CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 27260 depositata il 25 settembre 2023
Tributi – Imposta unica sulla raccolta delle scommesse a quota fissa – Mancato pagamento – Rigetto
Rilevato
che l’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI notificò a P.M., nella qualità di titolare della D.I.F.B. DI M.P., due avvisi di accertamento con cui l’Ufficio ha provveduto a riprese nei confronti della contribuente, quale centro di trasmissione dati, in Italia, per conto del bookmaker C. LTD, società di diritto maltese, relativamente agli anni di imposta (…), conseguenti al mancato pagamento, da parte della contribuente, dell’imposta unica sulla raccolta delle scommesse a quota fissa;
che la contribuente impugnò separatamente detti provvedimenti innanzi alla C.T.P. di Padova che, previa riunione dei ricorsi, nonché degli ulteriori ricorsi proposti dalla C. LTD (destinataria, per i medesimi anni di imposta, di due ulteriori avvisi di accertamento, quale coobligata in solido con la F.), con sentenza n. 501/2018, rigettò i ricorsi;
che la sola P.M., nella qualità, propose quindi appello innanzi alla C.T.R. del Veneto, la quale, con sentenza n. 1386/2019, depositata il 16/12/2019 rigettò il gravame osservando – per quanto in questa sede ancora rileva – come, (a) per effetto dei ripetuti interventi della C.G.U.E. nonché della Corte costituzionale, correttamente l’Ufficio ha ritenuto la contribuente soggetto passivo del tributo in questione “anche solo per il fatto di gestire gli apparati informatici necessari alla trasmissione delle scommesse” (cfr. motivazione della sentenza impugnata, p. 4, ult. cpv.), risultando (b) gli atti impositivi impugnati correttamente motivati né (c) sussistendo alcuna incertezza normativa sull’applicazione della norma (considerati gli anni di imposta oggetto di ripresa rispetto alla data di promulgazione della normativa di riferimento), con conseguente legittimità, altresì, delle sanzioni applicate;
che avverso tale decisione P.M., nella qualità, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi, illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.; si è costituita con controricorso l’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI.
Rilevato
in via del tutto preliminare, che, a dispetto dell’avvenuta riunione dei giudizi separatamente proposti, in prime cure, dal centro di raccolta dati (odierna ricorrente) e dal bookmaker estero e pur essendosi conseguentemente determinata l’insorgenza, tra le dette parti, di un’ipotesi di litisconsorzio processuale facoltativo (Cass., 11.10.1978, n. 4532, Rv. 394203-01), per effetto della natura solidale del vincolo che lega l’una all’altra, il giudizio di appello si è svolto unicamente tra la P. e l’AGENZIA DELLE DOGANE, senza che (a) ad esso abbia partecipato la C. LTD (circostanza evincibile, oltre che dalla intestazione della sentenza impugnata, anche dalla motivazione di quella, laddove la C.T.R. evidenzia – cfr. p. 3 della motivazione, sub 6- che contro la pronunzia della C.T.P. “ha proposto appello la sola P.”) e (b) la C.T.R. ne abbia disposto il coinvolgimento in sede di gravame ex art. 332 c.p.c. – correlativamente, peraltro, all’odierno giudizio di legittimità prendono parte unicamente la P. e la AGENZIA, non risultando che il ricorso introduttivo sia stato notificato alla C.;
che, nonostante tale omissione, tuttavia, ben può questa Corte pronunziarsi sul merito dell’odierno ricorso (arg. Da Cass., sez. 5, 21/03/2007, n. 6731, Rv. 596894-01), senza peraltro ordinare la notifica dello stesso nei confronti della parte pretermessa (già) in grado di appello, ex art. 332 c.p.c., essendo ampiamente decorsi i termini per la impugnazione, da parte della C., della decisione della C.T.R. impugnata in questa sede (depositata, ai fini del decorso del termine ex art. 327 c.p.c., il 16.12.2019).
