Corte di Cassazione ordinanza n. 26682 depositata il 9 settembre 2022
inerenza delle spese pubblicitarie – in materia di IVA l’inerenza del costo non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa – violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ.
Rilevato che:
1. Con due distinti avvisi di accertamento a fini Iva e Irap, anni 2008 e 2009, l’Agenzia delle entrate di Modena effettuava varie riprese nei confronti della curatela del Gruppo Global s.r.l.; in particolare per quanto qui rileva, recuperava, per l’anno 2008, l’omessa fatturazione di acconti sul corrispettivo pattuito per la cessione del marchio Global Relax, per euro 1.836.575,25, qualificati formalmente come finanziamenti e non fatturati, in violazione degli artt. 3, comma 2, n. 2, e 6, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972; l’illegittima deduzione di spese di pubblicità sostenute in relazione al marchio Global Relax, ritenute non inerenti; la illegittima rettifica in diminuzione della plusvalenza relativa alla cessione del marchio Global Relax, operata in base al costo di una consulenza, non giustificato adeguatamente sotto il profilo probatorio.
2. Contro gli avvisi, recanti anche altre contestazioni non rilevanti in questa sede, proponeva ricorso la curatela, ricorso che la Commissione tributaria provinciale di Modena accoglieva in parte, in relazione alla plusvalenza citata.
3. Contro tale sentenza proponevano appello principale la curatela e appello incidentale l’ufficio.
La Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, con la sentenza oggi impugnata, accoglieva l’appello della curatela, in relazione alla ripresa degli acconti sulla cessione del marchio e in relazione alle spese di pubblicità del marchio Global Relax, e rigettava l’appello dell’ufficio, inerente alla plusvalenza.
4. Contro tale sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate sulla base di tre motivi.
La curatela, cui il ricorso è stato notificato a mezzo p.e.c. in data 14 maggio 2018 al difensore costituito nel grado di appello, è rimasta intimata.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 13 luglio 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis.1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31/08/2016, n. 168, conv. in l. 25/10/2016, n. 197.
Considerato che:
1. Con il primo motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 2, n. 2, e 6, comma 3, del d.P.R. 26/10/1972, n. 633, anche in combinato disposto con gli artt. 2697 e 2709 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc.
Il motivo si riferisce alla statuizione relativa al recupero per omessa fatturazione di acconti relativi alla operazione di cessione del marchio Global Relax operata da Gruppo Global s.r.l. a New Relax s.r.l., per euro 1.836.575,25; occorre evidenziare che il corrispettivo della cessione era costituito in parte dalla compensazione dei debiti della prima verso la seconda, tra i quali debiti è stato fatto rientrare anche un finanziamento, effettuato solo il 6 giugno 2008 a fronte della cessione avvenuta il 6 agosto 2008; tali somme, qualificate dalle società come finanziamenti, costituirebbero, ad avviso dell’ufficio, acconti del corrispettivo non contabilizzati.
Mentre la C.T.P. aveva confermato il rilievo, sulla base di due considerazioni (in sintesi, che i crediti maturati dal cessionario alla data della cessione non fossero pari al saldo dei rapporti commerciali ma alla somma delle fatture da ricevere e che non vi fosse prova documentale del finanziamento), la C.T.R. ha invece accolto l’appello del contribuente evidenziando che: a) dall’esame dell’avviso emergeva che i conteggi dei crediti della cessionaria effettuati dai verificatori erano identici a quelli operati nella cessione; b) l’amministrazione non poteva riqualificare il contratto, perché ciò è ammissibile solo in caso di abuso del diritto, previsto dall’art. 37-bis d.P.R. n. 600 del 1973 in tema di imposte dirette e dall’art. 20 d.P.R. n. 131 del 1986, in tema di imposta di registro, e quindi non in materia di IVA; c) il contratto di finanziamento non è soggetto a forma scritta e comunque trovava fondamento nelle scritture contabili nonché nel contratto di cessione del marchio e nel verbale del CdA del Gruppo Global; d) la decorrenza degli effetti della compensazione si era verificate nell’agosto del 2009 e non del 2008.
Deduce l’Agenzia che, ai fini del rilievo, la questione sub a) non era rilevante e che l’unica ratio decidendi è quella relativa alla forma del finanziamento; che nel caso di specie la parte avesse l’onere di provare che la dazione di denaro era avvenuta a titolo di mutuo e che tale onere gravasse sul contribuente quale attore in restituzione; evidenzia l’anomalia di una prassi come quella descritta e l’illogicità del ragionamento fondato sulla sussistenza di un accordo di compensazione in seno al contratto di cessione del marchio; che i finanziamenti costituissero acconti sarebbe poi ricavabile da un passaggio dell’avviso di accertamento.
