CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 26043 depositata il 7 settembre 2023
Lavoro – Reclamo – Licenziamento disciplinare – Rifiuto di sottoscrizione di un ordine di servizio – Grave insubordinazione prevista dal CCNL – Corrispondenza tra addebito contestato e addebito a fondamento della sanzione disciplinare – Clausola generale dell’art. 2119 c.c. – Rigetto
Rilevato che
1. La Corte d’Appello di Bari rigettava il reclamo di M.V. avverso la sentenza del Tribunale di Foggia di rigetto dell’impugnativa del licenziamento disciplinare con preavviso intimatogli il 20/12/2017 dalla Società Cooperativa di produzione e lavoro “T.F.”, a seguito di contestazione disciplinare del 22/5/2017, riportata per esteso in sentenza (p. 8), collegata a episodio di rifiuto di sottoscrizione di un ordine di servizio relativo alle postazioni e agli orari di lavoro e contestuale aggressione verbale dei responsabili di cantiere con ingiurie e minacce;
2. per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore con quattro motivi; resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso per cassazione si deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 2, legge n. 300/1970 e 24 Cost.; parte ricorrente assume violazione del diritto difesa e inefficacia del licenziamento per omessa audizione del lavoratore, che, ricevuta lettera di convocazione per la stessa, ne aveva richiesto il rinvio per l’esiguo tempo trascorso tra la conoscenza della convocazione e la data fissata per l’audizione;
2. il motivo non è fondato;
3. la giurisprudenza di questa Corte ha più volte sottolineato che, qualora il lavoratore chieda il differimento dell’audizione fissata dal datore di lavoro, è onere del lavoratore allegare la sussistenza di esigenze difensive non altrimenti tutelabili alla base della richiesta stessa (ex multis, v. Cass. n. 23510/2017); peraltro, il motivo ricalca il primo motivo di appello, e la Corte di merito ha condivisibilmente osservato che, in fatto, il lavoratore aveva fruito di un lasso di tempo congruo per munirsi di un rappresentante sindacale, rimanendo perciò irrilevante ai fini di causa la scelta di ritirare il piego in giacenza presso l’ufficio postale soltanto quattro giorni dopo il suo deposito (non essendo stata né allegata né dimostrata la sussistenza di circostanze di fatto indipendenti dalla sua volontà che gli avessero precluso la conoscenza dell’atto in epoca precedente); e che, in ogni caso, essendo stato proprio il lavoratore a formulare la richiesta di audizione a difesa, si doveva presumere che fin da tale richiesta, conseguente all’avvenuta conoscenza dell’addebito disciplinare, egli avesse avuto a sua disposizione il tempo necessario per acquisire la tendenziale disponibilità di un rappresentante sindacale per assisterlo (non avendo specificato se si fosse attivato in tal senso, chi avesse contattato, se avesse ricevuto una risposta negativa, limitandosi ad una richiesta generica senza allegazione di specifici fatti impeditivi);
4. con il secondo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 7 legge n. 300/1970, 2 legge n. 604/1966, 2 e 2119 c.c., 48 CCNL Dipendenti di imprese esercenti servizi di pulizia, 112 c.p.c., per avere il giudice del gravame violato il principio di immutabilità della contestazione disciplinare;
5. con il terzo motivo, parte ricorrente deduce violazione degli artt. 1362 e ss., 2119 c.c., 3 legge n. 604/1966, 44 CCNL Servizi di pulizia/Multiservizi, sostenendo erronea riconduzione della condotta contestata alla fattispecie di rissa sul luogo di lavoro e omessa adeguata valutazione, sulla base di circostanze oggettive e soggettive, dell’idoneità di tale condotta a mettere in pericolo l’altrui incolumità, a turbare gravemente l’attività aziendale e ad ingenerare nel datore di lavoro dubbi sulla futura correttezza degli adempimenti;
6. i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi ed entrambi collegati alla valutazione della contestazione disciplinare, non sono fondati;
7. osserva il Collegio che il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare, che vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, può ritenersi violato qualora il datore di lavoro alleghi, nel corso del giudizio, circostanze nuove che, in violazione del diritto di difesa, implicano una diversa valutazione dei fatti addebitati, salvo si tratti di circostanze confermative, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre, ovvero che non modifichino il quadro generale della contestazione; in tema di licenziamento disciplinare, infatti, il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all’azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell’incolpato, e non quando il datore di lavoro proceda a un diverso apprezzamento o a una diversa qualificazione del medesimo fatto (cfr. Cass n. 11540/2020, n. 8293/2019);
