CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza n. 26822 del 12 settembre 2022
Tributi – IRPEF – Reddito di lavoro dipendente – Acquisto di azioni – Stock option – Capital gain – Regime di tassazione applicabile
Rilevato che
1. F. C. ricevette nell’anno 2004, quale dipendente della società A. s.p.a., i diritti di opzione per l’acquisto di azioni della società lussemburghese A.I. s.a., controllante di A. s.p.a., non quotata, al prezzo di euro 929.687,50 pari al valore delle azioni al momento dell’offerta, con facoltà di esercizio delle cd. stock option ad una certa scadenza.
Nell’anno 2005, avvalendosi della riapertura dei termini per la rivalutazione di titoli, quote e diritti non negoziati posseduti al 1 gennaio 2005, ai sensi del d.l. n. 203 del 2005, art. 11-quaterdecies, comma 4, convertito con l. n. 248 del 2005, egli procedette alla rivalutazione dei diritti di opzione in base a perizia di stima ed al successivo versamento di imposta sostitutiva, fissandone in tal modo il valore fiscalmente riconosciuto in euro 1.447.800,00.
In data 15 dicembre 2006, egli esercitò i diritti di opzione e contestualmente rivendette le azioni ottenute al maggior prezzo di euro 5.403.554,89, importo che la società datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 51 t.u.i.r., comma 2, lett. g-bis, nella formulazione vigente a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. n. 262 del 2006, convertito in l. n. 286 del 2006, assoggettò, per il periodo d’imposta 2006, alla ritenuta IRPEF calcolata sulla differenza tra il prezzo di vendita delle azioni ed il valore delle azioni al momento dell’assegnazione dei diritti di opzione nel 2004, imputando tale incremento di valore a redditi da lavoro dipendente.
2. Il contribuente, ritenendo che, in assenza di disciplina transitoria, dovesse farsi applicazione del principio generale di cui all’art. 3, comma 1, secondo periodo, della l. n. 212 del 2000, secondo cui, relativamente ai tributi periodici, le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono, con conseguente applicabilità del diverso regime agevolato delle stock option vigente al momento dell’assegnazione dei diritti di opzione nel 2004, presentò istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate, chiedendo, in via principale, il rimborso della maggiore somma pari alla differenza tra l’Irpef pagata sul differenziale ‹‹prezzo di vendita- prezzo di esercizio delle opzioni›› e l’imposta sostitutiva del 12,50 per cento applicabile sulla plusvalenza determinata dalla differenza tra il prezzo di vendita delle azioni ed il prezzo di esercizio delle opzioni, aumentato del valore fiscalmente riconosciuto derivante dalla rivalutazione effettuata nel 2005; in via subordinata, chiedendo il rimborso della maggiore somma riscossa pari alla differenza fra l’Irpef versata sul differenziale ‹‹prezzo di vendita- prezzo di esercizio delle opzioni›› e l’Irpef dovuta sullo stesso differenziale, aumentato del valore fiscalmente riconosciuto derivante dalla rivalutazione operata nel 2005.
3. Formatosi il silenzio – rifiuto sull’istanza di rimborso, il contribuente lo impugnò, deducendo che non fosse applicabile la nuova disciplina risultante dalle modifiche apportate nel 2006 all’art. 51 t.u.i.r., comma 2, lett. g-bis, dal d.l. n. 262 del 2006, convertito dalla l. n. 286 del 2006, e, ribadendo le domande già proposte con l’istanza di rimborso, chiese che venisse anche riconosciuto il valore fiscale derivante dalla rivalutazione effettuata nel 2005, pena la violazione del divieto di doppia imposizione previsto dall’art. 163 t.u.i.r.
La Commissione tributaria provinciale di Torino respinse il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
4. La Commissione tributaria regionale del Piemonte accolse l’appello del contribuente, con la sentenza n. 157/36/13 emessa in data 18 giugno 2013 e pubblicata in data 1° ottobre 2013, evidenziando la inapplicabilità al caso di specie della nuova disciplina, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 212 del 2000, dovendo ritenersi che le nuove norme fossero applicabili a decorrere dalla nuova annata di imposta e quindi, nel caso di specie, dall’1 gennaio 2007; negò il riconoscimento della rivalutazione operata dal contribuente; compensò le spese di lite.
5. Contro tale sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate sulla base di un motivo.
F. C. s’è costituito con controricorso e ha depositato ricorso incidentale, affidato ad un motivo.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 13 luglio 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis.1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 51, comma 2, lett. g-bis, e comma 2-bis d.P.R. n. 917 del 1986, nella formulazione ratione temporis applicabile e dell’art. 3, comma 1, della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2. Col ricorso incidentale F. C. deduce, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 163 del d.P.R. n. 917 del 1986 in combinato disposto con l’art. 53 Cost. e conseguente falsa applicazione dell’art. 5 della l. n. 448 del 2001, cui rinvia l’art. 11-quaterdecies, comma 4, d.l. n. 203 del 2005 convertito con l. n. 248 del 2005; il contribuente censura la sentenza impugnata che, ai fini della determinazione del reddito imponibile, ha negato che il valore fiscalmente riconosciuto del diritto di opzione — conseguente alla rivalutazione fiscale a pagamento di tale diritto sulla base di una perizia giurata di stima — dovesse sommarsi al costo di acquisto delle azioni, che era stato il solo valore conteggiato dal datore di lavoro-sostituto d’imposta.
