Corte di Cassazione ordinanza n. 27194 depositata il 15 settembre 2022
classamento di immobili – area adibita a cava estrattiva suscettibile di edificazione
RITENUTO CHE:
1. con sentenza n. 1313/7/18, depositata il 19 novembre 2018, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 1061/4/16 della Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto ad iscrivere al catasto fabbricati, categoria D/1, quale opificio industriale, con attribuzione di una rendita pari ad € 800,00, una intera area adibita a cava, già iscritta a catasto terreni senza attribuzione di rendita, a rettifica di una procedura DOCFA con la quale la società contribuente aveva proposto la medesima categoria D/1 ma limitatamente ad una particella su cui insistevano alcuni nuovi fabbricati destinati all’attività estrattiva;
3. la CTP aveva accolto il ricorso ritenendo che la cava non potesse essere iscritta al catasto fabbricati, ai sensi dell’art. 18 del r.d. n. 1572 del 1931;
4. la CTR aveva confermato la decisione di’ primo grado, evidenziando altresì che sul regime fiscale del terreno non poteva incidere la presenza di fabbricati strumentali all’attività estrattiva in qaunto privi di autonomia funzionale e reddituale;
5. avverso la sentenza di appello, l’Agenzi21 delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC il 10 gennaio 2019, affidato ad un unico motivo, a cui la contribuente resisteva con controricorso, depositando, altresì, memoria ex 380 bis-1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE:
1. con un unico motivo l’Agenzia ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione degli 18 del r.. d. n. 1572 del 1931, 4,6 e 10 del r.d.l. n. 652 del 1939, 13 del d.l. n. 201 del 2011, 1,2 e 5 del d.lgs. n. 504 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver escluso che un’area adibita a cava potesse essere stimata ai fini del catasto fabbricati, in quanto un terreno agricolo, se destinato ad attività estrattiva, perde tale qualità divenendo per l’intero un’unità immobiliare munita di autonomia funzionale e reddituale, derivando poi l’attribuzione della categoria D/1 dal fatto che il materiale escavato era destinato ad essere utilizzato nell’edilizia.
OSSERVA CHE:
1. L’unico motivo di ricorso risulta ondato.
1.1 Questione controversa nel presente giudizio è esclusivamente la iscrivibilità delle cave nel catasto urbano, anziché nel catasto terreni, nonché la portata applicativa del l’art. 18 del r.d. 1572 del 1931.
In continuità con quanto già affermato da questa Corte va ribadito che “In tema di classamento di immobili, il terreno destinato ad attività estrattiva o adibito a cava costituisce un’unità immobiliare urbana soggetta ad accatastamento, in quanto immobile connotato da autonoma funzionalità e redditività” (Sez. 5, n. 1404 del 18/01/2022, Rv. 663655 – 01).
Sul punto si è anche ulteriormente precisato che “In tema di determinazione della rendita catastale di area adibita a cava estrattiva suscettibile di edificazione secondo lo strumento urbanistico vigente, non assume rilevanza l’originaria qualificazione agricola del bene, desumibile dalle risultanze dell’iscrizione in catasto, dovendosi avere riguardo alla potenzialità edificatoria del bene, sicché la base imponibile va determinata sulla base del valore venale.” (Sez. 5, n. 1026 del 14/01/2022, Rv. 663613 – 01).
2. Sul piano normativo rileva, innanzitutto, l’art. 1 del d. n. 1572 del 1931, recante la «Approvazione del testo unico delle leggi sul nuovo catasto»; tale norma dispone che «Sarè provveduto, a cura dello Stato, in tutto il Regno, alla formazione di un catasto geometrico particellare uniforme fondato sulla misura e sulla stima, allo scopo: 1) di accertare le proprietà immobili, e tenerne in evidenza le mutazioni; 2) di perequare l’imposta fondiaria»
Ai sensi dell’art. 11 «La stima d1ei terreni ha per oggetto di stabilire la rendita imponibile, sulla quale è fatta la ripartizione dell’imposta, mediante la formazione c:li tariffe di estimo, nelle quali è determinata, comune per comune, la rendita stessa per ogni qualità e classe», mentre l’art. 13 stabilisce che «La tariffa esprime, in moneta legale, la rendita imponibile di un ettaro per ciascuna qualità e classe. La rendita imponibile è quella parte del prodotto totale del fondo che rimane al proprietario, netta dalle spese e perdite eventuali».
