Corte di Cassazione ordinanza n. 26729 depositata il 12 settembre 2022
in un caso di “doppia conforme”, risulta invero applicabile l’art. 348 ter, cod. proc. civ. – accertamento dei redditi con metodo sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 – vizio di violazione di legge – la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione
Rilevato che:
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello principale proposto da Alvaro Di Feo nonché quello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 112/26/13 della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva parzialmente accolto i ricorsi del Di Feo contro gli avvisi di accertamento IRPEF 2005/2006.
La CTR osservava in particolare che trattandosi di atti impositivi basati sull’applicazione del c.d. redditometro ex art. 38, quarto comma, dPR 600/1973, dunque fondati sulla correlativa presunzione legale relativa, il contribuente non aveva adeguatamente controprovato le contestazioni mossegli, se non con riguardo al contributo finanziario del fratello per l’acquisto di un’autovettura nel 2006, sicchè se ne doveva confermare la rideterminazione del quantum debeatur sancita dai primi giudici.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate che peraltro propone ricorso incidentale affidato a due motivi.
Nelle more del giudizio il contribuente ne ha chiesto la sospensione ex art. 11, comma 8, d.l. 50/2017, ma l’agenzia fiscale tramite il proprio patrono ha depositato i correlativi provvedimenti di diniego di definizione agevolata.
Considerato che:
In via preliminare va rilevato che il Di Feo non ha impugnato detti provvedimenti agenziali di rigetto delle sue istanze di definizione agevolata con riguardo agli atti impositivi oggetto del processo.
Ciò posto, con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- il ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 38, dPR 600/1973, poiché la CTR ha affermato la natura di presunzione legale del c.d. redditometro, trattandosi invece di una mera presunzione semplice.
La censura è manifestamente infondata.
La giurisprudenza di questa Corte è, da tempo, consolidata nel senso che «In tema di accertamento dei redditi con metodo sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, la disponibilità di un alloggio e di un autoveicolo integra, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. citato, nella versione “ratione temporis” vigente, una presunzione di capacità contributiva “legale” ai sensi dell’art. 2728 e.e., imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17487 del 01/09/2016, Rv. 640989 – 01; conf., Sez. 5, Sentenza n. 16284 del 23/07/2007, Rv. 599484 – 01).
Il giudice tributario di appello si è pienamente conformato a questo arresto giurisprudenziale affermando la natura legale, pur relativa, della presunzione de qua.
Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- il ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione dell’art. 38, dPR 600/1973, poiché la CTR non ha valutato correttamente le sue allegazioni probatorie, con particolare riguardo alla capacità contributiva complessiva del suo nucleo famigliare (moglie e figlie).
La censura è inammissibile.
Va ribadito che:
-«In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Cass., n. 26110 del 2015);
-«Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità» (Cass., n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976 – 01);
-«Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass., n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01).
Risulta del tutto evidente che il ricorrente, travisando il senso del paradigma impugnatorio utilizzato, richiede a questa Corte una “revisione” della valutazione delle prove operata dalla CTR lombarda, la quale invero ha concretamente apprezzato, pur sfavorevolmente al Di Feo, le sue allegazioni circa il contributo reddituale dato dai famigliari e dunque ha tutt’altro che omesso di valorizzare giuridicamente l’apporto della c.d. “famiglia fiscale”, quanto piuttosto semplicemente non lo ha ritenuto sufficiente ad integrare una piena controprova, se non nei limiti di cui infra.
Con il terzo e con il quarto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.- il ricorrente denuncia vizio motivazionale della sentenza impugnata in ordine alla valutazione delle prove che ha offerto nei due gradi del giudizio di merito in relazione ai redditi concorrenti del nucleo famigliare nonché da disinvestimenti ed in relazione al possesso di un’imbarcazione.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili.
Vertendosi in un caso di “doppia conforme”, risulta invero applicabile l’art. 348 ter, cod. proc. civ., sicchè i mezzi in esame non sono proponibili.
Con il primo motivo del ricorso incidentale -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- e con il secondo motivo del ricorso incidentale -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente, rispettivamente, denuncia la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., per ultrapetizione, e lamenta la violazione dell’art. 32, commi 4-5, dPR 600/1973, poiché la CTR ha confermato la sentenza appellata anche in punto ammissibilità della produzione documentale, effettuata dal contribuente soltanto con il ricorso introduttivo della lite, inerente il contributo finanziario del fratello (euro 37.200) per l’acquisto nel 2006 di uno dei “beni-indice” (autovettura).
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Quanto alla prima, basti osservare che l’inammissibilità della produzione documentale de qua è stata oggetto di eccezione processuale dell’Agenzia delle entrate, ufficio locale, nel primo grado del giudizio e quindi motivo di appello incidentale.
Né poteva essere diversamente e quindi formare oggetto di motivo del ricorso introduttivo della lite, non avendovi il contribuente alcun interesse al riguardo.
Quindi averne preso cognizione ed averla decisa non integra alcuna ultrapetizione da parte dei due giudici di merito, chè peraltro erano del tutto svincolati nel valutarla dal punto di vista giuridico, secondo il principio generale jura novit curia e quindi in particolare nell’interpretazione/applicazione della previsione preclusiva di cui all’art. 32, commi 4-5, dPR 600/1973.
Peraltro, implicitamente, entrambi tali giudici hanno accertato in fatto la mancanza dei requisiti per l’applicabilità di detta disposizione legislativa, in particolare sotto il profilo delle necessarie garanzie informative e di tempistica dell’adempimento, secondo il consolidato principio di diritto, espressamente richiamato dal giudice tributario di appello, che «In tema di accertamento fiscale (nella specie, per il maggior reddito non dichiarato per IRAP, IRPEF e IVA, quest’ultima per maggiori ricavi e recupero di costi non documentati), l’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dall’art. 32, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (nonché, in materia di IVA, dall’omologa disposizione di cui all’art. 51, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), per fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. A tal fine, peraltro, è necessario che l’Amministrazione, con l’invio del questionario, fissi un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alle stesse, senza che, in caso di mancato rispetto della suddetta sequenza procedimentale (la prova della cui compiuta realizzazione incombe sull’Amministrazione), sia invocabile la sanzione dell’inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l’introduzione del processo tributario, trattandosi di obblighi di informativa espressione del medesimo principio di lealtà, il quale deve connotare – come si evince dagli artt. 6 e 10 dello Statuto del contribuente – l’azione dell’ufficio» (Sez. 5, Sentenza n. 22126 del 27/09/2013, Rv. 628934 – 01).
Va peraltro soggiunto che questa Corte, più in generale, ha altresì affermato che «In tema di accertamento tributario, l’inottemperanza del contribuente a seguito dell’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, ex art. 32, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, comporta l’inutilizzabilità in sede amministrativa e processuale solo dei documenti espressamente richiesti dall’Ufficio, in quanto detta disposizione normativa deve essere interpretata in coerenza con il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. e con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 16548 del 22/06/2018, Rv. 649229 – 01) ed è indubbio che il documento de quo non rientrasse tra quelli richiesti dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, nella fase preprocessuale.
In conclusione vanno rigettati sia il ricorso principale che il ricorso incidentale, con compensazione integrale delle spese del giudizio, per reciproca soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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