Corte di Cassazione ordinanza n. 27919 depositata il 23 settembre 2022
valutazione delle prove – prove presuntive – IVA – operazioni soggettivamente inesistenti
Rilevato che
A seguito di processo verbale di constatazione, redatto da militari della GdF nei confronti della C.D.M. C.M.D. s.r.l., l’Agenzia delle entrate notificò alla società l’avviso d’accertamento con cui, relativamente all’anno 2006, furono recuperati ad imponibile, ai fini Ires, Irap e Iva, costi per € 2.374.000,00 considerati afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti.
La società, che contestava gli esiti dell’accertamento, impugnò l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza n. 1149/05/2015 ne accolse le ragioni, annullando l’avviso di accertamento. L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio fu rigettato con sentenza n. 3374/22/2016, ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale, dopo aver riassunto i fatti e riportato le ragioni per le quali il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso della contribuente, e dopo aver riprodotto i motivi d’impugnazione dell’Amministrazione finanziaria, ha evidenziato che l’Ufficio non aveva neppure contestato le irregolarità procedimentali rilevate dalla Commissione provinciale, e, soprattutto, all’esito della valutazione comparativa degli elementi addotti da ciascuna delle parti, ha ritenuto che le prove allegate dalla contribuente escludevano il coinvolgimento della società nella catena di operazioni soggettivamente inesistenti ricostruita dai militari verificatori.
L’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza affidandosi a due motivi e ha chiesto la cassazione della decisione. La società ha resistito con controricorso.
Nell’adunanza camerale del 4 maggio 2022 la causa è stata riservata e decisa. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
Considerato che
con il primo motivo l’Agenzia delle entrate ha censurato la violazione o falsa applicazione dell’art. 53 del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché la pronuncia, nella parte in cui ha riconosciuto irregolarità compiute dall’Ufficio nella fase endoprocedimentale, erroneamente ha ritenuto omessa l’impugnazione della sentenza di primo grado, violando le regole del contraddittorio.
Il motivo è inammissibile perché attribuisce valenza decisoria sfavorevole all’Amministrazione finanziaria ad un passaggio della sentenza che tale valenza non ha.
È vero infatti che la commissione regionale evidenzia che l’appellante avrebbe omesso di contestare le irregolarità procedimentali denunciate con il ricorso introduttivo dalla contribuente, incidenti sul rispetto del principio del contraddittorio, ma è altrettanto vero che una lettura attenta del passaggio della motivazione a ciò dedicato -cui va imputata una tecnica espositiva involuta che ha potuto indurre in equivoco- evidenzia che, dopo aver valorizzato la circostanza che l’Amministrazione finanziaria non aveva risposto alle osservazioni formulate dalla contribuente, ha riconosciuto che
in ogni caso nell’avviso di accertamento “le prove indicate dal processo verbale sono state integrate con altri dati istruttori in risposta alle memorie difensive della società”. L’unico significato logico che può attribuirsi al passaggio motivazionale, altrimenti del tutto illogico e inidoneo ad acquisire valenza decisoria, è che il giudice regionale, pur rilevando la scorrettezza della condotta tenuta dall’Ufficio nella fase endoprocedimentale, ha escluso che essa perfezionasse violazioni alle regole sul contraddittorio, risultando che in risposta alle difese della contribuente l’atto impositivo era stato fondato su ulteriori elementi istruttori rispetto a quelli riportati nel processo verbale di constatazione, così integrando il quadro accusatorio.
