CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 27341 depositata il 26 settembre 2023
Tributi – IRPEG e ILOR – Istanza di rimborso – Soddisfazione del credito d’imposta mediante assegnazione di titoli di Stato – Cessione d’azienda – Rigetto
Fatti di causa
1. La C.R.A. di Palma di Montechiaro esponeva, nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1981, crediti Irpeg ed Ilor nella misura complessiva di Lire 54.079.000, dipendenti da ritenute operate in eccesso da sostituti d’imposta, e le somme erano richieste a rimborso. La C.R.A. si fondeva con altro istituto, e nasceva la P. s.c.r.l., successore nel credito, che cedeva l’azienda bancaria al C.I. Spa, poi incorporato in U. Spa. Quest’ultima, non essendo stata conseguita alcuna restituzione, presentava l’11.6.2012 istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate. L’Amministrazione finanziaria non rispondeva (controric., p. 1 ss.).
2. U. Spa impugnava il silenzio rifiuto, opposto sull’istanza restitutoria dall’Amministrazione finanziaria, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento. L’Agenzia delle Entrate si costituiva sostenendo, tra l’altro, l’inopponibilità della cessione del credito per difetto di forma. La CTP riteneva fondate le difese proposte dalla contribuente, ed affermava che ad essa competeva conseguire il rimborso richiesto.
3. L’Ente impositore spiegava appello avverso la pronuncia sfavorevole conseguita dai giudici di primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia. La CTR confermava la decisione della CTP.
4. L’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione, avverso la pronuncia sfavorevole conseguita nel secondo grado del giudizio, affidandosi a due strumenti di impugnazione. Resiste mediante controricorso U. Spa, che ha pure depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il suo primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia delle Entrate contesta la nullità della sentenza pronunciata dalla CTR, in conseguenza della violazione del d.lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, perché l’Amministrazione finanziaria, con nota prot. 4130 del 21.12.1996, aveva rigettato le istanze di rimborso proposte dalla Banca, e questi provvedimenti non erano stati impugnati, discendendone la improponibilità di un’ulteriore istanza di rimborso.
2. Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria censura la violazione dell’art. 2697 c.c., in cui è incorso il giudice dell’appello, per non aver rilevato che la cessione del credito in favore dell’istante risultava inopponibile all’Ente impositore per difetto di forma, e perché la contribuente non ha assicurato prova dei versamenti operati in eccesso che avrebbero originato il preteso diritto di rimborso.
3. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate critica la nullità della decisione adottata dalla CTR, perché il ricorso introdotto dalla Banca risultava improponibile, avendo essa già presentato un’istanza di rimborso, cui l’Amministrazione finanziaria aveva risposto negativamente con nota prot. n. 4130 del 21.12.1996, e questo provvedimento non era stato impugnato dalla contribuente, con la conseguenza che i suoi effetti erano divenuti intangibili, e la contribuente non poteva proporre un’ulteriore istanza di rimborso.
3.1. In proposito la CTR osserva che “dall’esame della nota prot. 4130, si rileva che la stessa non può configurarsi come rifiuto di istanze di rimborso presentate dalla società “C.I. Spa”, ma semplicemente a richieste di estinzione dei crediti risultanti da altrettante dichiarazioni annuali, anziché in denaro contante, mediante assegnazione di titoli di Stato”. Inoltre, sempre in relazione alla nota citata, il giudice dell’appello ha rilevato che “l’Ufficio non ha prodotto la richiesta “relata di notifica” (sent. CTR, p. IV).
3.2. L’Amministrazione finanziaria non contrasta efficacemente le valutazioni espresse dalla CTR. Afferma che la Banca era a conoscenza del provvedimento adottato con nota prot. 4130 del 21.12.1996, ma allega quale prova non la relata di notificazione, pur richiestale dal giudice in corso di causa, bensì una missiva dell’Istituto bancario, datata 5.3.1997, da cui ritiene debba desumersi che la Banca fosse venuta tempestivamente a conoscenza del diniego, ma invero non sarebbe provato quando, e neppure come.