8. nel caso in esame, come già osservato nella sentenza gravata, non sono stati mutati i fatti contestati di rilievo disciplinare, ma la loro qualificazione, avendo la società in prima battuta contestato al lavoratore la fattispecie della grave insubordinazione prevista dal CCNL e comportante il licenziamento senza preavviso, e poi, in sede di irrogazione del licenziamento, la fattispecie della rissa sul luogo di lavoro, sempre prevista dall’art. 48 del CCNL applicato al rapporto, comportante il licenziamento con preavviso; non risulta, dunque, violato il principio di immutabilità della contestazione, in quanto il fatto materiale (rifiuto di sottoscrivere un ordine di servizio e aggressione verbale dei responsabili di cantiere con ingiurie e minacce) è rimasto il medesimo;
9. quanto alle censure relative all’affermata erronea sussunzione dei fatti contestati nella nozione di rissa, si rileva che la Corte territoriale ha richiamato l’orientamento di legittimità (espresso già da Cass. n. 12132/1998) per il quale la nozione “civilistica” di rissa, prevista da numerosi contratti collettivi, individua una contesa, anche tra due sole persone, idonea a determinare, per le modalità dell’azione e la sua capacità espansiva, una situazione di pericolo per i protagonisti e per altre persone e, comunque, ove la lite si svolga nel contesto lavorativo, un grave turbamento del normale svolgimento della vita collettiva nell’ambito della comunità aziendale, nozione più lata di quella “penalistica”, nella quale primeggia la tutela dell’incolumità personale e in cui è presupposta come dimensione minima del conflitto la partecipazione di almeno tre persone; 10. ora, posto che parte ricorrente non trascrive le norme del CCNL e non lo produce unitamente al ricorso per cassazione, in ogni caso emerge chiaramente dalla motivazione della sentenza impugnata che il licenziamento intimato è stato ritenuto legittimo per la gravità della condotta, essendosi trattato di uso di parole offensive e minacciose e di rifiuto degli ordini lavorativi dei responsabili, ossia di gesto violento con minaccia di aggressione che ha ingenerato un clima di paura e ha turbato l’attività lavorativa e l’intero ambiente circostante (con intervento delle Forze dell’ordine);
11. esclusa la riconducibilità ad ipotesi punita con sanzione conservativa, dunque, le censure in esame non colgono appieno la ratio decidendi della pronuncia d’appello, che ha valutato in concreto il comportamento tenuto, per la sua gravità, suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere la prosecuzione del rapporto pregiudizievole per gli scopi aziendali, con particolare attenzione alla condotta del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza (cfr. Cass. n. 13411/2020; cfr. anche, in ordine alla valenza esemplificativa dell’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, con conseguente rilevanza ai fini del licenziamento di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, Cass. n. 5372/2004, richiamata a p. 10 della motivazione della sentenza impugnata, e successive conformi);
12. con il quarto motivo, parte ricorrente denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alle precedenti contestazioni disciplinari, affermando che l’addebito era inidoneo a integrare giusta causa o giustificato motivo di licenziamento e che la complessiva valutazione della condotta del lavoratore ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per la comminazione del provvedimento espulsivo è stata basata su circostanze esterne rispetto ai fatti addebitati nella contestazione disciplinare;
13. il motivo è inammissibile, perché dal testo della sentenza impugnata non risulta quanto lamentato nel motivo (ossia la valutazione dirimente della recidiva), ma piuttosto la considerazione dell’esistenza di precedenti disciplinari come “ulteriore elemento di valutazione”, non irrilevante nel complessivo giudizio di proporzionalità;
14. in generale, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.; questa Corte non può sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione; l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n.13534/2019, e giurisprudenza ivi richiamata; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 88/2023; v. anche, Cass. n. 14063/2019, n. 16784/2020, n. 17321/2020);
15. alla stregua delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso;
16. le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;
17. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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