Corte di Cassazione, ordinanza n. 27261 depositata il 25 settembre 2023
tributi locali – IMU/ICI – termini di decadenza – possibile emettere nuovo atto impositivo
RILEVATO CHE
A. S.p.A., quale società incorporante G.R.C. S.p.A., propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva respinto l’appello della società contribuente avverso la sentenza n. 401/2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza in rigetto del ricorso proposto avverso avvisi di accertamento ICI/IMU 2010-2014, emessi dal Comune di Sarego, ed ha infine depositato memoria difensiva;
il Comune resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.1. con il primo motivo la società ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione di norme di diritto (art. 1, comma 161, della legge 296/2006) per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente disatteso l’«eccezione di illegittimità degli avvisi di accertamento notificati a Dicembre 2015 in quanto integrativi degli accertamenti notificati alla medesima società a Luglio 2015 ed emessi sulla base di fatti ed elementi già noti all’ufficio», sostenendo, la ricorrente, che l’art. 1 cit. «non contiene alcuna previsione da cui si possa desumere una deroga al principio generale della unicità e globalità degli avvisi di accertamento»;
1.3. con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione di norme di diritto (art. 1, comma 162, della legge n. 296/2006, ed art. 7, comma 1, Legge n. 212/2000) avendo la sentenza impugnata ritenuto infondata l’eccezione di difetto di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati, senza che in essi fossero indicati «in maniera puntuale gli elementi e/o i documenti la cui sopravvenienza …(aveva)… giustificato l’emissione degli accertamenti di Dicembre 2015, integrativi della pretesa fiscale originariamente avanzata dallo stesso Comune a Luglio 2015»;
1.3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione di norme di diritto (art. 2 D.Lgs. 504/1992 ed art. 817 c.c.) per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto «che un’area edificabile non accatastata autonomamente ma di pertinenza di un edificio accatastato e dotato di rendita autonoma possa essere assoggettato ad imposta in maniera autonoma ai fini ICI/IMU»;
2.1. la prima doglianza è infondata;
2.2. com’è noto, l’art. 1, comma 161, della Legge n. 296/2006 (c.d. legge finanziaria 2007) prevede che «gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati»;
2.3. con tale disposizione, il legislatore ha sostituito i termini stabiliti dagli artt. 10 e 11 del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504 e, più in generale, ha provveduto ad unificare per i tributi comunali e provinciali la disciplina relativa all’attività di accertamento, dettando disposizioni comuni sulla notifica degli atti di accertamento e di riscossione, sulla nomina dei messi notificatori e l’esercizio delle relative funzioni, sui requisiti essenziali degli atti di accertamento e, per quello che qui interessa, individuando i termini, a pena di decadenza, per la notifica degli atti di accertamento e del primo atto di riscossione;
2.4. in particolare, la norma sopra indicata subordina alla notifica di atto di accertamento, sia l’attività di rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli, o, anche, dei parziali o ritardati versamenti, sia l’attività svolta d’ufficio, in caso di omesse dichiarazioni o omessi versamenti;
2.5. tutti gli avvisi di accertamento devono essere notificati al contribuente in un unico termine, previsto a pena di decadenza, «entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati»;
2.6. non sono applicabili alla fattispecie in esame le disposizioni previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 4 e dal D.P.R. n. 600 dei 1973, art. 43, comma 3, che consentono di superare il principio dell’unicità e globalità dell’accertamento soltanto quando, a garanzia del contribuente, emerga che l’Amministrazione ha successivamente avuto conoscenza di altri elementi di fatto, nuovi rispetto a quelli posti a fondamento del primo avviso, in quanto trattasi di norme poste unicamente in tema di IVA e di imposte dei redditi;