Rilevato che con il primo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) della “violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della l. n. 220 del 2010, art. 1 comma 66, lett. b) in sé e nel combinato disposto con la l. n. 190 del 2014, art. 1 comma 644, lett. g, e il D.L. n. 98 del 2011 ovvero questione di legittimità costituzionale dei predetti articoli per contrasto con gli art. 3 e 53 Cost. ” (cfr. ricorso, p. 6), per avere la C.T.R. erroneamente interpretato la normativa innanzi indicata e, conseguentemente, altrettanto erroneamente ritenuto essa contribuente – quale centro di trasmissione dati – soggetto passivo dell’imposta unica sulla raccolta delle scommesse, benché “il contratto di scommessa era concluso tra il bookmaker e lo scommettitore senza alcuna intermediazione o incidenza da parte del CTD, ed alle condizioni tra loro esclusivamente pattuite, ciò comportando che la Sig.ra P. non ha partecipato a nessuna delle fasi giuridiche ed economiche della scommessa – Il CTD riceveva la posta (cfr corrispettivo della scommessa) che trasmetteva (e doveva trasmettere) integralmente al bookmaker; – Il bookmaker pagava le vincite con provviste proprie e percepiva il differenziale (positivo o negativo) tra il corrispettivo delle scommesse complessivamente raccolte e le vincite che doveva coprire; il CTD, al contrario, percepiva le provvigioni contrattualmente pattuite con l’allibratore comunitario in base alla quantità delle scommesse raccolte” (cfr. ivi, p. 7) e, dunque, in ultima analisi “i CTD si trovano in una posizione di sudditanza rispetto al bookmaker di riferimento, ciò per l’assenza di qualsiasi potere contrattuale il capo al CTD”. Solleva, altresì, questione di legittimità costituzionale delle disposizioni richiamate in epigrafe per contrasto con gli artt. 53 e 3 Cost.;
che con il secondo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la “violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e l. n. 220 del 2010, art. 1 comma 66, in sé e nel combinato disposto con la l. n. 190 del 2014, art. 1 comma 644, lett. g, e del D.L. n. 98 del 2011, art. 24, comma 10, – ovvero pregiudiziale comunitaria per contrasto con gli artt. 49 e 56 e 57 TFUE (già art. 43 e 49 del Trattato CE)” (cfr. ricorso, p. 18), lamentando l’omessa disapplicazione, da parte della C.T.R., della normativa in commento la quale – si opina – determinerebbe – anche sub specie di modalità di calcolo della imposta unica (cfr. ricorso, p. 21) – la lesione dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, “colpendo in modo irrazionale e non proporzionale i CTD, mira(ndo) indirettamente a inibire agli operatori comunitari la loro libertà di stabilimento e la loro libera prestazione di servizi” (cfr. ricorso, p. 20, terzo cpv.);
che i motivi – sottendendo identità di questioni – sono suscettibili di trattazione congiunta;
che va anzitutto rilevata la novità (con conseguente sua inammissibilità) della questione sollevata con il secondo motivo (ulteriormente illustrata con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.): ed infatti, nel silenzio della gravata decisione sul punto, parte ricorrente avrebbe dovuto indicare se, come e quando la specifica censura concernente la lesione della libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, derivante dalla modalità di calcolo dell’imposta unica, fu proposta nei precedenti gradi di giudizio, correttamente e compiutamente localizzandola. Costituisce, infatti, principio consolidato quello per cui in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum dei precedenti gradi di giudizio, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. sez. 2, 9/08/2018, n. 20694, Rv. 650009-01); tanto più considerando che si tratta di circostanze già evidenziabili al momento della proposizione dell’originario ricorso, siccome connesse a normativa all’epoca già in vigore;
che la questione, peraltro, non potrebbe (astrattamente) trovare ingresso neppure per effetto della sollevata richiesta di disapplicazione del diritto interno per contrasto con il diritto unionale, ovvero, in subordine, per effetto dell’istanza di rinvio pregiudiziale alla C.G.U.E. formulata rispetto alla questione (ulteriormente articolata nella memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.) per cui, da un lato, l’art. 56 del T.F.U.E. osterebbe ad una normativa nazionale – quale la l. n. 190 del 2014, art. 1 comma 644, lett. g), – che prevede la maggiorazione dell’imposta sulle scommesse, sulla base di un imponibile forfettario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato il punto di raccolta situato in uno Stato membro, per i C.T.D. che agiscono per conto di operatori di scommesse stabiliti in un altro Stato membro che non sono titolari di una concessione, nonché per gli stessi operatori di scommesse, e, dall’altro, per il differente contegno impositivo, a seconda che le scommesse confluiscano o meno (come nel caso di specie) nel totalizzatore nazionale – argomentazioni difensive che, in tesi, consentirebbero a questa Corte di pronunziarsi (anche) d’ufficio sul punto (arg. da Cass., sez. 5, 30/04/2004, n. 8319, Rv. 572481-01);
