Corte di Cassazione ordinanza n. 27166 depositata il 15 settembre 2022
le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono anche indirizzarsi sui conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente
Rilevato che:
1. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, staccata di Pescara, accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Chieti n.67/4/2011 di accoglimento del ricorso proposto da Scutti Antonio avente ad oggetto l’avviso di accertamento per IVA, IRPEF, IRAP e accessori relativi all’anno di imposta 2004.
2. Le riprese erano disposte nel quadro di un accertamento sintetico ex art.38 comma 4 del P.R. n.600 del 1973, a seguito dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2003 e di indagini bancarie ex art.32 comma 1 n.2 del d.P.R. n.600 del 1973. Il giudice d’appello dichiarava legittimo l’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, riducendo nondimeno il reddito complessivo netto ad Euro 394.288,93.
3. Avverso la decisione della CTR propone ricorso il contribuente, affidato a sei motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Considerato che:
4. Con il primo e quarto motivo, in relazione all’art. 360 primo comma 3 e 4 cod. proc. civ. si deduce la violazione degli artt. 53 e 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 e la nullità della sentenza ex artt. 112 e 346 cod. proc. civ. con riferimento all’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, per difetto di specificità di motivi, e omessa pronuncia sulle eccezioni non riproposte in appello che dovevano essere dichiarate rinunciate, in particolare in ordine alle operazioni di acquisto di certificati di deposito e alle operazioni extra conto di Euro 38.977,21, non recuperabili a tassazione nei confronti dell’amministratore.
5. Le censure sono È prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., che per agevolare la Corte nella comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione, il ricorrente ha l’onere di operare una esposizione chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018, Rv. 651398 – 01). Orbene, nel caso in esame le censure in disamina non riproducono il contenuto dell’appello proposto dall’Agenzia, né l’atto impositivo e ciò le rende non decisive.
6. Il secondo motivo – ex art. 360 primo comma nn.3 e 4 cod. proc. civ. – deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 del d.P.R. n.917 del 1986, 38 del P.R. n.600 del 1973, e la nullità della sentenza perché i versamenti eseguiti dal coniuge del ricorrente sui propri conti bancari e postali non potrebbero essere considerati come elementi presuntivi del reddito accertato sinteticamente a carico del marito. La censura è ulteriormente rielaborata nella memoria illustrativa, con ampi richiami alla giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte EDU.
7. Il motivo è infondato, in quanto per giurisprudenza consolidata della Sezione (Sez. 5 – , Sentenza n. 549 del 15/01/2020 (Rv. 656550 – 01), in tema di accertamento dell’imposta sui redditi, le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono anche indirizzarsi sui conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici, tra i quali – come nella specie – si segnalano il rapporto di stretta familiarità, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta considerato, l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone. La decisione del giudice d’appello è dunque conforme a tale consolidato – e anche da ultimo riaffermato – insegnamento giurisprudenziale, che tiene conto anche della giurisprudenza unionale.
8. Il terzo motivo – ai fini dell’art. 360 primo comma 3 e 4 cod. proc. civ. – prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 comma 1 n. 2 e 38 comma 4 del d.P.R. n.600 del 1973, 2729 cod. civ. perché i versamenti bancari non giustificati non avrebbero potuto essere accertati come ricavi presunti non dichiarati dalle società delle quali il ricorrente era amministratore e socio, non avendo costui esercitato attività professionale o commerciale nel periodo di imposta.
9. La censura è infondata. La presunzione di cui all’art. 32 comma 1 n.2 cit. non si applica esclusivamente ai redditi di impresa, né solo ai redditi percepiti da società commerciali. Al contrario, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, questa Corte (Sez. 5 – , Ordinanza n. 16913 del 11/08/2020, Rv. 658657 – 01) ha più volte statuito che nel caso di società di capitali con ristretta base partecipativa, ove sia accertata la percezione di redditi societari non contabilizzati, opera la presunzione di loro distribuzione “pro quota” ai soci. È fatta salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti dalla società, non occorrendo che l’accertamento emesso nei confronti dei soci risulti fondato anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati. Nel caso di specie è incontestato il fatto che il contri buente nel periodo di imposta fosse socio delle società E.S. S.r.l. e M. S.r.l..
10. Inoltre, la suddetta presunzione è pienamente compatibile con il ricorso ad accertamenti sintetici-induttivi mediante cd. redditometro, per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta. Infatti (Sez. 5 – , Sentenza n. 27811 del 31/10/2018, Rv. 651088 – 01), la determinazione delle imposte sui redditi delle persone fisiche effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova – inclusa quella fondata sull’art. 32 comma 1 n.2 cit. – rispetto all’esistenza dei fattori indice della capacità contributiva, sic
ché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito pre sunto non esiste o esiste in misura inferiore.
11. Con il quinto motivo in relazione all’art. 360 primo comma 3 e 4 cod. proc. civ. si deduce la violazione degli artt. 53 e 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 e la nullità della sentenza ex artt. 112 e 346 cod. proc. civ. con riferimento all’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, per difetto di specificità di motivi, e omessa pronuncia sulle eccezioni non riproposte in appello che dovevano essere dichiarate rinunciate, in particolare circa le operazioni di versamento residue eseguite dal contribuente, da escludere dal reddito.
12. Anche tale doglianza è inammissibile e per le medesime ragioni di cui al punto 5. Per il resto la censura mira ad una inammissibile revisione in fatto della valutazione di merito operata dalla CTR.
13. Con il sesto motivo, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 53, 56, 38 comma 5 del d.lgs. n. 546 del 1992, 212 (rectius 112) cod. proc. civ. con riferimento all’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, per difetto di specificità di motivi di tale atto, e omessa pronuncia sulla questione della spesa per incrementi patrimoniali, da considerarsi sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti, per cui il relativo reddito accertato doveva essere determinato nell’importo pari ad un quinto della spesa stessa, con deduzione di un’insufficienza motivazionale da parte della sentenza impugnata.
14 . Il motivo è inammissibile, sia nella parte in cui deduce l’insufficienza motivazionale nel quadro del nuovo art. 360 primo comma n.5 cod. proc. civ., applicabile alla fattispecie ratione temporis, sia, per il resto, in difetto di riproduzione dell’atto impositivo ai fini della dimostrazione della rilevanza della questione prospettata, sulla base del principio di diritto già sopra richiamato (cfr. Cass. 24340/2018) che pone l’onere a carico della parte ricorrente di dimostrare la decisività della propria prospettazione, da collocare entro il perimetro dell’atto impositivo.
15. Al rigetto del ricorso segue il regolamento delle spese di lite, liqui date come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600.00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
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