D’altronde, diversamente interpretando il passaggio motivazionale, dovrebbe accogliersi il motivo di ricorso dell’Ufficio, atteso che deve escludersi che le considerazioni sul medesimo punto sviluppate nella sentenza della commissione provinciale (con esposizione ben più chiara) vadano intese nel senso che il giudice di primo grado abbia inteso riconoscere la nullità dell’atto impositivo per violazione delle regole del contraddittorio endoprocedimentale. Il passaggio della decisione di primo grado infatti, riportato nel ricorso ora al vaglio di questo collegio in osservanza del principio di autosufficienza, pur dando atto della condotta procedimentale non del tutto corretta tenuta dalla Amministrazione finanziaria, affermava che «occorre tuttavia considerare che nelle motivazioni dell’avviso di accertamento l’Agenzia[ ….] integra anche le prove indicate nel processo verbale “con altri dati istruttori in risposta alle memoria difensive presentate dalla società”, rendendo così meno incisiva la critica mossa dalla ricorrente. Sullo stesso piano può essere ascritta la censura rivolta alla carenza di motivazione dell’avviso in quanto le ragioni delle rettifiche apportate alla dichiarazione dei redditi per il periodo di imposta 2006 sono puntuali definendo coerentemente il quadro dell’azione impositiva». Dal tenore della motivazione non si evince affatto che il giudice provinciale abbia ritenuto nullo l’avviso di accertamento per violazione del principio del contraddittorio, che sarebbe peraltro in contrasto logico con la circostanza che la sentenza di primo grado, così come d’altronde quella d’appello, entrano nel merito delle contestazioni sul fondamento o meno dell’avviso d’accertamento.
Per le ragioni ora esposte va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso dell’Agenzia delle entrate, sollevata dalla controricorrente per intervenuto giudicato.
Con il secondo motivo l’Amministrazione finanziaria si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, 54, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nonché della giurisprudenza della CGUE, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto al governo delle prove in tema di presupposti per l’indetraibilità dell’iva da parte del soggetto passivo che abbia concorso ad una frode iva mediante operazioni soggettivamente inesistenti.
Secondo la prospettazione difensiva dell’ufficio il quadro indiziario a carico della società, alla luce della disciplina invocata e della giurisprudenza euro-unitaria, era idoneo a supportare l’atto impositivo, in applicazione del principio secondo cui l’indetraibilità dell’iva può escludersi solo per quei soggetti passivi esenti da colpa per non avere o non poter avere conoscenza della partecipazione ad una frode iva. La commissione regionale avrebbe invece valorizzato elementi inidonei a superare tale principio.
Il motivo è infondato per le ragioni che si espongono.
Deve premettersi che il caso di specie ha riguardo alla contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di una frode carosello attuata nel commercio di materiale ferroso, nella quale -secondo la prospettazione dell’Amministrazione finanziaria- si riteneva coinvolta l’odierna controricorrente, per aver acquistato in regime di inversione contabile rottami ferrosi dalle società C. s.r.l e R. s.r.l., ritenute società cartiere.
Ciò chiarito, con riguardo alle modalità di utilizzo e valorizzazione delle prove indiziarie, di cui il ricorso denuncia sostanzialmente un malgoverno, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 cod. civ. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluto al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass., 26 gennaio 2007, n. 1715; 5 maggio 2017, n. 10973; 15 novembre 2021, n. 34248; cfr. anche, 13 ottobre 2005, n. 19984).
Peraltro, ai fini dell’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva, che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti accertati dalla amministrazione (Cass., 8 aprile 2009, n. 8484; 15 gennaio 2014, n. 656; 26 settembre 2018, n. 23153; 28 aprile 2021, n. 11162), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova.