che, quanto alle modalità di calcolo dell’imposta unica, dall’esame dei lavori preparatori ben si coglie la ratio dell’intervento normativo in esame: “La logica della forfetizzazione della base imponibile è particolarmente adatta a situazioni del genere, tenuto conto della difficoltà di omogeneizzare le situazioni passive del rapporto tributario con quelle dei concessionari di Stato, considerato anche il fatto che il paniere di offerta di un operatore della rete parallela è estremamente più ampio e variegato, giacché sganciato da regole cogenti predeterminate. Inoltre, il mancato collegamento al totalizzatore nazionale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli…che consente di registrare, memorizzare e conservare tutte le singole giocate, comporta che la raccolta totale realizzata da questi soggetti non può in alcun modo essere ricostruita, anche perché essi fanno capo a soggetti che dichiarano di essere stabiliti all’estero, dove affluiscono le giocate effettuate. Pur sempre, però, la base imponibile resta ancorata alla raccolta di gioco, come in particolare previsto dal d.lgs. n. 504 del 1998, art. 2 relativamente alla raccolta di scommesse, che certamente costituisce la tipologia di gioco predominante tra quelle offerte dalla rete parallela innanzi detta. In particolare: – la media della raccolta provinciale già costituisce elemento di riferimento ai fini dell’accertamento (ai sensi del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, art. 24 comma 10, convertito dalla l. 15 luglio 2011, n. 111); – ai fini della determinazione della base imponibile forfetaria, appare ragionevole prevederne un aumento in considerazione di quanto segue: – la raccolta degli operatori non autorizzati si avvale di una posizione di ampio favore rispetto agli operatori della rete legale, garantitagli dal mancato sostenimento degli oneri concessori e dal mancato assoggettamento ai relativi vincoli (dunque, potendo offrire quote molto più allettanti e così accaparrandosi maggiori quote di mercato); – la media presa a riferimento non comprende gli eventi ippici, mentre è da ritenere con sufficiente certezza che gli operatori non autorizzati (soprattutto se collegati a bookmakers esteri, come è nella realtà attuale) offrano anche, in misura consistente, scommesse su eventi ippici nazionali e stranieri; – la stessa media non tiene inoltre conto dell’ampia gamma di scommesse su eventi diversi da quelli approvati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (il c.d. “palinsesto ufficiale”, compreso quello c.d. “complementare”), eventi che notoriamente costituiscono una parte rilevante del business degli operatori non autorizzati; – la media non tiene altresì conto del gioco on line, considerato che gli operatori fisici della rete legale non possono offrire gioco a distanza…tutti gli elementi anzidetti ben giustificano il rialzo rispetto alla “media” pari al triplo di questa. I soggetti in esame, infatti, già si attestano, verosimilmente, intorno ai valori massimi (se non superiori) di quella degli operatori della rete legale, data la posizione di ampio favore garantitagli dal mancato sostenimento degli oneri concessori e dal mancato assoggettamento ai relativi vincoli (dunque assai più in alto della media, potendo offrire quote più allettanti e così accaparrandosi maggiori quote di mercato). Inoltre, la possibilità di offrire molteplici prodotti, vietati agli operatori regolari, sia in termini di “palinsesto”, sia in termini di giochi (on line, ippica, ecc.), conducono a ritenere ragionevole prevedere la base imponibile forfetaria pari al triplo della media provinciale. Per quanto riguarda l’aliquota applicabile, il d.lgs. n. 504 del 1998, art. 3 prevede aliquote molto diversificate a seconda della tipologia di evento (26,80 per cento per i concorsi pronostici, 22,50 per cento per la scommessa tris, 15,70 per cento per ogni scommessa ippica, un ventaglio di aliquote che va dal 2 all’8 per cento per le scommesse sportive). La disposizione assume applicabile la massima aliquota prevista per le scommesse sportive (8 per cento), posto che la mancanza di collegamento di questi operatori al totalizzatore nazionale non consente di verificare le tipologie di eventi oggetto di scommessa”;
