Corte di Cassazione ordinanza n. 26706 depositata il 12 settembre 2022
motivazione mancante e/o apparente – presunzioni – valutazione del giudice ed obbligo di illustrare il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento – il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa – sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie e principio del “favor rei”
Rilevato che:
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, rigettava l’appellò proposto da R. spa avverso la sentenza n. 94/9/12 della Commissione tributaria provinciale di Bergamo, che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IVA 2006/2007.
La CTR osservava in particolare che la partecipazione della società contribuente alla frode fiscale contestata con l’atto impositivo impugnato (fatture per operazioni soggettivamente inesistenti), doveva ritenersi pienamente comprovata dalle attività istruttorie, anche penali, che tale atto basavano, non rilevando in senso esimente né la regolarità formale delle operazioni in oggetto né l’entità percentualmente modesta delle medesime in rapporto al fatturato globale della contribuente.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo cinque motivi, poi illustrati con una memoria.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
Va trattato in via prioritaria, per pregiudizialità logico-giuridica, il quinto motivo del ricorso, con il quale -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per vizio motivazionale assoluto (motivazione mancante/apparente).
La censura è infondata.
Va ribadito che «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “errar in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01).
La struttura argomentativa della sentenza impugnata non corrisponde affatto ai paradigmi negativi indicati in tale, consolidato, arresto giurisprudenziale, risultando di contro sviluppato ed immune da alcun vizio logico il percorso logico-giuridico sulla base del quale il giudice tributario di appello è pervenuto ad una decisione di piena conferma della sentenza appellata, ponendosi dunque tale apparato motivazionale ben oltre il c.d. “minimo costituzionale” (v. Cass., Sez. u, 8053/2014).
In particolare non è ravvisabile, come censurato, una contraddizione logica tra la valorizzazione delle condotte, anche penalmente, illecite di Gian Mario R., quale procuratore speciale della R. spa, nella perpetrazione della frode IVA in oggetto e la sua asserita infedeltà, trattandosi al più di una quaestio juris, non facti, sulla quale peraltro si incentrano i primi tre motivi, dei quali si dirà infra.
Va poi esaminato il quarto motivo, anch’esso per pregiudizialità logico-giuridica, con il quale -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 2729, cod. civ., poiché la CTR non ha valutato adeguatamente le prove indiziarie agli atti in quanto deponenti nel senso, contrario a quello affermato nella sentenza impugnata, che essa ricorrente non fosse autrice della frode fiscale de qua, bensì ne fosse la vittima, in quanto perpetrata esclusivamente dal R., suo infedele procuratore.
La censura è inammissibile.
Va ribadito che «In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento» (Cass. n. 5374 del 02/03/2017).
Il procedimento inferenziale sintetizzato in tale consolidato arresto giurisprudenziale risulta fedelmente seguito dalla CTR lombarda, la quale, esposto il quadro delle prove indiziarie, le ha valutate singolarmente.
In questo modus procedendi non può essere ravvisata alcuna violazione della disposizione codicistica evocata, come appunto ermeneuticamente concretizzata dalla citata giurisprudenza di questa Corte.
E’ per altro verso evidente che la valutazione probatoria data dal giudice tributario di appello non è ulteriormente sindacabile in questa sede, in particolare quale violazione di legge, essendo consolidati nella giurisprudenza di questa Corte i principi di diritto secondo i quali «Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità» (Cass., n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976 – 01); «Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass., n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 01); «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Cass., n. 26110 del 2015).
Ne deriva che le considerazioni della ricorrente in ordine al ruolo decettivo avuto dal suo -asseritamente infedele- procuratore speciale ed alla sua posizione di danneggiata dalla frode fiscale in oggetto, non di beneficiaria della medesima, fuoriescono dal perimetro di questo giudizio in relazione alla censura in esame e possono al più rilevare in ordine alle prime tre censure, come di seguito si passa a considerare.
