CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 27476 depositata il 27 settembre 2023
Lavoro – Pensione di vecchiaia – Liquidazione della pensione integrativa – Decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali – Decorrenza del termine – Diritto di riscatto – Rigetto
Fatti di causa
1.– Con sentenza n. 3626 del 2016, depositata il 20 ottobre 2016, la Corte d’appello di Roma ha accolto il gravame dell’INPS e, in riforma della pronuncia del Tribunale della medesima città, ha respinto le domande di alcuni ex dipendenti del Servizio Riscossione Tributi-Concessione della Provincia di Roma, iscritti al Fondo Esattoriali, che avevano chiesto l’accertamento del diritto alla pensione di vecchiaia con liquidazione della pensione integrativa.
La Corte territoriale, con la medesima decisione, ha poi rigettato l’appello proposto da altri pensionati contro le statuizioni del Tribunale, che li aveva dichiarati decaduti dall’azione giudiziale, ai sensi dell’art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639.
2.– I signori T.D., V.G., R.T., F.V., B.G., V.G., U.A., A.M.R., quale coniuge superstite del signor R.P., impugnano per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Roma, con ricorso notificato il 20 aprile 2017 e affidato a quattro motivi.
3.– L’INPS resiste con controricorso, notificato il 30 maggio 2017.
4.– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio dinanzi a questa sezione, in base all’art. 380-bis.1., primo comma, cod. proc. civ.
5.– Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
6.– Il Collegio, al termine della camera di consiglio, si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).
Ragioni della decisione
1.– Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970, in relazione all’art. 12 delle preleggi e all’art. 112 cod. proc. civ.
Avrebbe errato la Corte territoriale, nel dichiarare la decadenza dall’azione giudiziaria a danno dei signori D., G., P. e T., a dispetto della mancata adozione di un provvedimento esplicito da parte dell’INPS. Solo un provvedimento siffatto potrebbe dare avvio al decorso del termine di decadenza (pagine 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 del ricorso per cassazione).
1.1.– Il motivo non è fondato.
1.2.– La sentenza impugnata (pagina 4) si è uniformata ai principi enunciati da questa Corte e puntualmente richiamati anche nel controricorso (pagine 6 e 7): «In tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, l’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (nel testo modificato dall’art. 4 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438), dopo avere enunciato due diverse decorrenze delle decadenze riguardanti dette prestazioni (dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione), individua, infine, nella scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione di cui all’art. 7 della legge 11 agosto 1973, n. 533, e di centottanta giorni, previsto dall’art. 46, commi quinto e sesto, della legge 9 marzo 1989, n. 88), oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo – pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria – non consente lo spostamento in avanti del dies a quo per l’inizio del computo del termine decadenziale (di tre anni o di un anno).
Ne consegue che, al fine di impedirne qualsiasi sforamento in ragione della natura pubblica della decadenza regolata dall’anzidetto art. 47, il termine decorre, oltre che nel caso di mancanza di un provvedimento esplicito sulla domanda dell’assicurato, anche in quello di omissione delle indicazioni di cui al comma quinto del medesimo art. 47» (Cass., S.U., 29 maggio 2009, n. 12718).
1.3.– Le censure dei ricorrenti non prospettano argomentazioni che inducano a rimeditare l’orientamento accreditato dalle sezioni unite di questa Corte e non dimostrano che i giudici d’appello, dei principi prima richiamati, abbiano fatto arbitraria applicazione nel caso di specie.
2.– Con il secondo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 10 e 32 della legge 2 aprile 1958, n. 377, e dell’art. 1 della legge 7 febbraio 1979, n. 29.
La sentenza impugnata sarebbe erronea anche per aver negato il diritto di ottenere le prestazioni a carico del Fondo Esattoriali a chi abbia optato per la ricongiunzione della contribuzione presso l’assicurazione generale obbligatoria.
La domanda di liquidazione della pensione di anzianità, avanzata all’assicurazione generale obbligatoria, non potrebbe valere come rinuncia alla posizione assicurativa nel Fondo Esattoriali, destinato a configurarsi come un fondo integrativo (in particolare, pagine 22 e 23 del ricorso). La permanenza dello status d’iscritto a tale Fondo attribuirebbe la facoltà di esercitare il diritto di riscatto o di conseguire l’integrazione della pensione al raggiungimento dell’età pensionabile (pagina 28 del ricorso).
Una diversa interpretazione del dettato normativo determinerebbe l’infruttuosità della contribuzione corrisposta in vista dell’integrazione del trattamento pensionistico (pagine 30 e 31 del ricorso).
2.1.– La censura non può essere accolta.
2.2.– La sentenza d’appello (pagine 4 e 5) è conforme ai principi espressi da questa Corte, che ha qualificato il Fondo di previdenza per gl’impiegati esattoriali come un fondo speciale obbligatorio a carattere integrativo, destinato a costituire un sistema previdenziale autonomo ed autosufficiente (Cass., sez. lav., 4 maggio 2016, n. 8892).