che sulla base di tali rilievi ed osservato che questa Corte ha già chiarito che, alla luce della giurisprudenza della C.G.U.E., la situazione di un centro di trasmissione dati che raccoglie scommesse per conto di una società che ha sede in un altro Stato membro non è analoga a quella degli operatori nazionali (cfr. Cass. 14/04/2021, n. 9730), osserva altresì il Collegio come tanto la invocata disapplicazione del diritto interno quanto, in subordine, il chiesto rinvio pregiudiziale non appaiano meritevoli di seguito, considerando che la richiamata normativa mira, all’evidenza, non già a limitare la libertà di stabilimento o di prestazione di servizi quanto, al contrario, proprio a ristabilire un principio di parità di condizioni tra i concessionari della rete statale e gli operatori che comunque operano in Italia, benché privi di concessione statale;
che, quanto al primo motivo, invece, questa Corte, con la recente ordinanza del 30.3.2021, n. 8757 (seguita da numerose altre: cfr., tra le tante, Cass. 8907-8911/2021, 9079-9081/2021, 9144-9153/2021, 9160/2021, 9162/2021, 9168/2021, 9176/2021, 9178/2021, 9182/2021, 9184/2021, 9160/2021, 9516/2021, 9528-9537/2021, 9728-9735/2021; 10277/2022 e, a seguire, molte altre ancora), da intendersi richiamata in questa sede, quale specifico precedente conforme, ex art. 118 disp. att. c.p.c. e la cui ampia motivazione (anche in relazione alle ragioni sottese al rigetto tanto delle questioni di legittimità costituzionale riproposte in queste sede, quanto dei chiesti rinvii pregiudiziali alla C.G.U.E.) è condivisa dal Collegio, all’esito di una compiuta ed analitica ricostruzione del sistema dell’imposta unica, fondata anche sui recenti interventi della Corte Costituzionale (sentenza 23.1.018, n. 27) e della C.G.U.E. (sentenza 26 febbraio 2020, in causa C-788/18), ha chiarito, ai fini che in questa sede rilevano, che: a) in tema di imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, è soggetto passivo anche il titolare della ricevitoria operante per conto di bookmakers esteri privi di concessione poiché, pur non partecipando direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque attività gestoria che costituisce il presupposto impositivo, assicurando la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, e occupandosi della trasmissione all’allibratore dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate nonché, secondo le procedure e istruzioni fornite dallo stesso, del pagamento delle vincite (Rv. 660937-01); b) l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è applicabile a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte nel territorio italiano, a prescindere dal luogo in cui sono stabiliti sicché, dovendosi escludere qualsivoglia restrizione discriminatoria tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, nonché un pregiudizio alla libertà di prestazione di servizi, il centro di trasmissione che invii i dati di gioco per conto di allibratore privo di concessione avente sede in altro Stato membro, operando quale suo intermediario allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali “concessionati”, è soggetto passivo d’imposta a norma della l. n. 220 del 2010, art. 1 comma 66, lett. b), godendo altrimenti di un’irragionevole esenzione – contrastante col principio di lealtà fiscale – per il solo fatto di porsi al di fuori del sistema concessorio, funzionale a prevenire infiltrazioni criminali nel settore del gioco (CGUE 26 febbraio 2020, causa 788-18, punti 18 e 21) (Rv. 660937-02); c) in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della l. n. 220 del 2010, art. 1 comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore (cfr. il p. 10 della motivazione); d) la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del d.lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della l. n. 220 del 2010, art. 1 comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie (dunque, non il bookmaker estero) operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 cit. (cfr. il p. 9.1 della motivazione); e) l’imposta di cui si discute non ha natura armonizzata, sicché i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti (non già i consumi quanto, al contrario) la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 del TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, punto 17) (cfr. il p. 11 della motivazione);
che correttamente, dunque, la C.T.R. ha affermato la responsabilità della odierna ricorrente, quale centro di trasmissione dati per conto del bookmaker estero;
che con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente si duole – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – della “violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 – 2 – 3 – 4 della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, – ovvero pregiudiziale comunitaria per contrasto con l’art. 401 della direttiva iva (cfr. Direttiva 2006/112/CE)” – cfr. ricorso, p. 23 – per non avere la C.T.R. disapplicato la normativa in questione, a cagione della dedotta sovrapposizione tra il tributo in questione e l’I.V.A., invocando, in subordine, un ulteriore rinvio pregiudiziale alla C.G.U.E., su tale profilo specifico;