2.7. ne consegue che le disposizioni di cui all’art. 1, comma 161, della legge n. 296/2006 fanno salva ogni ulteriore azione di accertamento dell’ente locale nei termini di decadenza previsti, senza alcun riferimento a pretese dell’ente impositore che si basino su fonti diverse da quelle prese a base dall’accertamento parziale, con conseguente infondatezza delle censure della ricorrente circa le affermazioni della sentenza impugnata, secondo cui «l’art. 1, comma 161, della legge 296/2006 non preclude l’utilizzo del c.d. “avviso integrativo” per rettificare quelli successivi»;
3.1. è parimenti infondato il secondo motivo;
3.2. la Commissione tributaria regionale ha infatti respinto l’eccezione di difetto di motivazione degli atti impugnati evidenziando quanto segue: « … gli avvisi notificati in dicembre riguardano, in tutto o in parte, nuove particelle e, pertanto, la motivazione della loro emissione era chiara: chiedere imposte per terreni non presi in considerazione precedentemente … I motivi per i quali erano stati ignorati a luglio sono del tutto inconferenti, in quanto gli avvisi in esame riportano chiaramente la pretesa impositiva e consentono al contribuente di difendersi in maniera idonea»;
3.3. la sentenza va esente da censure;
3.4. la stessa ricorrente riporta, infatti, nel ricorso, che l’atto impositivo era stato motivato richiamando i «nuovi elementi emersi sulla base della nuova documentazione accertata, nonché dal riesame della complessa posizione contributiva dopo l’emissione degli avvisi di accertamento … di Luglio 2015», avendo quindi il Comune provveduto all’«accertamento di una maggiore superficie di natura edificabile ai fini I.C.I./I.M.U.»;
3.5. la sentenza impugnata è dunque pienamente conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di ICI (ma applicabile anche all’IMU) secondo cui l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’an ed il quantum dell’imposta, ed in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (cfr. Cass. n. 1694 del 24/01/2018; Cass. n. 26431 dell’8/11/2017);
3.6. nel caso che occupa il Comune, con l’avviso di accertamento impugnato, ha con evidenza indicato i dati identificativi dell’immobile, il soggetto tenuto al pagamento e l’ammontare dell’imposta, e l’obbligo motivazionale è stato quindi ampiamente soddisfatto;
4.1. il terzo motivo va parimenti disatteso;
4.2. come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 13742 del 22/05/2019, n. 22128 del 29/10/2019) in tema di ICI, sulla base di principi applicabili anche all’IMU, l’art. 2 del d.lgs. n. 504 del 1992, nell’escludere l’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, fonda l’attribuzione della qualità di pertinenza sul criterio fattuale correlato alla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio o ornamento di un’altra, in conformità all’art. 817 c.c., con la conseguenza che, per qualificare come pertinenza di un fabbricato un’area edificabile, è necessario che intervenga un’oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo ius edificandi e che non si risolva, quindi, in un mero collegamento materiale, rimovibile ad libitum;
4.3. in particolare, il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a, impone di considerare parte integrante del fabbricato oggetto dell’imposta (ovverosia, prosegue la norma, «l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano»), quindi non autonomamente imponibile, oltre che «l’area occupata dalla costruzione», anche «quella che ne costituisce pertinenza», e tale specifico regime trova applicazione solo se la natura pertinenziale resta convalidata mediante la verifica in concreto dei presupposti, aggettivo e soggettivo, posti dalla norma ordinaria;
4.4. va pertanto evidenziata la centralità – tenuto conto dell’univoca valenza fiscale dell’afferente accertamento, ostativa comunque (art. 53 Cost.) all’introduzione di una qualsiasi esenzione rimessa unicamente alla interessata volontà del contribuente – della «verifica», la quale deve essere tesa, fondamentalmente, ad accertare l’esistenza, in base a concreti elementi fattuali (specie quelli catastali, se rafforzativi del «rapporto d’asservimento») dimostrativi, del necessario ed insostituibile vincolo funzionale dell’area rispetto al manufatto principale, in particolare che l’area costituisce parte integrante del fabbricato in relazione al quale era stata corrisposta per intero l’imposta;