1.2. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Da un lato, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (tra le tante Cass. 21/03/2019, n. 8007), mentre nel caso di specie la C.T.R. ha ritenuto che la parte avesse assolto il proprio onere probatorio.
Dall’altro, il motivo tende, sotto il profilo di una denuncia di violazione di legge, ad una complessiva rivalutazione del materiale istruttorio, evidenziando alcuni passaggi motivazionali dell’avviso non adeguatamente considerati dalla C.T.R., nonché a denunciare vizi motivazionali sotto il profilo logico, peraltro neanche riqualificabili ai sensi del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione vigente ratione temporis, che prevede solo la possibilità di dedurre l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 109 d.P.R. 22/12/1986, n. 917 e 19 d.P.R. 26/10/1972, n. 633,
anche in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., e degli artt. 1362 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.1 Occorre brevemente riassumere i termini della vicenda sul punto in esame.
Il motivo attiene al rilievo relativo all’anno d’imposta 2008 con cui l’Ufficio ha contestato la detrazione dell’IVA per fatture relative a spese pubblicitarie per la promozione del marchio Global Relax sostenute da parte del Gruppo Global anche dopo la cessione del marchio stesso alla New Relax s.r.l.; la cessione è avvenuta infatti il 6 agosto 2008, e dopo tale data, oltre a talune spese riaddebitate alla cessionaria, sono emerse, nel corso delle attività di indagine, spese per la promozione del marchio, sostenute integralmente dalla cedente Gruppo Global s.r.l. e dalla stessa dedotte, senza alcun riaddebito.
Tali spese, ad avviso dell’ufficio, dovevano quindi ritenersi strettamente inerenti all’attività della cessionaria del marchio New Relax s.r.l. e, in quanto tali, l’IVA era indetraibile dalla cedente.
La C.T.R. ha parzialmente accolto l’appello della società contro la sentenza reiettiva del ricorso sul punto, affermando che <<l’evidenza documentale delle date riportate sul contratto non merita alcuna ulteriore valutazione e depone per la piena detraibilità dell’IVA di tutte le fatture emesse fino al 20.9.2008>>, ciò sull’assunto che, per espressa previsione contrattuale, il marchio era rimasto <<nella piena disponibilità del Gruppo Global sino al 30.9.2008>>.
2.2 Poiché questa è l’unica statuizione censurata dalla ricorrente, sono in rilievo le spese pubblicitarie sostenute nell’intervallo temporale tra il 6 agosto 2008 e il 30 settembre 2008.
In particolare, la ricorrente deduce che l’affermazione che il marchio sia rimasto nella piena disponibilità del Gruppo Global s.r.l. sino a tale data sarebbe erronea, in quanto traviserebbe, in violazione dell’art. 1362 cod. civ. e/o degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., il contenuto della pattuizione, debitamente trascritta nel ricorso, secondo cui <<gli effetti della cessione decorrono dalla data odierna; tuttavia la parte acquirente autorizza sin da ora la parte venditrice ad utilizzare gratuitamente il marchio sino al 30.9.2008 per completare le operazioni di vendita di prodotti contraddistinti dal marchio oggetto di telepromozione e televendita>>.
Alla luce dell’effettiva previsione contrattuale, la ricorrente deduce come fosse evidente che l’autorizzazione all’uso del marchio per completare le operazioni di vendita non era idonea a far ritenere l’inerenza delle ingenti spese di pubblicità sostenute nel periodo 1 agosto/30 settembre 2008; del resto, le parti non avevano previsto contrattualmente che le spese potessero essere portate in deduzione ancora dalla cedente; ancora, che l’ammontare delle spese sostenute è stato di rilevante entità, assolutamente non congruo per promuovere la vendita dei prodotti residui, per solo un mese e mezzo, contraddistinti da un marchio non più proprio; e ciò è ancor più vero ove si consideri la finalità del messaggio pubblicitario, volto a promuovere i prodotti identificanti un dato marchio e influenzare così i consumi dei destinatari. In secondo luogo, e soprattutto, la concessione d’uso gratuito del marchio, per espressa volontà dei contraenti, era finalizzata solo ed esclusivamente alla vendita dei prodotti residui contraddistinti dal marchio.
