Corte di Cassazione ordinanza n. 27826 depositata il 30 ottobre 2019
rimborso tributi – prescrizione
RILEVATO CHE:
1. -omissis -, tutti in proprio e quali soci della P. s.r.l. in liquidazione, A.D., quale erede di L.P., L.S., sollecitavano il 5-11-2010 il rimborso di somme a titolo di Irpeg per € 150.084,44, indicate nella dichiarazione dei redditi del 1997.
2. I ricorrenti impugnavano il diniego della Amministrazione, che aveva eccepito l’intervenuta prescrizione, in quanto era applicabile il combinato disposto dell’art. 43 d.p.r. 600/1973 e dell’art. 10 legge 289/2002, per cui il termine di prescrizione decorreva dal 31-12-2004, ossia dallo spirare del termine entro cui l’ufficio era legittimato ad esercitare il suo potere di rettifica ai sensi dell’art. 43 d.p.r. 600/1973.
3.La Commissione tributaria provinciale di Treviso rigettava il ricorso, in quanto, trattandosi di prescrizione decennale, la stessa iniziava a decorrere dal giorno in cui il diritto poteva essere fatto valere, quindi dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi, ossia dal 30-6-1997.
4.Con l’appello i contribuenti indicavano il dies a quo per il computo della prescrizione decennale dallo spirare dei termini di cui all’art. 36 bis d.p.r. 600/1973, tenendo conto dell’art. 9 legge 289/2002, quindi dal 31-12-2000.
5.La Commissione tributaria regionale del Veneto accoglieva il ricorso dei contribuenti, evidenziando che, nel caso in cui il contribuente avesse indicato nella dichiarazione dei redditi un credito di imposta, non occorreva alcun altro adempimento, ma doveva solo attendere che l’amministrazione esercitasse il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte, prevista dall’art. 36 bis del d.p.r. 600/1973. Una volta che il credito si era consolidato, anche per effetto di un riconoscimento implicito derivante dal mancato esercizio nei termini del potere di rettifica della dichiarazione, l’amministrazione era tenuta ad eseguire il rimborso ed il credito era soggetto alla ordinaria prescrizione decennale , decorrente dal riconoscimento del credito stesso.
6.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
7.Resiste con controricorso il contribuente.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione dell’art. 57 d.lgs. 546/1992 e dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c. n.4)”, in quanto solo in sede di appello, e quindi con violazione di divieto di nuove domande ed eccezioni di cui all’art. 57 d.lgs. 546/1992, i contribuenti hanno modificato la loro deduzione iniziale, affermando che il termine di prescrizione decennale del credito per rimborso Irpeg decorreva dallo spirare dei termini previsti dall’art. 36 bis d.p.r. 600/1973 per la liquidazione delle dichiarazioni dei redditi, oltre che dall’art. 9 legge 448/1998, quindi dal 31-12- 2000, mentre con il ricorso introduttivo il dies a quo era stato ancorato al termine di cui all’art. 43 d.p.r. 600/1973 ed all’art. 10 legge 289/2002, quindi al 31-12-2004.
1.1.Tale motivo è infondato.
Invero, l’istanza di rimborso è stata respinta dall’Amministrazione proprio per la intervenuta prescrizione, sicchè sin dal ricorso di primo grado i contribuenti hanno dedotto che il termine di prescrizione non era decorso, indicando come dies a quo del computo della stessa la data del 31-12-2004, ai sensi degli artt. 43 d.p.r. 600/1973 e 10 legge 289/2002.
In appello, i contribuenti hanno insistito per l’accoglimento della eccezione di prescrizione rigettata dal primo giudice, argomentando stavolta l’individuazione del dies a quo per il computo della stessa dagli artt. 36 bis d.p.r. 600/1973 e dall’art. 9 legge 289/2002, quindi al 31-12-2000.
Non v’è stata, quindi, alcuna domanda nuova da parte dei contribuenti in sede di gravame, ma soltanto una diversa argomentazione giuridica in ordine alla individuazione del dici% a quo per il computo del termine ordinario di prescrizione.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione dell’art. 2935 c.c. (art. 360 c.p.c. n. 3 e 4) “subordinata”, in quanto quando il contribuente ha evidenziato nella dichiarazione dei redditi un credito di imposta, non trova applicazione il termine di decadenza di cui all’art. 38 d.p.r. 602/1973, non occorrendo una apposita istanza, con la precisazione che, in tal caso, l’azione è sottoposta all’ordinario termine di prescrizione decennale, sulla cui decorrenza non incide il limite temporale stabilito per il controllo formale dall’art. 36 bis d.p.r. 600/1973.
2.1. Il motivo è fondato.
Invero, costituisce principio consolidato di questa Corte quello per cui, in tema di imposte sui redditi, qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non trova applicazione, ai fini del rimborso del relativo importo, il termine di decadenza previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non occorrendo la presentazione di un’apposita istanza, in quanto l’Amministrazione, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria. La relativa azione è pertanto sottoposta all’ordinario termine di prescrizione decennale, sulla cui decorrenza non incide né il limite temporale stabilito per il controllo c.d. formale o cartolare delle dichiarazioni e la liquidazione delle somme dovute, ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, né il limite alla proponibilità della relativa eccezione, posto dall’art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350: la prima disposizione è volta infatti ad imporre un obbligo all’Amministrazione finanziaria, senza stabilire un limite all’esercizio dei diritti del contribuente, mentre la seconda contiene un mero “invito” rivolto agli uffici, non suscettibile di applicazione diretta da parte del giudice (Cass., sez. un., 7 febbraio 2007, n. 2687; Cass., 27 marzo 2013, n. 7706). Una diversa interpretazione, imponendo al contribuente , per ottenere il rimborso del proprio credito di imposta, di attendere il termine assegnato all’amministrazione per procedere al controllo delle dichiarazioni dei redditi, comporterebbe, da un lato un privilegio per l’amministrazione e, dall’altro, determinerebbe un vantaggio per il contribuente nella controversia in esame.
Si è, anzi, precisato che, in tema di rimborso d’imposta, non è previsto – né dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, né da altre disposizioni – l’onere dell’Amministrazione finanziaria di svolgere attività di rettifica della dichiarazione in cui è stato esposto il credito, sicché, anche in assenza di accertamenti nei termini di legge, non si consolida l’asserito diritto del contribuente (Cass., 17 giugno 2016, n. 12557; Cass., 31 gennaio 2018, n. 2392).
3.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, ma non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda di rimborso presentata dai contribuenti, essendo maturata la prescrizione decennale dalla data di richiesta del rimborso nella dichiarazione dei redditi del 1997 sino alla data di sollecito del rimborso del 2010.
4.Le spese dei gradi di merito vanno compensate tra le parti per i differenti esiti dei giudizi di merito. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, per il principio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario dei contribuenti. Compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito. Condanna i contribuenti rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
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