4.5. questa Corte (Cass. n. 17035 del 26/8/2004; conf. Cass. n. 6316 del 25/02/2022) ha precisato che l’accertamento dell’esistenza (ai sensi dell’art. 817 c.c.) del vincolo pertinenziale, ovverosia del fatto oggettivo che il bene sia effettivamente posto, da parte del proprietario del fabbricato principale, a servizio (o ad ornamento) del fabbricato medesimo postula anche quello dell’esistenza dell’ulteriore requisito della non suscettibilità anche del bene costituente pertinenza di diversa destinazione senza radicale trasformazione, in quanto, altrimenti opinandosi, sarebbe agevole per il proprietario di un immobile godere dell’esenzione attraverso una destinazione pertinenziale rispetto ad un fabbricato pur se detta destinazione possa facilmente cessare senza una radicale trasformazione dell’immobile stesso;
4.6. la pregnanza di quest’ultimo rilievo (evitare, cioè, che il contribuente possa godere, nella sostanza, dell’esenzione attraverso una destinazione pertinenziale eliminabile solo per sua volontà e senza sacrificio) consente di considerare l’insuscettibilità di una destinazione del bene ritenuto pertinenziale diversa senza radicale trasformazione, atteso che per l’art. 817 cod. civ., «le cose» si considerano «pertinenze» di «un’altra cosa» non semplicemente perché poste a «servizio o ad ornamento» della stessa ma solo se tale destinazione sia (soggettivamente ed oggettivamente) «durevole», ovverosia presenti segni concreti esteriori dimostrativi della volontà del titolare di imporre a quelle cose uno degli scopi considerati dalla norma civilistica;
4.7. per l’implicito riferimento alla definizione che di tale categoria di bene fornisce il codice civile all’art. 817 c.c., la pertinenza considerata dalla norma sull’ICI (o IMU) è dunque inequivocabilmente relazionata alla materiale condizione della res, vale a dire alla sua destinazione effettiva e concreta, avendo questa Corte (cfr. Cass. n. 25127 del 30 novembre 2009) altresì ribadito che: in materia fiscale, attesa l’indisponibilità del rapporto tributario, la prova dell’asservimento pertinenziale (che grava sul contribuente) deve essere valutata con maggior rigore rispetto alla prova richiesta nei rapporti di tipo privatistico; se la scelta pertinenziale non è giustificata da reali esigenze (economiche, estetiche o di altro tipo), non può avere valenza tributaria, perché avrebbe l’unica funzione di attenuare il prelievo fiscale, eludendo il precetto che impone la tassazione in ragione della reale natura del cespite; perché un’area fabbricabile perda il (plus) valore costituito dall’edificabilità, occorre che intervenga un’oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi, in concreto e stabilmente, lo ius edificandi, che non si risolva quindi in un mero collegamento materiale rimovibile ad libitum;
4.8. la rilevanza fiscale del preciso accertamento fattuale – diretto, naturalmente, ad evitare che il contribuente o corrisponda un’imposta non dovuta oppure non corrisponda un imposta dovuta -, all’evidenza, esclude la stessa ammissibilità di qualsivoglia operazione logica di qualificazione come «pertinenza» del fabbricato di qualsiasi area edificabile limitrofa sol perché semplicemente oggetto di recinzione da parte del proprietario, avendo la Commissione tributaria regionale correttamente evidenziato che la recinzione era «amovibile», ed in concreto non era «avvenuta alcuna modificazione funzionale dell’area che ne modifichi lo ius edificandi»;
4.9. ciò che rileva, inoltre, per definire le pertinenze non è neppure la classificazione catastale (o il suo mancato accatastamento autonomo, secondo quanto sostenuto dalla ricorrente) ma il rapporto di complementarità funzionale che pur lasciando inalterata l’individualità dei singoli beni, comporta l’applicazione dello stesso trattamento giuridico (cfr. Cass. n. 22561 del 10/8/2021);
4.10. ne consegue che va esente da censure la sentenza impugnata nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha correttamente escluso la natura pertinenziale degli immobili «di cui al mappale 265», rilevando che «il fatto che siano recintati non vuol dire asservimento ad edifici esistenti, sia perché la recinzione è amovibile, sia perché in concreto non è avvenuta alcuna modificazione funzionale dell’area che ne modifichi lo ius edificandi»;
5. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;
6. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
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