3.3. Merita anche di essere ricordato come questa Corte regolatrice, pronunciando in causa pendente tra le stesse parti ed avente analogo oggetto, in riferimento ad anno d’imposta diverso, ha già avuto modo di statuire che “il collegio ritiene che la nota trasmessa dall’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Licata (AG) il 21 dicembre 1996, prot. n. 41430 (il cui contenuto è stato trascritto nel corpo del ricorso, in ossequio al canone dell’autosufficienza), non possa considerarsi atto impugnabile del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 19, comma 1, lett. g, non essendo qualificabile nei termini di “rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi”. Difatti, la richiesta respinta della “U. S.p.A.” non aveva per oggetto il rimborso del credito IRPEG per l’anno d’imposta 1986, di cui essa aveva acquistato la titolarità per effetto della cessione di azienda del 2 dicembre 1992, anche in considerazione della reiterata proposizione della relativa istanza nelle dichiarazioni annuali dei redditi del D.M. 26 agosto 1994, ex art. 1, ma l’opzione per una diversa modalità di estinzione del medesimo credito (assegnazione di titoli di Stato) ai sensi del d.l. 23 maggio 1994, n. 307, art. 5 commi 1 e 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla l. 22 luglio 1994, n. 457. Per cui, il rifiuto di soddisfare il credito con la modalità alternativa dell’assegnazione dei titoli di Stato non poteva equivalere ad un diniego (ancorché tacito) di rimborso. Aggiungasi che la circostanza dell’omessa comunicazione alla “U. S.p.A.” della nota trasmessa dall’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Licata (AG) il 21 dicembre 1996, prot. n. 41430, pur essendo di per sé ininfluente per verificarne l’impugnabilità in relazione alla sua efficacia, costituisce, comunque, elemento significativo per disattendere l’eccezione di tardiva proposizione del ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento.
Nella specie, il giudice di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, avendo accertato che il provvedimento adottato dall’amministrazione finanziaria – oltre a non essere stato notificato alla contribuente, che, pertanto, non poteva considerarsi decaduta dall’impugnazione per decorso del termine del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 21 comma 1, anche in considerazione dell’omessa indicazione del termine di impugnazione e del giudice tributario competente a decidere sull’impugnazione – si era limitato a negare l’opzione di soddisfazione del credito d’imposta mediante l’assegnazione di titoli di Stato, ma non aveva rigettato (neanche per implicito) l’istanza di rimborso (la pronuncia, dunque, atteneva al quid e non all’an debeatur)“, Cass. sez. V 9/12/2021, n. 39135.
Invero, l’Agenzia delle Entrate non illustra perché la nota più volte citata dovrebbe intendersi come volta a rigettare un’istanza di rimborso, e non a respingere un’istanza di conversione delle somme invocate a rimborso in titoli di Stato, peraltro in misura parziale (80%), come invece ritenuto dalla CTR. L’Amministrazione finanziaria, infatti, si limita a riprodurre la nota, evidentemente richiedendo a questa Corte di legittimità di valutare se sia presente in essa qualche espressione che possa assicurare riscontro alla tesi proposta dall’Ente impositore, il che non è consentito.
Il primo motivo di impugnazione proposto dall’Amministrazione finanziaria risulta quindi infondato, e deve perciò essere respinto.
4. Mediante il secondo strumento di ricorso l’Amministrazione finanziaria propone in realtà, lamentando la violazione di legge, una pluralità di censure.
In primo luogo contesta l’erroneità della pronuncia della CTR per non aver rilevato che la cessione del credito in favore dell’istante risultava inopponibile all’Ente impositore per difetto di forma. In sostanza l’Amministrazione finanziaria ripercorre la disciplina legale all’epoca vigente in materia di cessione del credito quando sia coinvolta una Banca, ed indica come applicabili del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 69 e 70. In conseguenza la cessione intervenuta tra la cedente P. s.c.r.l. e la cessionaria C.I. Spa risulterebbe inefficace nei confronti del Fisco per non avere il cessionario notificato la cessione con indicazione specifica del titolo e dell’oggetto del credito, non desumibile dal contratto di cessione di azienda bancaria invocato dalla contribuente. In conseguenza, nella prospettazione dell’Ente impositore, unico titolare del diritto al rimborso era rimasta la P. s.c.r.l..