Con il primo, il secondo ed il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole, rispettivamente, della falsa applicazione degli artt. 19, 21, dPR 633/1972, 6, commi 1, 4, 5, comma 4, d.lgs. 471/1997, 5, d.lgs. 472/1997, 8, dPR 322/1988, 7, di 260/2003, 167, 168, 178, 220 e 226, direttiva UE 2006/112
nonché dei principi unionali di neutralità dell’IVA e di proporzionalità nella repressione delle frodi correlative, dei principi interni di colpevolezza e riferibilità in materia di sanzioni, formulando in via subordinata al secondo ed al terzo motivo istanze gradate di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE ovvero di rimessione alla Corte costituzionale, poiché la CTR ha validato le riprese fiscali sulla base di una travisata ricostruzione dei fatti di causa, appunto inducente una applicazione del tutto erronea delle disposizioni legislative interne e delle disposizioni unionali evocate.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Come detto analizzando il quarto ed il quinto mezzo, dalla sentenza impugnata emerge in modo chiaro che:
-sia pure per una parte minore del fatturato globale, negli anni 2006/2007 la R. spa ha ceduto materie plastiche di propria produzione ad un soggetto passivo comunitario fittizio che a sua volta ha ceduto tali beni ad un soggetto passivo italiano pure fittizio che poi ha riceduto tali beni alla R. medesima, che infine li ha ceduti ad un cliente italiano reale;
-che tale meccanismo frodatorio è stato posto in essere da Gian Mario R., quale procuratore speciale della società contribuente, d’intesa con Paolo Magnone, dominus di dette “cartiere”,.
A sostegno di tali accertamenti in fatto il giudice tributario di appello ha posto gli accertamenti istruttori, soprattutto penali, e nella sostanza la società contribuente non li contesta, sicchè vanno ritenuti pacifici, non essendo del resto ulteriormente valutabili in questa sede.
Sostiene tuttavia la R. spa che:
-nel riacquistare la merce dalla seconda “cartiera” implicata (missing trader) la frode IVA in questione ha assunto natura “circolare” e che il suo versamento d’imposta per la rivalsa esercitata dalla sua dante causa assume effetto “sanante” sul piano impositivo, sicchè non le può essere negato il diritto alla detrazione, pena la violazione dei principi unionali di proporzionalità e neutralità né applicata alcuna sanzione correlativa, così differenziandosi la frode de qua da quella che definisce “lineare” (laddove la merce non “ritorna”, come nel caso di specie, al primo cedente “reale”, ma .va invece direttamente al “reale” cessionario finale);
-più in generale, la ricorrente sostiene che l’infedeltà conclamata (anche dalle decisioni penali) del suo procuratore speciale interrompe il nesso della correlativa rappresentanza organica, qualificandola quindi come soggetto passivo della frode e non come soggetto attivo della medesima, con tutte le conseguenze in ordine al suo diritto di detrazione dell’IVA ed alle sanzioni correlativamente applicatele.
Partendo da questa seconda asserzione giuridica, che risulta invero pregiudiziale, deve affermarsene la completa erroneità giuridica.
Questa Corte infatti, con giurisprudenza costante, ha affermato che «La commissione di un illecito da parte del legale rappresentante di un ente non interrompe il rapporto di immedesimazione organica e non esclude, pertanto, che del fatto possa rispondere anche l’ente, su vari piani, compreso quello fiscale, fatta eccezione per la sola responsabilità penale, avente carattere personale» (Sez. 5 – , Sentenza 12675 del 23/05/2018, Rv. 649082 – 01; conf., Sez. 5, nn. 34482-34483/2019, Sez. 1, n. 25946 del 05/12/2011, Rv. 621020 – 01).
Dunque l’esclusione della responsabilità penale degli amministratori di R. spa non implica affatto l’esclusione della sua responsabilità fiscale, anche sanzionatoria, per i fatti -pacificamente fraudolenti oggetto delle riprese fiscali in esame.
Nè d’altro canto ciò deve considerarsi collidere con il principio unionale di proporzionalità, posto che è la stessa società che ha officiato il R. della sua veste rappresentativa ed è perciò evocabile nei suoi confronti sia la culpa in eligendo sia quella in vigilando, trattandosi peraltro di condotte reiterate nel tempo (due annualità fiscali), avendo comunque il giudice tributario di appello accertato in fatto l’assenza di prove giustificative/esimenti al riguardo.
Risulta peraltro priva di valore/effetti giuridici la distinzione tra frodi “lineari” e frodi “circolari”, patrocinata dalla ricorrente principalmente ed essenzialmente ai fini dell’applicabilità delle previsioni di cui agli artt. 21, comma 7, 19, dPR 633/1972 e correlative sanzioni per le irregolarità formali contestate dall’Ente impositore ed accertate dai giudici di merito.