I motivi dedotti possono essere decisi in base a principi ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte.
3. In ordine al ricorso principale, i termini del problema sono, in sintesi, i seguenti, come riportati da Cass. 30/09/2019, n. 24269.
3.1. Al momento dell’offerta del diritto di opzione, nel 2004, l’art. 51, comma 2, lett. g-bis) t.u.i.r. escludeva dalla formazione del reddito di lavoro dipendente l’incremento di valore delle azioni generatosi fra il momento di attribuzione dei diritti di opzione ed il momento di esercizio degli stessi, per cui l’incremento di valore era imponibile solo al momento successivo della vendita delle azioni ottenute mediante l’esercizio dei diritti di opzione, scontando la tassazione del 12,5 per cento prevista per i redditi di capitale; l’accesso al regime agevolativo era subordinato al rispetto di due condizioni, ossia a) che l’ammontare corrisposto dal beneficiario per l’esercizio dell’opzione fosse «almeno pari» al valore delle azioni al momento dell’offerta; b) che le partecipazioni possedute dal beneficiario non rappresentassero una percentuale dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 10 per cento.
Nel corso del 2006 la disciplina è stata oggetto di modifica con ben tre interventi normativi:
1) il d.l. n. 223 del 2006 ha abrogato la disciplina previgente, con la conseguenza che è stato attratto a tassazione ordinaria, come reddito da lavoro dipendente, l’incremento di valore prima escluso;
2) successivamente, in sede di conversione del suddetto d.l. n. 223 del 2006, e quindi con la legge n. 248 del 2006, la disciplina prima abrogata è stata reintrodotta, con l’aggiunta di due nuove condizioni applicative, per cui era anche richiesto che: a) le azioni ricevute non fossero cedute o costituite in garanzia nei cinque anni successivi alla data di assegnazione, b) il valore delle azioni assegnate non superasse l’importo della retribuzione lorda annua relativa al periodo di imposta precedente a quello di assegnazione;
3) in seguito, il d.l. n. 262 del 2006, come convertito dalla legge n. 286 del 2006, ha aggiunto alle due condizioni di accesso alla disciplina agevolativa previste nell’originario regime, ulteriori tre condizioni, ossia a) il mantenimento, nei cinque anni successivi alla data di assegnazione, di un investimento delle azioni ricevute almeno pari alla differenza tra il valore normale delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal beneficiario; b) l’esercitabilità dell’opzione «non prima» che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione; c) la quotazione delle azioni oggetto delle stock options quando l’opzione diviene esercitabile.
Nel caso in esame, simile ad altri casi di cui questa Corte si è occupata, l’esercizio del diritto di opzione è avvenuto il 15 dicembre 2006 (allorché per i contribuenti risultavano pienamente integrate le due condizioni previste nell’originario regime, mentre non risultavano presenti le altre condizioni risultanti dal d.l. n. 262 del 2006, circostanza considerata pacifica dalle parti); il contribuente ha sostenuto che, in assenza di una «disciplina transitoria» o di una «disposizione analoga» sulla decorrenza in deroga espressa all’art. 3, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente, la nuova disciplina risultante dal citato d.l. n. 262 del 2006 non fosse applicabile ai cd. «piani in corso», ossia ai piani di stock option già deliberati alla data di entrata in vigore del nuovo regime fiscale risultante dall’ultimo intervento di modifica, ma i cui diritti di opzione non erano stati ancora esercitati dal dipendente, avendo efficacia solo a partire dal periodo di imposta 2007, ossia il primo successivo a quello in corso al momento di entrata in vigore delle modifiche, come previsto dal richiamato art. 3, comma 1, l. n. 212 del 2000, con conseguente operatività nel caso di specie dell’art. 51, comma 2, lett. g-bis) del t.u.i.r. nella formulazione vigente fino al 4 luglio 2006.
3.2. Tale tesi è stata condivisa dalla C.T.R. nella sentenza impugnata e sottoposta a censura dall’Agenzia ricorrente, il cui unico motivo sul punto si rivela fondato, alla luce di un consolidato orientamento di questa Corte sul punto (Cass. 01/03/2019, n. 6118; Cass. 02/07/2019, n. 17695; Cass. 17/01/2020, n. 918; Cass. 6/10/2020, n. 21404; Cass. 20/10/2020, n. 21788; Cass. 30/12/2020, n. 29891; Cass. 17/08/2021, n. 22998; Cass. 28/04/2022, n. 13430; Cass. 9/05/2022, n. 14499).
