CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 ottobre 2018, n. 26842
Crediti contributivi pretesi – Inps – Assunzione di operai a tempo determinato
Rilevato che
la Corte d’appello di Bari, con la sentenza n. 556 del 2014, pronunciando sui procedimenti riuniti aventi ad oggetto gli appelli avverso la medesima sentenza di primo grado proposti dall’Inps e da di D.T. s.r.l. (quest’ultima per la sola questione della competenza territoriale del giudice adito), ha riformato la sentenza impugnata ed, accogliendo l’appello dell’INPS, ha affermato che il tribunale si era pronunciato solo sui crediti contributivi di competenza della sede di Bari senza adottare alcun pronuncia su quelli relativi alla sede di Taranto ed ha rigettato nel merito l’opposizione a cartella relativa ai primi;
la Corte territoriale ha ritenuto erronea la motivazione secondo cui l’Inps, a fronte dei propri oneri probatori relativi alla sussistenza dei crediti contributivi pretesi, si fosse limitato a produrre visualizzazioni informatiche dei dati asseritamente denunciati dall’opponente, privi dunque di idonea valenza probatoria;
in particolare, I’ opponente era stata messa in condizione di apprendere gli elementi necessari alla identificazione dei trimestri contributivi richiesti in cartella che si correlavano alle denunce di assunzione di operai a tempo determinato effettuate dalla stessa società e, costituendosi, l’Istituto aveva prodotto la documentazione relativa agli anni 2001, 2002 e 2004, derivanti confessoriamente dalle denunce DMAG, e la relazione dell’ufficio dalle quali emergeva che le inadempienze pretese dalla sede di Bari erano state tutte contabilizzate nel corso del 2005 e relative, dunque, a periodi successivi a quelli interessati dalla procedura di ristrutturazione che riguardava i crediti contributivi posti in riscossione sino al 31.12.2004;
avverso tale sentenza D.T. s.r.l. propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi illustrati da memoria;
l’INPS non ha svolto difese, limitandosi a rilasciare procura in calce alla copia notificata del ricorso per cassazione;
considerato che il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma n. 5), cod. proc. civ., lamenta l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio costituito dalla circostanza che l’INPS non aveva esibito in causa le denunce compilate dalla opponente, come affermato in motivazione dalla sentenza impugnata;
il secondo motivo si riferisce alla violazione dell’art. 116 cod. proc.civ. (art. 360, primo comma n. 4, cod. proc. civ.) e dell’art. 2735 cod. civ. (art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ.) posto che il mancato deposito delle denunce DMAG privava di valore confessorio le mere stampe informatiche, unilateralmente formate dall’Inps, che erano stati gli unici documenti realmente prodotti dall’Istituto; il terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 414, nn. 4 e 5, cod. proc. civ. e 416, comma 3, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma n. 3, cod.proc.civ. posto che la sentenza impugnata aveva erroneamente posto a carico dell’opponente l’onere di contestare gli elementi costitutivi dell’obbligazione contributiva anche se gli stessi non erano mai stati espressamente allegati in cartella, né nella memoria difensiva dell’Inps;
i motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto tutti fondati sulla incidenza, nella corretta applicazione dei principi regolatori del riparto dell’onere dell’allegazione e di prova in materia di opposizione a cartella per contributi previdenziali, della mancata produzione in giudizio delle denunce trimestrali DMAG che si pongono a base dei crediti contributivi pretesi dall’INPS mediante riscossione esattoriale; essi sono infondati;