Con specifico riferimento ai terreni adibiti a cave, l’art. 18 dispone che «Saranno escluse dalla stima fondiaria le miniere, le cave, le torbiere, le saline ed i laghi e stagni da pesca, con la superficie stabilmente occupata per la relativa industria, e le tonnare».
Tale disposizione, tuttavia, non esclude che le cave siano iscritte in catasto, ma dispone soltanto che esse saranno escluse dalla sola operazione di stima fondiaria, con la conseguenza che i terreni adibiti a cava devono comunque essere iscritti al catasto al fine di essere identificati per rilevare l’estensione delle singole proprietà e delle diverse particelle catastali e per essere ivi graficamente rappresentati con mappe planimetriche.
I redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne sono qualificati dall’ordinamento come redditi d’impresa (art. 55, lett. b, d.lgs. n. 344 del 2002) la cui tassazione avviene sulla base del reddito effettivamente prodotto, e non sull’attitudine del bene a produrre reddito, con esclusione, quindi, della rilevanza degli estimi catastali.
3. Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate con l’atto impugnato ha provveduto, ai sensi dell’art. 1, comma 336, della I. n. 311 del 2004, al classamento non solo dei fabbricati presenti nell’area adibita a cava ma dell’intero terreno su cui insisteva la cava della società contribuente, iscrivendolo al catasto urbano in categoria D/1 (opifici industriali).
Con riferimento ai presupposti per l’inventariazione nel catasto urbano, l’art. 3 del r.d.l. n. 652 del 1939, conv. dalla I. n. 1249 del 1939, concernente l’accertamento generale dei fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione de:I nuovo catasto edilizio urbano, stabilisce che l’accertamento general!e degli immobili urbani è fatto per «unità immobiliare».
Ai sensi dell’art. 4, si considerano come «immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite, diversi dai fabbricati rurali», ivi compresi «gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo».
L’art. 5 prevede che costituisce “unità immobiliare urbana” «ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per sé stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio».
Il d.m. 2 gennaio 1998, n. 28, (“Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto clei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale”), stabilisce al comma 1 che «Il catasto dei fabbricati rappresenta l’inventario del patrimonio edilizio nazionale» e al comma 2 che «Il minimo modulo inventariale è l’unità immobiliare».
A mente dell’art. 2, l’unità immobiliare «è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale».
Sulla base di tali disposizioni questa Corte ha affermato che l’accatastamento viene dalla normativa riferito non al fabbricato in quanto tale, bensì alla nozione di uniti! immobiliare urbana (UIU), a sua volta rapportata ad una componente immobiliare (rilevante ex art. 812 e.e.) suscettibile di autonoma funzionalità e redditività (Sez. 5, n. 12741 del 23/05/2018, Rv. 648470 – 01).
Tali caratteristiche sono state valorizzate dalla giurisprudenza di legittimità proprio ai fini dell’accertamento dei presupposti di accatastabilità anche con specifico riguardo agli immobili aventi destinazione industriale o di produzione energetica (per le discariche pubbliche vedi Cass. n. 12741/2018; per le centrali elettriche v. Cass. 2621/15; 3500/15, per i parchi eolici v. Cass. 4028/12; 24815/14; 3354/15; per le centrali telefoniche v. Cass. 24924/16; per le piattaforme petrolifere v. Cass. 3618/16), sicché l’accatastabilità di tali unità immobiliari è sempre stata riconosciuta, né vi sono ragioni per escluderla con riferimento alle cave, trattandosi di immobili suscettibili di autonoma funzionalità e redditività.
Ciò premesso, l’intera area classificata come D/1, ancorché concretamente destinata unicamente a cava e ad attività estrattiva, perciò solo non è più qualificabile come agricola, in quanto avente potenzialità edificatoria sia pure limitata alla sola realizzazione di fabbricati strumentali (Sez. 5 n. 31079 del 28/11/2019).