2.3 Il motivo contiene plurime censure inerenti sia all’interpretazione del contratto che all’inerenza delle spese.
Entrambi i profili sono infondati.
Sotto il primo profilo, la statuizione della C.T.R., nella sentenza in questa sede impugnata, secondo cui il Gruppo Global s.r.l. aveva la <<piena disponibilità del marchio>>, non appare contraria al senso delle parole usate nel contratto, ove si parla di facoltà di utilizzazione:
<<parte acquirente autorizza sin da ora la parte venditrice ad utilizzare gratuitamente il marchio sino al 30.9.2008 per completare le operazioni di vendita di prodotti contraddistinti dal marchio oggetto di telepromozione e televendita>>. Del resto, l’assunto dell’Agenzia non risulta neanche meglio specificato, non evidenziando quale sia l’errore interpretativo compiuto.
Sotto il secondo profilo la sentenza è corretta perché ha fatto applicazione di principi da tempo elaborati da questa Corte secondo cui alla valutazione dell’inerenza dei costi è estranea ogni valutazione di utilità o congruità degli stessi.
In generale Cass. 07/04/2022, n. 11324, secondo cui in tema di spese di sponsorizzazione l’inerenza delle stesse deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo; Cass. 26/01/2022, n. 2237, secondo cu in tema di imposte sui redditi delle società, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art. 75, comma 5, ora art. 109, comma 5, del d.P.R. 22/12/1986, n. 917, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico, non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (ancora Cass. 24/11/2021, n. 36391).
E’ da precisare che questa Corte ha anche affermato ripetutamente il principio che l’antieconomicità del costo (rispetto al ricavo atteso) degrada a mero elemento sintomatico della carenza di inerenza (Cass. 15/09/2021, n. 24856; Cass. 08/03/2021, n. 6368) ma nel caso di specie il motivo esposto dalla ricorrente non compie alcuna valutazione di tale genere.
Occorre precisare, peraltro, che in materia di IVA ben diversa è l’incidenza, sulla valutazione di inerenza, del giudizio di congruità, che non condiziona, né esclude il diritto a detrazione, salvo che l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, e dunque esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, sia «tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad Iva» (Corte di Giustizia, 20 gennaio 2005, C-412/03, Hotel Scandic; Corte di Giustizia, 26 aprile 2012, C-621/10 e C129/11, Balkan; v. anche Corte di Giustizia, 9 giugno 2011, C-285/10, Campsa Estaciones de Servicio; Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, in C- 263/15, Lajvér; Cass. n. 2875 del 03/02/2017; Cass. n. 30/01/2018, n. 2240). In altri termini, in materia di IVA «l’inerenza del costo non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che l’amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e l’attività d’impresa» (Cass. 07/07/2018, n. 19804; Cass. 28/12/2018, n. 33574)
3. Col terzo motivo l’Agenzia deduce la violazione degli artt. 2697 cod. e 86 d.P.R. 22/12/1986, n. 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Il motivo si riferisce alla statuizione della C.T.R. laddove ha ritenuto che la diminuzione della plusvalenza realizzata a seguito della cessione del marchio, derivante dal costo per la consulenza prestata dallo studio legale T., fosse giustificabile alla stregua dell’art. 86 t.u.i.r., che recita «la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il corrispettivo, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato». Deduce che il fallimento, al fine di giustificare la variazione in diminuzione, ha prodotto in giudizio una «nota proforma dello Studio T. e Associati del 31.12.2008 per consulenza sulla cessione del marchio» ma che si tratti di un documento privo di valore fiscale, che non genera obblighi né per la determinazione dei ricavi, né per la liquidazione dell’IVA, e se da un lato non genera ricavi e debenza di IVA, dall’altro non può essere generatrice di costi e di rettifica di partite attive.
Il motivo non è fondato, in relazione ai profili di legge che assume violati.
Infatti, l’art. 86 t.u.i.r. ammette in riduzione della plusvalenza i <<costi accessori di diretta imputazione>> mentre la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile, come visto, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (tra le tante Cass. 21/03/2019, n. 8007); nel caso di specie, la C.T.R. ha ritenuto che la parte avesse assolto il proprio onere probatorio dando la prova del costo accessorio di diretta imputazione, costituito dalla spesa per la consulenza legale.
4. Il ricorso deve quindi essere respinto.
Non essendovi costituzione dell’intimata curatela, non vi è luogo a provvedere sulle spese di lite.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
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