Corte di Cassazione ordinanza n. 25858 depositata il 1° settembre 2022
donazione – non sussiste l’istituto della donazione perchè non è il donante che eroga il bene al beneficiario ma quest’ultimo riceve il bene da un terzo – interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto – violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle Entrate di Rieti accertava per l’anno di imposta 2007, in capo a B.G., un maggior reddito non dichiarato di € 50.000 e tale somma gli era stata corrisposta dal figlio B.L. in adempimento dell’atto di donazione stipulato il 22/07/2004; con quell’atto P.L. (madre di B.L. e moglie di B.G.) donava la sua attività di farmacia al figlio B.L. e costui si impegnava a corrispondere al padre B.G. la somma di € 500.000,00, suddivisa in 10 rate annuali da € 50.000. Accadeva che B.G. ometteva, per l’anno 2007, di dichiarare ai fini reddituali il suddetto importo per cui l’ufficio, considerando questa somma come reddito assimilato al lavoro dipendente ex articolo 50 lett. i) d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, emetteva l’avviso di accertamento.
2. Avverso tale avviso, ricorreva alla C.t.p. di Rieti B.G., e, con la costituzione dell’ufficio finanziario che si opponeva, il giudice adito rigettava il ricorso.
3. Avverso tale sentenza ricorreva il contribuente innanzi la C.t.r. del Lazio che, con la costituzione dell’ufficio finanziario che si opponeva, rigettava l’appello confermando la decisione del giudice di prime cure.
4. Avverso la sentenza della C.t.r. n. 1069/21/15, depositata il 20/02/2015, ha proposto ricorso B.G., sulla scorta di quattro motivi.
Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate con atto redatto ai fini della partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370, primo comma, cod. proc. civ.
La causa è stata discussa nella camera di consiglio del 21 giugno 2022, per la quale la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1.1 Con il primo motivo di ricorso, rubricato «Violazione di norme di diritto, combinato disposto artt. 1 e 58 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 e art. 809 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», il ricorrente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, si argomenta che l’applicazione ad un atto di trasferimento a titolo gratuito dell’esenzione dall’imposizione, quale prevista dall’art. 1 d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, si verificherebbe esclusivamente nell’ipotesi di donazione effettuata mediante il contratto tipico di cui all’art. 782 cod. civ. con esclusione delle donazioni indirette.
1.2 Con il secondo motivo di ricorso, rubricato «Violazione, sotto altro profilo, della complessiva normativa codicistica sulle donazioni ed in particolare degli artt. 769, 782, 793 e 809 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», il ricorrente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, si argomenta che sia stata realizzata un’operazione negoziale – non tra donante e donatario ma – tra tre soggetti dei quali l’uno ha corrisposto il bene-farmacia, l’altro ha ricevuto il bene ed un altro ha ricevuto delle somme traenti titolo proprio da tale cessione.
1.3 Con il terzo motivo di ricorso, rubricato «Violazione dei principi generali in punto di ermeneutica contrattuale, in particolare artt. 1362 e 1363 cod., civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», il ricorrente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui,nella sentenza impugnata, si è rinvenuta la causa dell’operazione commerciale, non in un atto di liberalità della madre verso il figlio ma, piuttosto, nella necessità di reintegrare l’altro erede nei suoi diritti patrimoniali, riequilibrandoli con la corresponsione della somma di € 500.000,00 al padre.
1.4 Con il quarto motivo di ricorso, rubricato «Violazione dell’art. 50 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e degli artt. 1 ss. e 58 d.P.R. 31 ottobre 1990, n. 346, in relazione all’art., 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», il ricorrente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, si ritiene superfluo il richiamo, per l’interpretazione del contratto stipulato, al sopravvenuto istituto del patto di famiglia nel quale l’attribuzione di somme effettuate dall’assegnatario dell’azienda in favore dei familiari non sarebbero esenti da imposta.
2. I quattro motivi, da trattarsi congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono inammissibili oltre che infondati.
Le censure declinate sono evidentemente preordinate ad un nuovo esame delle risultanze istruttorie in quanto la ricorrente prospetta elementi già addotti nei gradi di merito, prospettazione finalizzata ad ottenere una valutazione delle prove e quindi un accertamento fattuale di segno opposto a quello espresso dalla C.t.r. In altri termini viene chiesto di effettuare un nuovo esame sul merito della controversa e di approdare ad una valutazione degli elementi di prova difforme da quella fatta propria dal collegio di seconda istanza.