4. Circa poi la quantificazione c:lella rendita catastale a fini impositivi per tali aree, la Corte costituzionale, con ordinanza 285 del 2000, in materia di imposta di re9istro – e, specificamente, del criterio di valutazione automatica ai fini della determinazione della base imponibile – ha affermato che «l’art. 18 del r. d. n. 1572 del 1931 esclude le cave dalla stima fondiaria per la determinazione del reddito dominicale, sicché il reddito del terreno formalmente risultante in catasto di natura agricola non è espressivo dell’effettiva ricchezza derivante dalla sua pacifica destinazione e dallo sfruttamento del medesimo a finalità estrattiva, essendo riconducibile l’utilizzazione a cava ad una attività di carattere esclusivamente industriale».
Ancora in materia di imposta di registro, e con riguardo al sistema di valutazione automatica fondata sulla rendita catastale (art. 52, comma 4, d.P.R. n. 131 del 1986), questa Corte ha già rilevato che, nel caso di terreni sfruttati come cave, «la valutazione di cui si tratta deve essere operata con il metodo deI valore venale di cui al citato art. 52, n. 1 avuto riguardo alla circostanza che il R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572, art. 18 esclude le cave dalla stima fondiaria, e che la eventuale indebita iscrizione delle aree nel catasto terreni non può valere a ravvisare nella rendita fondiaria erroneamente risultante da tale iscrizione l’idoneità ad esprimere la potenzialità reddituale derivante dallo sfruttamento 1jei terreni stessi per una finalità estrattiva di natur21 esclusivamente industriale» (Vedi Cass., 5 marzo 2020, n. 6207;; Cass., 6 dicembre 2018, n. 31604; Cass., 18 settembre 2013, n. 21277; Cass., 29 luglio 2009, n. 17571; Cass., 30 agosto 2006, n. 18755; Cass., 23 novembre 2005, n. 24568)
Si è inoltre precisato con riguardo all’imposta di registro e INVIM, nonché all’IMU, come «la qualificazione agricola (con relativa attribuzione di rendita), non più attuale, di un terreno destinato ad attività industriale estrattiva renda possibile la rettifica del valore dello stesso secondo il valore venale, non coincidendo necessariamente l’attribuzione di rendita con la stima fondiaria, perché un tale errato presupposto interpretativo non tiene conto (come ha precisato la Corte costituzionale con sentenza n. 285 del 2000) del fatto che il R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572, art. 18 esclude comunque le cave dalla stima fondiaria per la determinazione del reddito dominicale, sicché, in tali casi, le risultanze catastali non corrispondono all’effettiva e giuridica destinazione del terreno, benché non sia stata denunciata al catasto la variazione» (Cass., sez. 5, n. 24568 del 23/11/2005; sez. 5, n. 3978 del 16/02/2021, in motivazione).
Questa Corte ha altresì affermato che ove l’area sia adibita ad attività estrattiva secondo il regolamento urbanistico e sia suscettibile, in conformità allo stesso, di edificazione, ancorché limitata alla realizzazione di fabbricati strumentali, la base imponibile deve essere determinata avendo riguardo al valore venale (Cass. n. 14409/2017; conf. Sez. 5, Sentenza n. 31079 del 28/11/2019), sicché ciò che ha rilevanza non è che il bene sia stato, in concreto, destinato a cava e ad attività di estrazione, ma la potenzialità edificatoria del terreno; né tanto meno può rilevare che la destinazione a cava sia temporanea e destinata ad esaurirsi allo scadere dell’autorizzazione.
5. Non sussistendo ragioni per discostarsi da tale indirizzo, che esclude che i terreni urbanisticamente destinati allo svolgimento di attività industriale, quale quella estrattiva, possano considerarsi agricoli, non può sussistere alcun dubbio che, non solo i fabbricati che vi insistono, già oggetto di procedura DOCFA, ma l’intero terreno di proprietà della società contribuente con destinazione estrattiva debba essere iscritto nel catasto fabbricati, e non in quello terreni, ed ivi classificato in categoria D/1.
6. Per le suesposte considerazioni, rilevato che la CTR non ha fatto corretta applicazione dei principi innanzi indicati, ritenuto fondato l’unico motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata e, in applicazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso originario della contribuente.
7. In considerazione dell’esito finale della lite, tenuto conto che le questioni giuridiche oggetto di causa hanno trovato soluzione alla luce di interventi legislativi e giurisprudenziali complessi, va disposta la compensazione delle spese processuali del giudizio di merito, con condanna della controricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il ricorso, cassa la sentenza e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente;
condanna la controricorrente a pa9are all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di € 2,700,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito; compensa le spese del giudizio cli merito.
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