CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 269 depositata il 5 gennaio 2023
Lavoro – Riconoscimento dello status di rifugiato – Protezione sussidiaria o umanitaria – Giudizio di comparazione – Inammissibilità
Ragioni della decisione
1. Con il decreto in epigrafe indicato il Tribunale di Venezia ha respinto la domanda di S.M.S., cittadino del Senegal, avente ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato o, in via gradata, della protezione sussidiaria o umanitaria, all’esito del rigetto della stessa domanda da parte della competente Commissione Territoriale. Il ricorrente riferiva di aver lasciato il proprio Paese dopo aver subito delle ritorsioni da parte del proprio datore di lavoro che lo aveva ritenuto responsabile di un incendio scoppiato nell’officina e pretendeva il risarcimento dei danni provocati, nonostante il ricorrente non fosse in alcun modo coinvolto nell’incidente. Il Tribunale di Venezia, a seguito dell’audizione del ricorrente, ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato. In particolare, il Tribunale di Venezia ha ritenuto che le allegazioni del ricorrente non integrassero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione di cui alle lett. a) e b) del D. Lgs. n. 251/2007, alla luce della non credibilità del racconto, che era vago e contraddittorio. Inoltre, il Tribunale di Venezia ha valutato come, in base alle fonti coi consultate, la situazione in Senegal non fosse riferibile a un contesto di violenza generalizzata ai sensi dell’art. 14, lett. c) del D. Lgs. 251/2007.
Infine, il Tribunale di Venezia ha ritenuto che, in assenza di allegazioni specifiche rispetto al percorso in Italia del ricorrente o di eventuali vulnerabilità in capo allo stesso, fosse da escludere anche il riconoscimento della protezione speciale come riformata dal D. L. 130/2020.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione orale.
3. Il ricorso è stato assegnato all’adunanza in camera di consiglio non partecipata del 27 ottobre 2022 ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ.
4. I motivi di ricorso sono così rubricati: «I. Nullità del decreto impugnato ex art. 360 n. 4 c.p.c. per assenza di motivazione in relazione alla insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’art. 14 lett. c) D.Lgs. 251 del 2007;
II. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell’art. 19 co. 1.1. lett. c) D.Lgs. 286/1998». Il primo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c) del D.Lgs. 251/2007 per avere il Tribunale citato le fonti Coi utilizzate tramite collegamenti ipertestuali non funzionanti o consultabili solo a pagamento. Il secondo motivo denuncia la violazione della normativa in materia di protezione umanitaria per avere il Tribunale omesso di svolgere il giudizio di comparazione tra la situazione del ricorrente in Italia e quella a cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio in Senegal. In questo senso, lamenta la mancata valutazione della sua età (sessant’anni) in relazione al contesto socio-economico e lavorativo del Senegal.
5. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio (da ultimo Cass. 17544/2021) il giudice non deve inserire in sentenza anche un collegamento ipertestuale funzionante, poiché si tratta di informazioni, concernenti il rischio previsto dalla lettera c) dell’articolo 14 d.lgs. n. 251/2007, comunque pubblicamente accessibili tramite i comuni motori di ricerca. A ciò si aggiunga che tra le fonti indicate dal Tribunale vi sono anche quelle tipizzate (Easo; cfr. pag.7 e 8 del decreto impugnato).
6. Anche il secondo motivo è inammissibile.
La censura non solo non si confronta con il percorso argomentativo del decreto impugnato in punto di diniego della protezione umanitaria, ma introduce anche una questione nuova (rilevanza dell’età, essendo il richiedente nato nel 1962), che lo stesso ricorrente deduce di non avere allegato nel giudizio di merito come fattore di vulnerabilità.
La doglianza, per il resto, si risolve in considerazioni generiche ed astratte, senza compiuta critica alle argomentazioni del Tribunale (pag. 9 decreto), che ha affermato non provati l’integrazione o il pregiudizio psico-fisico derivante dal periodo in Libia o la presenza di legami affettivi sociali e lavorativi in Italia.
7. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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