Invero, con questa doglianza, il ricorrente, invocando l’error in iudicando, sostanzialmente richiede un nuovo esame della controversia nel senso di poter approdare alla tesi secondo cui il modus apposto alla donazione è da intendersi come donazione indiretta e ciò in base al tenore letterale dell’atto di donazione, all’assenza di corrispettività ed anche in analogia all’istituto del patto di famiglia introdotto successivamente alla donazione, richiami che, peraltro, mal si attagliano all’operazione negoziale intervenuta tra le parti.
Vero è piuttosto che, con un percorso argomentativo immune da violazioni di diritto, la C.t.r. del Lazio ha motivato sulla circostanza che il contratto di donazione definisce l’elargizione in favore del contribuente come onere modale sebbene poi lo qualifica come donazione indiretta sicchè il giudice di appello, esaurientemente argomentando, ha interpretato il contratto donativo accertando che la causa della donazione non era quella di un atto di liberalità, ma quella di una funzione riequilibrativa del patrimonio della donante tra gli eredi affinchè non si verificasse una utilità solo in favore del
figlio donatario e ciò in previsione della successione e di una eventuale lesione della quota di legittima.
Deve, qui, darsi rilievo alla riflessione operata dai giudici d’appello secondo cui Luciana Pilieri non ha donato alcunchè siccome prevista, contestualmente e contrattualmente alla donazione della farmacia al figlio, una elargizione di somme da parte del figlio B.L. al marito contribuente; sotto questo profilo l’interpretazione data dalla C.t.r. secondo cui non sussiste l’istituto della donazione perchè non è il donante che eroga il bene al beneficiario ma quest’ultimo riceve il bene da un terzo siccome l’obbligo del pagamento periodico di € 50.000,00 per 10 anni è posto a carico del donatario, nei confronti del padre ( terzo rispetto alla asserita donazione), è assolutamente immune da violazioni di legge.
Quindi, pur denunciandosi un vizio di motivazione si sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) così come emerse nei precedenti gradi di merito, in tal modo mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito.
Quanto ai principi di ermeneutica, questa Corte ha sancito il principio secondo cui l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto, riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre, non solo, fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifiche indicazioni dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in quale modo e con quali considerazione il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sulla asserita violazione di regole ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolve in realtà della proposta di un’interpretazione diversa. (Cass. 30/04/2010, n. 10554).
Sul punto, il ricorrente ha depositato memoria invocando i principi enunciati, sia pure in diverso contesto, da Cass., 24/12/2020, n.29506. Ivi si legge: «In particolare, il citato d.lgs. (n. 346 del 1990), art. 58, comma 1, prevede che gli oneri di cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari. Analogamente a quanto avviene per le disposizioni testamentarie, ai fini della determinazione del valore globale netto della donazione, il modus a favore di un soggetto determinato non è considerato come gli altri oneri, ma come un’altra donazione (cfr. art. 2, comma 49, d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, conv. con modif. nella legge 24 novembre 2006 n. 286). La donazione modale avente un destinatario determinato è, dunque, considerata, dal punto di vista fiscale, come una doppia donazione, una eseguita a favore del donatario e l’altra a favore del beneficiario dell’onere. Può pertanto ritenersi che, nel quadro complessivo della disciplina dell’imposta (…) sulle donazioni, gli oneri posti a carico del beneficiario dell’attribuzione e a favore di altri soggetti individualmente determinati, ai fini fiscali, rilevano come attribuzioni provenienti (…) dal donante. E ciò avviene anche se è indiscusso che l’adempimento dell’onere spetta (…) al donatario con beni provenienti dal suo personale patrimonio».
Tanto premesso, va rilevato, peraltro, che costituiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente i sussidi e gli assegni periodici, comunque denominati, che non costituiscono remunerazione di capitale o di lavoro. Per espressa previsione dell’articolo 50, comma 1, lettera i), d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente rientrano gli assegni periodici corrisposti in forza di testamento e di donazione modale (art. 10, comma 1, lettera d), d.P.R. n. 917 del 1986.
Conseguentemente, non può invocarsi l’esenzione dall’imposizione, quale previsto dall’art. 1 d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, risultando fondato l’avviso di accertamento per maggior reddito assimilato a quelli di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 50 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
3. In conclusione il ricorso è infondato. Nulla è dovuto per le spese essendo la Agenzia delle Entrate rimasta priva di concreta attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13, se dovuto.
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