che con il quarto motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) la “nullità della sentenza ex art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4 ed art. 118 disp. att. c.p.c. ” (cfr. ricorso, p. 26), per avere la C.T.R. omesso di motivare in relazione alla eccepita lesione dell’art. 401 della Direttiva I.V.A.;
che i motivi – suscettibili di trattazione congiunta, per identità delle questioni agli stessi sottese – sono infondati;
che premesso che il quarto motivo presenta profili di inammissibilità, per essere cumulati in esso i vizi – comunque non più deducibili innanzi alla Corte – di motivazione omessa (cfr. epigrafe del motivo) e carente (“il motivo in esame…e’ volto a sanzionare la sentenza impugnata per l’assoluta carenza di motivazione sull’eccepita lesione dell’art. 401 direttiva IVA” – cfr. ricorso, p. 26) – arg. da Cass. sez. 1, 12/11/2008, n. 27009, Rv. 605272-01 – senza che sia possibile riqualificare univocamente la censura, osserva in ogni caso il Collegio che, come d’altronde già recentemente chiarito da questa Corte (cfr. Cass., sez. 5, 21/09/2021, n. 25450, Rv. 662232-01; Cass. sez. 5, 14/07/2021, n. 20013, non massimata), la questione è comunque infondata nel merito, posto che il tributo che qui rileva è differente da una imposta sulla cifra di affari per plurime ragioni: riguarda unicamente operazioni relative all’esercizio delle scommesse, irrilevanti a fini IVA; non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione I.V.A. e applicandosi il tributo all’importo scommesso; è calcolato senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa. Effetto del tutto risolutivo e dirimente peraltro ha, sul punto, il chiaro dictum del Giudice unionale (CGUE, sent. n. 24 ottobre 2013 in causa n. C- 440/2012, Metropol Spielstatten Unternehmergesellschaft(haftungsbeschrankt) secondo il quale “in forza dell’art. 401 della direttiva IVA “le disposizioni di (tale) direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte (…) sui giochi e sulle scommesse, (…) e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari (…)”. La formulazione di tale articolo non osta, pertanto, a che gli Stati membri assoggettino un’operazione all’IVA, nonché, in modo cumulativo, a un tributo speciale non avente il carattere d’imposta sul volume d’affari (v., in tal senso, la sentenza dell’8 luglio 1986, K., 73/85, Racc. pag. 2219, punto 22)”. Secondo siffatta pronuncia, quindi, l’art. 401 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con l’art. 135, paragrafo 1, lett. i) della stessa, deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e un tributo speciale nazionale sui giochi d’azzardo possono essere riscossi in modo cumulativo, a condizione che siffatto ultimo tributo non abbia il carattere di un’imposta sul volume d’affari; inoltre, sempre secondo tale sentenza, l’art. 1, paragrafo 2, prima frase, e l’art. 73 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una disposizione o a una prassi nazionale secondo cui, per la gestione di apparecchi per giochi d’azzardo con possibilità di vincita, l’importo dei proventi di cassa di tali apparecchi dopo che è trascorso un determinato periodo di tempo viene considerato come base imponibile (le suesposte considerazioni consentono, altresì, di disattendere, all’evidenza, la richiesta di rinvio pregiudiziale pure avanzata, in proposito, dalla ricorrente);
che con il sesto motivo – da esaminare in via prioritaria rispetto al quinto – parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) la “nullità della sentenza ex art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4 ed art. 118 disp. att. c.p.c.” (cfr. ricorso, p. 28), per “omessa motivazione sulla non accolta eccepita lesione delle disposizioni sancite dall’art. 113 TFUE e dalla Direttiva IVA in tema di principio di neutralità fiscale”;
che il motivo è inammissibile sotto molteplici profili;
che (a) non solo parte ricorrente non ha localizzato (analogamente a quanto già osservato in relazione al secondo ed al quarto motivo, cfr. supra), nel silenzio della gravata decisione sul punto, se, come e quando la questione della violazione della Direttiva I.V.A. fu posta nei precedenti gradi di giudizio, ma (b) la stessa ha cumulato in un’unica censura i vizi – comunque non più deducibili innanzi alla Corte – di motivazione omessa (cfr. epigrafe del motivo) e carente (“il motivo in esame…e’ volto a sanzionare la sentenza impugnata per l’assoluta carenza di motivazione sulle corrispondenti lesioni di ordine comunitario” – cfr. ricorso, p. 28) – arg. da Cass. sez. 1, 12/11/2008, n. 27009, Rv. 605272-01 – senza che sia possibile riqualificare univocamente la censura, non essendo chiaro, per effetto del rilievo che precede in ordine al difetto di specificità della censura, se la C.T.R. abbia effettivamente omesso, o meno, di pronunziarsi sulla doglianza in esame;
