Corte di Cassazione ordinanza n. 26708 depositata il 12 settembre 2022
mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale – nel processo in cassazione la parte non può proporre una propria diversa interpretazione, alla valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito – vizio di violazione di legge – violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. – deducibilità della fatturazione ad operazioni soggettivamente inesistenti
Rilevato che:
Con la sentenza· impugnata accoglieva l’appello proposto dall’ Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 555/10/11 della Commissione tributaria provinciale di Caserta che aveva accolto il ricorso di R. R. srl contro l’avviso di accertamento per II.DO. ed IVA 2005.
La CTR osservava in particolare che, accertata la fittizietà (soggettiva) delle fatture emesse da D.C. sas ed A. srl nei confronti della società contribuente, ciò di per sé legittimava l’adozione da parte dell’Ente impositore della metodogia “induttiva” di accertamento ex art. 39, secondo comma, lett. d), dPR 600/1973, essendo peraltro emerso in sede di verifica fiscale l’incongruità del reddito dichiarato dalla contribuente medesima e la palese antieconomicità della gestione aziendale, con la conseguente fondatezza delle pretese creditorie erariali sia in relazione alle II.DD. che all’IVA, anche in considerazione della mancata prova da parte della società verificata della minima diligenza in ordine all’accertamento dell’effettività delle operazioni in contesto.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 53, comma 1, d.lgs. 546/1992, 112, cod. proc. civ., poiché la CTR non ha rilevato l’inammissibilità del gravame agenziale per a-specificità dei motivi.
La denuncia di violazione dell’art. 112, cod. proc. civ. è inammissibile secondo il principio di diritto che «Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale .. non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte» (Cass. n. 321 del 12/01/2016, Rv. 638383 – 01).
Quella di violazione dell’art. 53, comma 1, d.lgs 546/1992 è invece infondata, secondo il principio di diritto che «Nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7369 del 22/03/2017, Rv. 643485 – 01; v. nello stesso senso Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1200 del 22/01/2016, Rv. 638624 – 01, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14908 del 01/07/2014, Rv. 631559; Sez. 5, Sentenza n. 3064 del 29/02/2012, Rv. 621983 – 01).
Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697, cod. civ., 115, cod. proc. civ., 54, d.lgs 546/1992, 39, dPR 600/1973 e vizio motivazionale, poiché la CTR ha affermato la fondatezza delle pretese creditorie erariali in relazione alla contestata utilizzazione di fatture per operazioni (soggettivamente) inesistenti.
La censura è inammissibile e comunque infondata.
Va ribadito che:
-«Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità» (Cass., n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976 – 01);
-«Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne l’attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass., n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01);
-«In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione del1a fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Cass., n. 26110 del 2015).
-«La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.» (Cass., n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541 – 01);
-«In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era è conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (Cass., n. 9851 del 20/04/2018).
Orbene, dal complesso dei, consolidati, principi di diritto citati, emerge chiaramente, per un verso, l’inammissibilità del mezzo in quanto complessivamente inducente una “revisione” del giudizio di merito, in particolare della valutazione delle prove agli atti, che non è consentita a questa Corte; per altro verso, l’infondatezza del mezzo stesso relativamente alla denuncia di violazione dell’art. 2697, cod. civ., in particolare in ordine alla sua consapevolezza della fittizietà soggettiva delle fatture in contesto.
La motivazione del giudice tributario di appello su tali decisive circostanze appare del tutto congrua e dettagliata, non essendo ulteriormente sindacabile in questa sede l’apprezzamento in concreto delle fonti probatorie ed in ogni caso risultando la motivazione della sentenza impugnata ben al di sopra del “minimo costituzionale”, cui è limitato il sindacato di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella versione vigente ed applicabile (cfr. SU 8053/2014).
Con il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-4, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione dell’art. 8, di. 16/2012 e di omessa pronuncia in violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la CTR non ha statuito in ordine alla deducibilità dei costi afferenti le false fatturazioni contestate, secondo lo jus superveniens di cui alla prima disposizione legislativa evocata.
La censura è fondata.
In effetti il giudice tributario di appello non si è pronunciato sulla questione, posta dalla società contribuente con le controdeduzioni in appello, dell’applicabilità della disposizione dell’art. 8, di 16/2012, quale novellante l’art. 14, comma 4-bis, legge 537/1993, dovendosi senz’altro considerare la disposizione medesima applicabile retroattivamente in quanto più favorevole, stante l’espressa previsione normativa in tal senso (art. 8, comma 3, di 16/2012).
Tale questione dovrà pertanto essere rivalutata in sede di rinvio, secondo il principio dì diritto che «In tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4 bis, della l. n. 537 del 1993 (nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. in l. n. 44 del 2012), che opera, in ragione del comma 3 della stessa disposizione, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.(Nella specie la S.C., in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata che ritenuto “certo” il costo per la mera rappresentazione dello stesso in fattura, senza alcuna valutazione sulla inerenza dello stesso all’attività di impresa)» (tra le molte, Cass., n. 17788 del 06/07/2018, Rv. 649801- 01).
Con il quarto motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2697, cod. civ., 39, dPR 600/1973 e vizio motivazionale, poiché la CTR ha affermato la fondatezza delle riprese erariali, anche, sulla base della “antìeconomìcìtà” della gestione aziendale, con particolare riguardo alla bassa redditività (5%).
La censura è inammissibile.
L’articolazione del mezzo rappresenta indubbiamente una richiesta di rivalutazione del meritum causae, che non è consentito alla Corte secondo i consolidati arresti giurisprudenziali citati in relazione al primo motivo.
Vi è peraltro da rilevare in diritto che il giudice tributario di appello ha fatto puntuale applicazione dell’altrettanto consolidato principio di diritto che «Nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità» (tra le molte, Sez. 5, Sentenza n. 14941 del 14/06/2013, Rv. 627156 – 01; conf. Sez. 5 – , Ordinanza n. 25257 del 25/10/2017, Rv. 645975 – 01).
In conclusione, accolto il terzo motivo del ricorso, respinti il primo, secondo e quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR per nuovo esame ed anche per le spese del presente giudizio.
PQM
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso, respinge il primo, il secondo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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