La giurisprudenza di legittimità ha peraltro tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi ( ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (ex multis, cfr. Cass., 16 maggio 2017, n. 12002; 12 aprile 2018, n. 9059; 25 ottobre 2019, n. 27410). Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
Quanto poi alla contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno in una frode carosello, questa Corte ha affermato che in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga a tale tipo di operazioni, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza nel destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, sul contribuente, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, grava la prova contraria di avere adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851; 30 ottobre 2018, n. 27566; 20 luglio 2020, n. 15369). Peraltro, con riguardo al regime del reverse charge o inversione contabile, si è affermato che in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia della UE, il diritto di detrazione dell’imposta relativa ad un’operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario: a) abbia egli stesso commesso un’evasione dell’IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione s’iscriveva in una simile evasione; b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA. È stato nello specifico chiarito che«[. ] 2.8. una recente ordinanza di questa stessa sezione (Cass. n. 1703 del 20/01/2022) – rimettendo alle Sezioni Unite la questione volta a verificare l’applicabilità della normativa sanzionatoria sopravvenuta introdotta dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha novellato l’art. 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 – ha fatto il punto sulla detraibilità dell’IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti in regime d’inversione contabile (reverse charge), intervenendo proprio in tema di disciplina nazionale per il commercio dei rottami ferrosi, qui in rilievo; 2.8.1. come si legge nell’ordinanza menzionata, nel caso di reverse charge, la fattura è emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni stabilite dagli artt. 21 ss. del d.P.R. n. 633 del 19 72 ( nella presente controversia, peraltro, trova applicazione la versione dell’art. 21 antecedente alle modifiche apportate dall’art. 31 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158) e con l’indicazione, prevista dall’art. 74, ottavo comma, del medesimo decreto, che si tratta di operazione con IVA non addebitata in via di rivalsa; 2.8.2. la fattura è quindi integrata, con la specificazione dell’aliquota e dell’imposta, dal cessionario, soggetto passivo dell’imposta, che la registra nel proprio registro delle vendite, in tal modo assolvendo l’obbligo di pagamento del tributo, successivamente detratto con la parallela annotazione nel registro degli acquisti; 2. 9. la Corte di giustizia (CGUE 11 novembre 2021, in causa C-281/20, Ferimet SL), che si è di recente occupata per la prima volta della disciplina del reverse charge in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, ha stabilito che la direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28/11/2006 (direttiva IVA), letta in combinazione con il principio di neutralità fiscale, dev’essere interpretata nel senso che a un soggetto passivo va negato l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA relativa all’acquisto di beni che gli sono stati ceduti, qualora tale soggetto passivo abbia consapevolmente indicato un fornitore fittizio sulla fattura che egli stesso ha emesso per tale operazione nell’ambito dell’applicazione del regime dell’inversione contabile, se, tenuto conto delle circostanze di fatto e degli elementi forniti da tale soggetto passivo, mancano i dati necessari per verificare che il vero fornitore aveva la qualità di soggetto passivo o se è sufficientemente dimostrato che tale soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s’iscriveva in una simile evasione; 2. 9.1. è stato, altresì, evidenziato che, sebbene non sia in contrasto con il diritto della UE esigere che un operatore agisca in buona fede, non è necessario dimostrarne la malafede per negargli il diritto di detrazione (CGUE in causa 281/20, cit., punto 58; conf., CGUE 14 aprile 2021, in causa C-108/20, Finanzamt Wilmersdorf, punti 30 e 31),