che aggiungasi, altresì, che appare evidente ictu oculi come la ricorrente non abbia, peraltro, già in astratto interesse alla prospettazione della questione, riguardando essa doglianze – in virtù delle stesse considerazioni trascritte in ricorso alle pp. 26 e 28, a proposito del connesso quinto motivo (“l’imposta unica sulle scommesse, per come essa è stata introdotta ed interpretata, in sé e nel combinato disposto con il regime di esenzione iva di cui al d.p.r. n. 633 del 1972, viol(i) i superiori dettami comunitari in materia di iva e il correlativo principio di neutralità fiscale ivi sempre affermato in ambito comunitario”, compromettendo “illegittimamente la neutralità dell’Iva in capo ai bookmakers, ponendosi in contrasto con le sopra richiamate norme comunitarie ciò anche prescindere dalla natura del tributo in oggetto quale imposta sulla cifra d’affari”) – che concernono il bookmaker e non già il centro di trasmissione dati (quale pacificamente e’, invece, la ditta della P.);
che quanto precede determina l’assorbimento del quinto motivo (con cui parte ricorrente lamenta – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la “violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 – 2 – 3 – 4 della L. n. 220 del 2010, art. 1 comma 66, nel combinato disposto con il d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10 e 19 – ovvero pregiudiziale comunitaria per contrasto con gli art. 135 par 1 lett i, della direttiva iva (cfr direttiva 2006/112/ce) nonché con l’art. 113 del TFUE pagg 2628”. Cfr. ricorso, p. 26);
che con il settimo motivo la difesa della P. si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) della “violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 472 del 1997, art. 5 e 6, comma 2 in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 5, comma 1 ” (cfr. ricorso, p. 29), per avere la C.T.R. erroneamente confermato la legittimità delle sanzioni applicate ad essa contribuente, nonostante l’obiettiva incertezza normativa esistente, almeno fino alla pronunzia n. 27/2018 della Corte Costituzionale, sulla disciplina applicabile ai centri di trasmissione dati;
che il motivo è infondato;
che in tema di sanzioni amministrative, fino alla data di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, – la quale ha interpretato il d.lgs. n. 504 del 1998, art. 3 prevedendo che soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse è anche chi svolge l’attività di gestione delle stesse pur se privo di concessione – effettivamente esisteva una condizione di obiettiva incertezza normativa, rilevante ai sensi del d.lgs. n. 472 del 1997, art. 6 comma 2. Sennonché osserva il Collegio come, nella specie, si controverta di riprese relative ad operazioni di giuoco risalenti al (…) e, cioè, ad un periodo successivo a quello di promulgazione della L. n. 220, che ha sciolto ogni incertezza sul punto: sicché correttamente la C.T.R. ha escluso l’operatività dell’esimente in commento (cfr. anche Cass., sez. 5, 4/11/2021, n. 31678, non massimata);
che con l’ottavo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la “violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 504 del 1998, art. 5 comma 1 per contrasto con l’art. 6 della convenzione Europea dei diritti dell’Uomo , l’art. 4, protocollo 7 della convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e con il principio di proporzionalità elaborato dalla giurisprudenza comunitaria e previsto dall’art. 49 CEDU” (cfr. ricorso, p. 29);
che il motivo è inammissibile;
che nel silenzio della gravata decisione sul punto (occupandosi essa del solo profilo relativo alla insussistenza di un’incertezza normativa obiettiva) parte ricorrente avrebbe dovuto indicare se, come e quando le censure sviluppate con il motivo in esame furono proposte nei precedenti gradi di giudizio, correttamente e compiutamente localizzandole (arg. da Cass., sez. 2, 9/08/2018, n. 20694, Rv. 650009-01, cit.).
Ritenuto, in conclusione, che il ricorso debba essere rigettato, con la condanna di P.M., nella qualità di titolare della D.I.F.B. D.M. P. al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p.t., delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Per l’effetto, condanna P.M., nella qualità di titolare della D.I.F.B. DI M.P. al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p.t., delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 5.600,00 per compenso professionale, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di P.M., nella qualità di titolare della D.I.F.B. DI M.P., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto
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