Da tale inquadramento deriva che, durante il periodo d’iscrizione al Fondo, non possono essere erogate le prestazioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, se non ne sussistono i presupposti nel regime generale.
Pertanto, una volta che sia stata trasferita e utilizzata, mediante costituzione della posizione previdenziale nell’assicurazione generale obbligatoria, la quota di contribuzione per la predetta gestione, non è possibile ottenere le prestazioni a carico del Fondo, il cui presupposto è l’unitarietà dei versamenti.
Né tale disciplina comporta alcun indebito arricchimento dell’INPS, in quanto l’art. 7 della legge 29 luglio 1971, n. 587, conferisce all’iscritto cessato dal servizio presso le esattorie la facoltà di chiedere il pagamento una tantum di una somma pari al 75 per cento dei contributi integrativi versati al Fondo (cfr., sul punto, la già richiamata sentenza n. 8892 del 2016, ripresa con ampi richiami sia nella sentenza d’appello che nel controricorso, alle pagine 13, 14 e 15).
Questa Corte ha anche disatteso, in quanto manifestamente infondati, i dubbi di legittimità costituzionale adombrati con riferimento alla disciplina in esame, per il contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 Cost., e ha osservato, a tale riguardo, che l’operatività delle relative disposizioni è demandata alle libere scelte dell’interessato, improntate a criteri di convenienza individuale (Cass., sez. lav., 9 novembre 2018, n. 28775).
2.3.– Non vi sono ragioni per discostarsi da tali principi, ribaditi a più riprese dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. lav., 28 ottobre 2021, n. 30474, 16 aprile 2021, n. 4044, e 30 ottobre 2020, n. 24135), che offre una risposta esaustiva a tutte le questioni dibattute dai ricorrenti. Né il motivo illustra argomenti che sollecitino la revisione critica di un indirizzo oramai costante, che perciò si richiama, anche ai sensi dell’art. 118, primo comma, disp. att. cod. proc. civ.
3.– Con la terza doglianza (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), i ricorrenti allegano violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ. e imputano alla Corte territoriale di avere illegittimamente negato il diritto di ottenere la restituzione delle somme accantonate a titolo d’integrazione (pagina 33).
Dei contributi versati al Fondo Esattoriali, la parte interessata potrebbe in ogni tempo reclamare la restituzione, in quanto tali contributi rimarrebbero pur sempre nella sua disponibilità, «a prescindere dal trasferimento nel regime AGO» (pagina 35 del ricorso per cassazione). Il diniego della restituzione, alternativa alla possibilità di conseguire l’integrazione, esporrebbe la disciplina a dubbi di legittimità costituzionale.
3.1.– La doglianza è inammissibile.
3.2.– La sentenza d’appello chiarisce che «si è formato il giudicato (negativo) sulla domanda di restituzione parziale dei contributi versati, peraltro non oggetto di espressa pronuncia, non essendo stata da nessuno riproposta in questa sede» (pagina 4).
3.3.– Con queste statuizioni della pronuncia impugnata, che esprimono la ratio decidendi e dirimono la questione controversa sulla scorta di un profilo preliminare, la censura non si fa carico di confrontarsi in modo adeguato.
Nessuna critica persuasiva i ricorrenti indirizzano contro il percorso argomentativo della sentenza d’appello, che pone in risalto la mancata riproposizione della domanda di restituzione dei contributi versati.
Le censure s’incentrano sul merito della pretesa, benché il merito non sia stato approfondito dalla Corte d’appello, che si è arrestata in limine, in virtù di un argomento che non è fatto segno di efficaci rilievi critici.
Ne deriva l’inammissibilità del motivo, eccentrico rispetto alla ratio decidendi che sorregge la pronuncia impugnata.
4.– Con la quarta critica (art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, cod. proc. civ.), i ricorrenti censurano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e l’omesso esame di un fatto decisivo.
Quanto alla posizione dei signori D., G., P. e T., la Corte d’appello di Roma avrebbe omesso qualsivoglia pronuncia sulla domanda d’integrazione.
4.1.– Il motivo non coglie nel segno.
4.2.– Nessun vizio di omessa pronuncia, nel caso di specie, si ravvisa.
La Corte territoriale, con statuizione impugnata senza costrutto con il primo mezzo dell’odierno ricorso, ha dichiarato la decadenza dei signori D., G., P. e T. e, per questa ragione assorbente, incompatibile con l’esame del merito della pretesa, non si è addentrata in più approfondite considerazioni sulla fondatezza della domanda.
5.– In virtù dei rilievi svolti, il ricorso dev’essere, nel suo complesso, respinto.
6.– Dal rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.
7.– L’integrale rigetto del ricorso, proposto successivamente al 30 gennaio 2013, impone di dare atto dell’obbligo dei ricorrenti di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
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