4.1. Osserva in proposito l’impugnata CTR che “sul foglio di inserzioni della GURI n. 84 bis del 10 aprile 1993 era stata data comunicazione che con provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 5 marzo 1993 era stata autorizzata la esecuzione dell’atto di cessione… nel caso in esame è pacifico che con il contratto sottoscritto il 2.12.1992, la società “C.I. Spa” ha acquistato dalla società P. s.c.r.l. “il complesso aziendale costituente l’azienda bancaria esercitatà dal cedente, costituita dalla globalità ed universalità dei beni che lo costituiscono e dei diritti ad esso inerenti… nel complesso aziendale si intendono ricompresi i crediti… non si tratta, pertanto, di un atto che ha per oggetto la cessione di uno o più crediti vantati dal cedente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ma di un atto di cessione d’azienda” (sent. CTR, p. III ss.).
Le forme di notificazione indicate dal Fisco, ai sensi del d.p.r. n. 602 del 1973, art. 43bis, e del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 69 e 70, nonché del D.M. n. 384 del 1997, art. 1, osserva ancora il giudice dell’appello, “devono essere osservate solo quando sono conclusi atti di cessione di crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi, non anche, invece, quando sono conclusi atti diversi, nell’ambito dei quali il trasferimento di crediti costituisce soltanto un mero effetto… in ogni caso la pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale… è equiparata alla notificazione che, ai sensi dell’art. 1264 c.c., rende efficace la cessione del rapporto giuridico nei confronti del debitore ceduto… U. s.p.a. è l’unico soggetto al quale le somme richieste devono essere rimborsate” (ibidem).
4.2. La decisione adottata sul punto dalla impugnata CTR appare conforme all’orientamento interpretativo espresso anche da questa Corte regolatrice, e risulta condivisibile.
Si è avuto modo di confermare recentemente, infatti, che “il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo) in una società costituisce una cessione d’azienda, che comporta per legge – salvo patto contrario – la cessione dei crediti relativi al suo esercizio, compresi i crediti d’imposta vantati dal cedente nei confronti dell’erario, sicché, ai fini dell’efficacia nei confronti di quest’ultimo, non occorre procedere alla notifica ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, discendendo i relativi effetti dall’adempimento delle formalità pubblicitarie presso il registro delle imprese, secondo quanto disposto in via generale dall’art. 2559 c.c.“, Cass., sez. V, 19/10/2021, n. 28787, formalità pubblicitarie che possono essere sostituite da altre indicate dalla legge come equipollenti.
In relazione al profilo esaminato, pertanto, il secondo motivo di ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria risulta infondato, e deve essere respinto.
5. Ancora mediante il secondo strumento di impugnazione, l’Amministrazione finanziaria critica la decisione adottata dalla CTR, anche per non avere il giudice dell’appello rilevato che la contribuente non ha assicurato prova dei versamenti operati in eccesso che avrebbero originato il preteso diritto di rimborso.
5.1. In materia di prova dei versamenti richiesti a rimborso la CTR non si pronuncia.
Deve però rilevarsi che la ricorrente Agenzia delle Entrate non ha cura di indicare quando abbia proposto la propria contestazione, e mediante quale formula, e come l’abbia diligentemente coltivata, in modo da consentire a questa Corte di legittimità di verificare la tempestività e congruità delle censure proposte dalle parti, ancor prima di procedere a valutarne la decisività.
La critica risulta perciò inammissibile.
In definitiva, il ricorso introdotto dall’Amministrazione finanziaria deve essere respinto.
6. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate in dispositivo in considerazione della natura delle questioni affrontate e del valore della controversia.
6.1. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (c.d. doppio contributo).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, che condanna al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, e le liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre 15% per spese generali, Euro 200,00 per esborsi, ed accessori come per legge.
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