3.3. In primo luogo, in tema di determinazione del reddito di lavoro dipendente, la disciplina di tassazione applicabile ratione temporis alle stock option va individuata in quella vigente al momento dell’esercizio del diritto di opzione da parte del dipendente, a prescindere dal momento in cui l’opzione sia stata offerta, atteso che l’operazione cui consegue la tassazione non va identificata nell’attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta a imposizione tributaria, ma nell’effettivo esercizio di tale diritto mediante l’acquisto delle azioni, che costituisce il presupposto dell’imposizione commisurata proprio al prezzo delle stesse e che è rimesso alla libera scelta del beneficiato (in tal senso, cfr. Cass. 12/04/2017, n. 9465, conforme a Cass. 20/05/2011, n. 11214; gli stessi princìpi sono enunciati da Cass. 20/06/2018, n. 16227; Cass. 17/07/2018, n. 18917; Cass. 23/12/2020, n. 29343).
Nel caso di specie il diritto è stato esercitato in data 15 dicembre 2006, con l’acquisto di un certo numero di azioni e con la contestuale rivendita, ad opera del contribuente, quando era già in vigore (dal 3 ottobre 2006) il d.l. n. 262 del 2006, che aveva aggiunto ai due originari presupposti per fruire della tassazione agevolata del 12,5 per cento sui capital gain gli ulteriori tre presupposti sopra menzionati, questi ultimi pacificamente non ricorrenti nel caso concreto.
3.3. Non è conforme a diritto il riferimento operato dalla C.T.R. al divieto di retroattività delle disposizioni tributarie relative a tributi periodici (art. 3, comma 1, secondo periodo, l. n. 212 del 2000). Infatti, come questa Corte ha già precisato (Cass. n. 17695 del 2019, cit.; Cass. n. 29343 del 2020, cit.), la nozione di «tributi periodici» cui fa riferimento il disposto dell’art. 3, comma 1, secondo periodo, della l. n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), per il quale «Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono», attiene ai tributi che connotino le prestazioni periodiche come basate su un’unica causa debendi continuativa (così, ad esempio, tra i tributi locali, la tassa sui rifiuti, su cui, nel vigore della c.d. Ta.r.s.u., cfr. Cass. 23/02/2010, n. 4823), mentre essa non è riferibile all’Irpef, in cui la prestazione tributaria, sebbene dovuta di anno in anno (donde l’obbligo di dichiarazione che si rinnova «periodicamente»), alla luce dell’autonomia dei singoli periodi d’imposta ed in relazione all’autonoma valutazione dei presupposti impositivi, non può definirsi «periodica» secondo l’accezione sopra illustrata. Né la conferma del succitato indirizzo pone problemi di compatibilità con i principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto anche alla luce della giurisprudenza sovranazionale di riferimento (per i puntuali rinvii alla quale si veda, esaustivamente, Cass., Sez. U., 19/06/2018, n. 16157), dovendosi escludere che al momento dell’offerta del diritto di opzione il contribuente potesse avere certezza che il valore delle azioni si sarebbe incrementato e potesse, di conseguenza, fare affidamento sull’immutabilità della disciplina agevolativa.
Il ricorso dell’Agenzia va pertanto accolto.
4. In merito al ricorso incidentale, la decisione della C.T.R. è conforme all’orientamento di legittimità, che il Collegio condivide, per il quale «Ai fini della applicazione della disciplina prevista dall’art. 51 […] è proprio la fattispecie presa in esame ad escludere l’accesso alla procedura di rivalutazione della partecipazione all’offerta di stock option. Se infatti oggetto della disciplina era la regolamentazione impositiva di una voce di reddito, esonerata dalla tassazione quale reddito da lavoro dipendente qualora ricorrenti le specifiche condizioni previste dai commi 2, lett. g-bis), e 2-bis dell’art. 51, deve escludersi che quella voce fosse associabile al concetto stesso di plusvalenza, regolata dall’art. 67 T.U.I.R. Ne consegue che la partecipazione al piano di stock option concessa gratuitamente al dipendente non poteva né doveva essere rivalutata ai sensi dell’art. 5 della l. n. 448 del 2001, come integrata dall’art. 11-quaterdecies, comma 4, del d.l. n. 203 del 2005, conv. in l. n. 248 del 2005. D’altronde ciò è coerente con la peculiarità del diritto d’opzione concesso, incedibile e relativo ai peculiari rapporti correnti tra il dipendente e la società sua datrice di lavoro» (Cass. 28/04/2022, n. 13430; Cass. 27/10/2020, n. 23540).
Né è fondato il rilievo del controricorrente riguardo al rischio di assoggettamento a doppia imposizione, in violazione del divieto di cui all’art. 163 t.u.i.r., atteso che il contribuente potrà agire eventualmente per il rimborso del pagamento dell’imposta sostitutiva.
5. In conclusione, accolto il ricorso principale e rigettato quello incidentale, la sentenza è cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso introduttivo.
6. Le spese dei gradi di merito debbono essere compensate tra le parti, anche in considerazione del consolidarsi dell’orientamento sopra indicato in corso di causa, mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; rigetta il ricorso incidentale;
compensa le spese dei gradi di merito; condanna C. F. al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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