Ferma la responsabilità della società contribuente per le condotte poste in essere dal suo procuratore speciale, ciò che su detti piani rileva infatti è che sin dal primo atto della, specifica, frode in oggetto si è consumata una violazione della normativa IVA, appunto effettuandosi una cessione fittizia ad una “cartiera” comunitaria, quindi senza assolvimento dell’imposta in base al principio della “tassabilità a destinazione”, poi aggravata da un’ulteriore cessione fittizia ad una cartiera che, come pure è assodato nel giudizio di merito, quale missing trader non ha mai versato all’Erario italiano l’IVA poi pagatele in rivalsa da R. spa.
Quindi, a ben vedere, al contrario di quanto sostiene la ricorrente, già con la prima operazione, soggettivamente inesistente, in virtù del principio di cartolarità ex art. 21, settimo comma, dPR 633/1972, l’IVA deve essere assolta dalla società contribuente avendo riguardato un cessionario comunitario fittizio.
Ugualmente essa non può avvalersi del diritto di detrazione in relazione al “riacquisto” dalla seconda “cartiera”, trattandosi di un’ operazione anch’essa fraudolenta (nella logica appunto della c.d. “frode carosello” ove l’effetto evasivo si amplifica nei successivi passaggi).
Che poi “a valle” vi sia stata un’ulteriore operazione, questa sì, regolare con un soggetto terzo effettivo cessionario finale delle merci in questione non incide sulla irregolarità delle operazioni precedenti e sui correlati effetti obbligatori e sanzionatori.
Che tali affermazioni in diritto siano conformi alla disciplina unionale dell’imposta risulta pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, come modellata e conforme a quella della Corte di giustizia UE (tra le molte interne ed unionali, per la prima operazione, cfr. Cass., 36687/2021, in particolare punto 6 e giurisprudenza unionale citata; per l’operazione di riacquisto delle merci, cfr. Cass., 14716/2021, punto 2.5, anche per la giurisprudenza unionale citata).
Non vi è dunque evidentemente ragione per sollevare alcuna pregiudiziale comunitaria avanti alla Corte di giustizia UE né d’altro canto per proporre una questione di legittimità costituzionale, trattandosi di un’applicazione unionalmente orientata della disciplina fiscale de qua e, come detto, rispondendo la società contribuente sia per l’imposta sia per le sanzioni per condotte del suo procuratore speciale, che le sono direttamente ascrivibili in virtù del rapporto di rappresentanza organica, secondo i consolidati principi di diritto che sopra si sono citati.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Vi è tuttavia da rilevare che, con la memoria ex art. 378, cod. proc. civ., la ricorrente fa valere il suo diritto alla rideterminazione, più favorevole, delle sanzioni irrogatele in base alla /ex mitior di cui al d.lgs. 158/2015, articolandone in concreto le ragioni.
Deve dunque darsi seguito ai principi di diritto secondo i quali «In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario, introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015 e vigente dal 1° gennaio 2016 a norma dell’art. 32 del medesimo d.lgs., è applicabile retroattivamente in forza del principio del “favor rei”, a condizione che il processo sia ancora in corso e che perciò non sia ancora definitiva la parte sanzionatoria del provvedimento impugnato» (Sez. 5 – , Sentenza n. 8716 del 30/03/2021, Rv. 660967 – 01) e «In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dall’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015 al d.lgs. n. 471 del 1997 non operano in modo generalizzato in senso favorevole al reo, con la conseguenza che la mera affermazione di uno “ius superveniens” migliorativo non rende automaticamente la sanzione irrogata illegale, in mancanza della specifica deduzione dell’applicabilità – in concreto – di una sanzione tributaria inferiore a quella comminata. (Nella specie, la S.C. ha accolto la richiesta subordinata di applicazione dello “ius superveniens”, avendo la società ricorrente trascritto nella memoria lo stralcio dell’avviso di accertamento dal quale risultava la violazione accertata e la sanzione in concreto applicata e avendo altresì rideterminato il “nuovo” minimo edittale da irrogare, corrispondente al 90 per cento della maggior imposta dovuta)» (Sez. 5 – , Sentenza n. 19286 del 16/09/2020, Rv. 658994 – 02).
Pertanto, limitatamente al trattamento sanzionatorio ed alla sua rideterminazione; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; cassa la sentenza impugnata limitatamente alle sanzioni e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.