Corte di Cassazione ordinanza n. 25621 depositata il 31 agosto 2022
giudicato esterno – efficacia – i condebitori possono opporre al creditore la sentenza pronunziata tra il creditore stesso ed uno dei condebitori in solido
RITENUTO CHE
La società F. impugnava, avanti alla Commissione tributaria provinciale di Lecce, l’avviso di rettifica e liquidazione n. 20111T00956600, emesso dall’Agenzia delle Entrate, in relazione all’atto di compravendita della metà indivisa di un terreno, sito in Gallipoli, stipulato in data 15/11/2011, che aveva rideterminato il valore dell’immobile trasferito, con conseguente applicazione di una maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale.
La CTP accoglieva il ricorso con decisione parzialmente riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, avanti alla quale l’Agenzia delle Entrate aveva proposto appello, la quale rideterminava in euro 256,50 mq. il valore venale dell’area, sulla scorta della consulenza tecnica d’ufficio disposta e poi disattesa dal primo giudice.
Avverso la sentenza la società propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
In prossimità dell’udienza la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ..
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., la contribuente lamenta la mancata applicazione dell’art. 342, comma 2, n. 1 e 2, cod. proc. civ., in quanto il giudice d’appello avrebbe dovuto ritenere inammissibile il gravame, stante la mancata indicazione delle parti e soprattutto delle circostanze da cui si ricaverebbe la prospettata violazione di legge, riguardo alla maggiore riduzione ( 14% in luogo del 6%) operata dal giudice di primo grado della stima del nominato perito d’ufficio, in ragione del provvedimento comunale, rimasto incontestato, che aveva determinato gli oneri concessori (euro 30.795,85 invece che euro 132.840,00).
Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., la contribuente chiede l’estensione del sopravvenuto giudicato favorevole rappresentato dalla sentenza n. 891/2019 della Commissione tributaria regionale della Puglia, notificata in data 11- 15/4/2019 e divenuta definitiva per mancata impugnazione (nel termine breve di gg. 60), avente ad oggetto la rettifica di valore della restante quota del terreno venduto, con rogito di compravendita del 16/5/2012, ai Signori G./F., impugnata dalla parte acquirente, come da attestazione della segreteria del giudice di appello, trattandosi di valutazione del medesimo immobile alienato per quote.
Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., la contribuente deduce, in via subordinata, violazione dell’art. 51, comma 2, d.p.r. n. 131 del 1986, in quanto il dato estimativo costituito dalla predetta sentenza n. 891/2019 della Commissione tributaria regionale della Puglia non può non essere considerato, seppure a posteriori, come utile a confermare la congruità del valore dichiarato nell’atto di compravendita del 15/11/2011.
Con il quarto motivo, in relazione all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ., la contribuente deduce che il giudice d’appello ha ritenuto congruo il valore determinato dal consulente tecnico d’ufficio senza farsi carico di verificare se detto valore potesse o dovesse subire modifica, in riduzione, in ragione dell’incidenza degli oneri concessori richiesti dal Comune di Gallipoli.
Le censure sono infondate e non meritano accoglimento.
Va, per ragioni logiche, esaminata la questione, veicolata con il secondo motivo, concernente l’estensione del giudicato costituito dalla sentenza n. 891/2019 della Commissione tributaria regionale della Puglia, che ha confermato al pronuncia di primo grado che aveva annullato l’accertamento di valore della restante quota, pari al 50 per cento, del terreno sito in Gallipoli e distinto in catasto al foglio 20, particella 253 – ex 250 e 215 – successivamente alienata dalla società F. ai Signori G./F., stante anche l’omogeneità delle caratteristiche del bene nel suo complesso considerato.
Va esclusa la diretta applicazione del predetto giudicato, formatosi dopo la conclusione del giudizio di appello, in quanto il giudicato produce i suoi effetti solo fra le “parti”, ed è pacifico che il giudicato invocato dalla ricorrente è intervenuto tra l’Agenzia delle entrate ed i Signori G./F. attinti da diverso avviso di accertamento fiscale, afferente a trasferimento di proprietà temporalmente successivo.
Infatti, in base al generale principio di cui all’art. 2909 c.c., secondo cui il giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, entro i limiti oggetti dati dai suoi elementi costitutivi (petitum e causa petendi), nel processo tributario il presupposto dell’efficacia del giudicato esterno è che esso si sia formato tra le stesse parti (Cass. n. 23658/2008).
Neppure è qui invocabile il diverso principio di cui all’art. 1306 del codice civile, secondo cui i condebitori possono opporre al creditore la sentenza pronunziata tra il creditore stesso ed uno dei condebitori in solido (salvo che sia fondata su ragioni personali del condebitore), principio che viene, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, esteso ai rapporti relativi all’imposta di registro (tra le altre, Cass. n. 3306/2003, n. 10202/2003), essendo estraneo alla fattispecie esaminata sia il tema di solidarietà tributaria che quello della prevalenza dell’unitarietà dell’obbligazione solidale nascente dallo stesso titolo sul suo aspetto pluralistico, sancita dal citato art. 1306 c.c., principio che opera, sul piano processuale, derogando ai limiti soggettivi del giudicato e ne consente l’estensione, prescindendo dalle vicende extraprocessuali relative alla situazione sostanziale in cui versa il condebitore inerte, il quale perciò non incontra limiti diversi da quelli costituiti dal giudicato diretto o da preclusioni processuali” (tra le altre, Cass. n. 9210/2018).
Il primo motivo va disatteso perché non sussiste la dedotta violazione dell’art. 342, comma 2, nn. 1 e 2, cod. proc. civ., in quanto nel processo tributario, anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado, deve ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, che costituisce norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c. cui la difesa della contribuente ha fatto riferimento, essendo in tal modo devoluto l’intero thema decidendun concernente la determinazione del concreto valore venale del bene compravenduto in comune commercio, avuto riguardo a tutti gli elementi estimativi che sulla determinazione incidono (tra le altre, Cass. n. 24641/2018).
Il terzo motivo va disatteso perché la CTR, nel valutare la congruità del terreno per cui è causa ha espressamente fatto riferimento ai criteri di cui all’art. 51, d.p.r. n. 131 del 1986, ha spiegato le ragioni su cui ha fondato il proprio convincimento, anche in relazione allo specifico atto utilizzato in comparazione dall’Ufficio, ricadente nel triennio anteriore alla data dell’atto della cui imposizione si tratta, avente ad oggetto un lotto troppo piccolo per essere para metricamente decisivo, ed ha ritenuto di poter condividere le risultanze della disposta consulenza tecnica d’ufficio in quanto “la valutazione (…) di € 256,00 al metro quadrato” in quanto “nei fatti più credibile”, in tal modo superando le contestazioni svolte dalla contribuente.
Il quarto motivo, svolto in relazione all’art. 360, n. ; cod. proc. civ., va disatteso perché la considerazione della mag9iore o minore incidenza degli oneri concessori rientra nel merito della decisione.
E’ appena il caso di ricordare che, in generale, non è carente di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, ancorché si limiti a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini esperite e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione (Cass. n. 4352/2019).
Ove poi, attraverso l’esaminata censura, la ricorrente abbia inteso sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio operata dalla CTR, in particolare sotto il profilo della quantificazione del valore dell’immobile, essa sarebbe inammissibile, essendo tale valutazione riservata, appunto, al giudice di merito (Cass. S.U., 11. 34476/2019, Rv. 656492-03).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 2.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato per il ricorso principale a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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