in particolare, dopo aver premesso che l’onere di provare la sussistenza dei crediti contributivi pretesi gravava sull’Inps, la Corte territoriale ha motivato la decisione partendo dalla premessa che la società D.T. s.r.l. non avesse mai contestato di aver effettuato le denunce di assunzioni di operai a tempo determinato di cui a singoli trimestri (con le relative specifiche quantificazioni) che erano stati richiamati nella cartella di pagamento impugnata; con altra e concorrente argomentazione, la sentenza impugnata ha dato atto che l’Inps nella memoria di costituzione in primo grado aveva < espressamente preso posizione circa la fonte del credito azionato, allegando – e contestualmente provando mediante tutta la relativa documentazione – regolarmente depositata – che la cartella esattoriale opposta concerneva contributi dovuti alla Gestione Tributi Previdenziali Datori di Lavoro Agricoli per gli anni 2001, 2002 e 2004, derivanti da denunce trimestrali (DMAG), confessoriamente presentate all’INPS dallo stesso odierno appellato per l’assunzione di manodopera agricola a tempo determinato […] Origine del credito: dichiarazioni trimestrali della manodopera agricola assunta (modelli DMAG) spontaneamente presentati a quest’ufficio a mezzo supporto cartaceo;
a completamento del proprio ragionamento, inoltre, la sentenza ha ritenuto che, secondo la comune prassi determinata dalle concrete modalità di compilazione dei moduli relativi alle richiamate denunce di assunzione, era stato – necessariamente – il datore di lavoro denunciante a riportare <non solo i dati occupazionali (giornate e numero dei lavoratori) e retributivi, ma anche i codici di individuazione delle zone tariffarie, del tipo di contratto, nonché della sua posizione assicurativa […]>;
il complesso delle ragioni addotte dalla Corte d’appello di Bari per giustificare il convincimento della sussistenza dei crediti contributivi poggia, dunque, a ben guardare sulla valutazione complessiva sia della circostanza che la società non avesse mai disconosciuto di aver presentato le dichiarazioni di assunzione citate, che delle attestazioni
degli uffici dell’Istituto che tali denunce avevano riprodotto e che, l’Inps aveva prodotto tempestivamente;
in definitiva, può affermarsi che l’avvenuta esibizione in giudizio delle originali denunce DMAG, relative ai crediti pretesi, non assume, nell’economia della motivazione, la funzione di fatto decisivo, anzi, tale affermazione non può dirsi neppure esistente come tale;
la decisione, in diritto, poggia seppure implicitamente sulla riconosciuta operatività del principio, positivamente fissato nell’art. 635 cod.proc.civ., secondo cui per i crediti derivanti da omesso versamento dei contributi previdenziali e\o assistenziali, costituiscono prove idonee ai fini della emissione del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 635, comma secondo cod. proc. civ., anche le attestazioni del direttore della sede provinciale dell’ente creditore, che possono fornire utili elementi di valutazione anche nell’eventuale, successivo giudizio di opposizione pur non essendo forniti di completa efficacia probatoria, posto che la sentenza impugnata ha ritenuto che le difese della società non fossero riuscite a scalfire il complesso delle specifiche allegazioni contenute negli attestati elaborati dall’Inps; va, infatti, ricordato che la costante giurisprudenza di questa Corte di cassazione ha elaborato una ricostruzione sistematica dello schema delle tutele processuali riconosciute attraverso il regime dell’opposizione a cartella ex art. 24 d.lgs. n. 46 del 1999, riconducendo tale opposizione allo stesso schema generale dell’opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. n. 14149 del 2012; n. 26395 del 2013);
è, invece, certamente non corretto il richiamo al valore confessorio (ex art. 2735 cod. civ.) che, nella valutazione della Corte territoriale, dovrebbe riconoscersi alla denuncia DMAG, posto che la mancata produzione in giudizio del documento esclude in radice la possibilità che il giudice possa fare applicazione di tale istituto, essendo necessario procedere ad una diretta interpretazione dell’atto ravvisando nella detta dichiarazione i requisiti della consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto; tuttavia, per quanto sopra detto, il riferimento al valore confessorio delle denunce non è decisivo e, quindi, la motivazione non soffre di vizi passibili di rilievo ai sensi dell’art. 360, primo comma n.5, cod. proc. civ. ed il dispositivo risulta conforme a diritto, dovendosi solo provvedere, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384 cod. proc. civ. alla correzione della motivazione sul punto; il ricorso va, dunque, rigettato;
non si deve provvedere sulle spese non avendo l’Istituto svolto attività difensiva;
sussistono i presupposti, stante il rigetto del ricorso, per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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