto dall’art. 38 cit., trova ordinariamente applicazione il termine di prescrizione decennale. Ai fini che ne occupano, preme di evidenziare che – secondo le Sezioni unite – l’interpretazione propugnata dalla giurisprudenza è rigorosamente rispettosa dell’art. 24 Cast.: risulta infatti ossequiata l’indicazione, riveniente da quest’ultimo, “di considerare i limiti al libero esercizio della difesa giudiziaria quali misure eccezionali”, atteso che il contribuente, per il sol fatto dell’esposizione del credito in dichiarazione, è subito messo nelle condizioni di poter esercitare, anche giudizialmente, il proprio diritto. Medesime esigenze di rispetto dell’art. 24 Cost. comportano dunque doversi escludere – chiosano le Sezioni unite – che limiti al libero esercizio della difesa giudiziaria si configurino in conseguenza dell’esercitabilità, da parte dell’Amministrazione, dei poteri di controllo di cui all’art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973.
Alla luce di quanto precede, coglie nel segno il primo motivo di ricorso, laddove sostiene che il termine iniziale di prescrizione deve essere ancorato alla data di esposizione del credito in dichiarazione: invero è da tale data, per quanto detto, che si considera presentata l’istanza di rimborso e che, conseguentemente, il contribuente è titolare del libero esercizio del proprio diritto, non procrastinabile – come invece sostenuto dalla controricorrente – alla decorrenza dei termini per l’esercizio della potestà accertatrice, giacché, se così fosse, detto diritto subirebbe “ab origine” una compromissione, non specificamente prevista da alcuna disposizione di legge.
Per completezza, mette soltanto conto di aggiungere che destituita di fondamento è la tesi, sostenuta da Atradius nel controricorso, secondo cui il primo motivo di ricorso non potrebbe investire anche gli importi richiesti a rimborso a titolo di interessi, siccome relativi a crediti già oggetto di compensazione obbligatoria ai sensi dell’art. 25, comma 6 della legge n. 413 del 1991. Tale tesi prende evidentemente le mosse dal presupposto che, a seguito della compensazione, l’Amministrazione avrebbe riconosciuto come dovuti i crediti e dunque anche gli interessi. Trattasi tuttavia di un’argomentazione non condivisibile, dal momento che, a fronte dell’indicazione nella dichiarazione dei redditi, effettuata unilateralmente dal contribuente, di un credito in compensazione, l’Amministrazione pacificamente conserva il potere di disconoscere in tutto o in parte detto credito [cfr., ad esempio, per una tale fattispecie, Sez. 5, n. 31236 del 29/11/2019 (Rv. 656286-01)]. Né, sotto altro profilo, finanche il mancato esercizio in termini del potere di accertamento impedisce all’Amministrazione di contestare il credito, “atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio ‘quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum”‘ [Sez. U, n. 5069 del 15/03/2016 (Rv. 639014- 01), ribadita, in tema di rimborso, da Sez. 5, n. 12557 del 17/06/2016 (Rv. 640075-01)].
Fondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Le Sezioni unite, sempre nella sentenza n. 2687 del 2007 di cui innanzi, hanno osservato come irrilevante debba considerarsi la sopravvenienza dell’art. 2, comma 58, della legge n. 350 del 2003. Esso prevede che, “nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte, l’Agenzia delle entrate provvede alla erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, senza far valere la eventuale prescrizione del diritto dei contribuenti”. Osservano condivisibilmente le Sezioni unite che l’art. 2, comma 58, cit. “non modifica i termini di prescrizione ordinaria, ma si limita a invitare la Amministrazione a non ‘far valere’ tale prescrizione. Dunque il giudice non deve procedere ad una diretta applicazione della norma, spettando alla Amministrazione non proporre in giudizio la eccezione di prescrizione (forse anche abbandonarla in caso di controversia già in atto)”.
Da ultimo, rilevato che l’Agenzia delle entrate non ha inteso astenersi dal proporre in giudizio l’eccezione di che trattasi, contestando in radice le somme pretese a rimborso per difetto della relativa documentazione, coglie altresì nel segno il terzo motivo di ricorso.
S’è poc’anzi rilevato come la pretesa di un credito da parte del contribuente per effetto del mero inserimento della relativa posta in dichiarazione non ne determini il riconoscimento da parte dell’Amministrazione, legittimata in ogni tempo a disconoscerlo (cfr. la citata Sez. U, n. 5069 del 2016).
Merita ora di specificare che, una volta contestato dall’Amministrazione l”‘an debeatur”, non è necessario, come invece opinato dalla CTR nella sentenza impugnata, che, al fine di evitare alcun riconoscimento da pare dell’Amministrazione medesima, la contestazione si appunti sui singoli importi, atteso che, al contrario, nelle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del rigetto di un’istanza di rimborso, il contribuente riveste la qualità di attore in senso sostanziale, gravando quindi sul medesimo l’onere di allegare e di provare i fatti ai quali, per ciascun importo, la legge ricollega il trattamento rivendicato: talché il difetto di specifica contestazione dei conteggi integranti il credito, qualora (come nella specie) l’Amministrazione neghi l’esistenza in sé di questo, può avere rilievo solo nell’ipotesi in cui si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione (Sez. 5, n. 29613 del 29/12/2011, Rv. 621057-01).
Alla luce di tutto quanto precede, il ricorso deve essere accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, considerato che l’istanza di rimborso è stata presentata da SIC solo il 28 maggio 1999, a fronte di crediti dichiaratamente relativi agli anni 1980, 1982 e 1987, esposti dunque nelle dichiarazioni presentate, o che avrebbero dovuto essere presentate, negli anni rispettivamente successivi, la causa deve essere decisa nel merito, con rigetto del ricorso introduttivo del giudizio.
Le spese del grado, liquidate come in dispositivo a termini di Tariffa, seguono la soccombenza.
Sussistono giustificati motivi – in ragione del consolidarsi della giurisprudenza di legittimità coevamente alla proposizione del ricorso introduttivo del giudizio – per l’integrale compensazione tra le parti delle spese in relazione ad entrambi i gradi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge il ricorso introduttivo del giudizio.
Condanna la controricorrente al pagamento clelle spese del grado, liquidate in euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Compensa integralmente tra le parti le spese in relazione ad entrambi i gradi di merito.
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