2.9.2. anzi, il fatto che il soggetto passivo che ha emesso la fattura vi abbia consapevolmente menzionato un fornitore fittizio «è un elemento rilevante tale da indicare che il soggetto passivo in questione era cosciente di partecipare a una cessione di beni che si iscriveva in un’evasione dell’IVA» (CGUE in causa C-281/20, cit., punto 53); 2.9.3. del resto, sul piano generale, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA va negato se mancano i dati necessari per verificare che il fornitore del soggetto che lo invoca abbia la qualità di soggetto passivo (CGUE 9 dicembre 2021, in causa C-154/20, Kemwater ProChemie s.r.o., punto 41); 2.9.4. in piena coerenza con quanto affermato dalla Corte di giustizia, l’orientamento consolidato della 5. C. è nel senso che l’IVA non è detraibile, ancorché risulti l’apparente osservanza dei requisiti formali, ove manchi la corrispondenza de/l’operazione fatturata con quella in concreto realizzata; e ciò anche nel caso di applicazione del regime dell’inversione contabile (Cass. n. 16679 del 09/08/2016; Cass. n. 2862 del 31/01/2019; Cass. n. 3599 del 13/02/2020; Cass. n. 14853 del 13/07/2020; Cass. n. 16367 del 30/07/2020; Cass. n. 21677 del 08/10/2020; Cass. n. 9394 del 09/04/2021); 2.10. tale assenza di coincidenza tra requisiti formali (regolarità della fattura, nella quale il cedente è apparentemente un soggetto passivo IVA) e requisiti sostanziali (mancata corrispondenza tra l’effettivo fornitore, che potrebbe non essere un soggetto passivo IVA, e il cedente indicato in fattura) si verifica in maniera evidente nel caso in esame, in cui, come emerge dalla sentenza impugnata, la contribuente ha emesso autofatture ai fini della detrazione dell’IVA, indicando consapevolmente nelle stesse un soggetto passivo del quale ben conosceva la fittizietà, in ragione dei molteplici elementi indiziari sopra riferiti al§ 2.3, e senza che vi siano elementi per individuare il vero fornitore ed affermare che lo stesso sia un soggetto IVA; 2.10.1. in un’ipotesi siffatta, pertanto, non rileva tanto la (più generale) conoscenza della frode IVA […. ] ovvero la partecipazione o conoscenza di tale disegno criminoso da parte di[ …] s.r.l., essendo, invece, rilevante la conoscenza, da parte della società contribuente, della inesistenza del soggetto passivo (fornitore) indicato in fattura e la mancanza di elementi idonei ad individuare l’effettivo fornitore quale soggetto passivo IVA» (Cass., n. 4250/2022 cit.).
Ebbene, occorre verificare se, soprattutto alla luce della più recente giurisprudenza di questa Corte e della Corte di Giustizia UE, che da ultimo ha ricostruito i presupposti della indetraibilità dell’Iva in operazioni soggettivamente inesistenti quando afferenti ad operazioni compiute in regime di inversione contabile, la sentenza ora al vaglio del collegio sì sia discostata dai principi enunciati.
L’esito del vaglio esclude l’erroneità della decisione.
La Commissione regionale ha ritenuto di valorizzare gli elementi obiettivi emersi in sede di contraddittorio processuale: a) la totale estraneità della contribuente dalle indagini penali sin dall’origine; b) l’acquisto di rottami ferrosi mediante un broker e il trasporto del materiale attraverso terzo e non direttamente dall’acquirente, secondo la “prassi usuale” del luogo; c) il pagamento del suddetto materiale attraverso operazioni bancarie tracciabili; d) il passaggio del materiale presso una acciaieria di Piombino per vari trattamenti tecnici; e) l’impiego del materiale trattato nella realizzazione di uno stabilimento nell’area di Civitavecchia, entrato in funzione nel 2009.
Dal vaglio complessivo degli elementi allegati al processo la Commissione regionale ha tratto la prova non solo della “realità” delle operazioni, ma, per quello che qui interessa, alla luce della più recente giurisprudenza di questa Corte e della Corte di Giustizia, che il cessionario contribuente non aveva commesso alcuna evasione Iva, che il cessionario contribuente aveva utilizzato sistemi di pagamento trasparenti, che il cessionario-contribuente non solo incolpevolmente non poteva conoscere della evasione iva perpetrata da altri soggetti -coinvolti invece nella frode carosello-, ma soprattutto, per le stesse modalità seguite nell’acquisto del materiale e per le forme trasparenti di pagamento, non era consapevole di indicare nelle fatture un cedente-fornitore “fittizio”.
Si tratta di un accertamento in fatto fondato su una valutazione unitaria degli elementi, che non evidenzia errori nel governo delle prove indiziarie, così che esso resta riservato al giudice di merito.
In realtà l’Agenzia delle entrate, insistendo nella valorizzazione degli elementi indiziari a suo dire più pertinenti alla ricostruzione della vicenda, non illumina sugli errori d’interpretazione delle regole di formazione della prova presuntiva, non avvedendosi che suoi indizi non erano evidentemente sufficienti a far emergere la realtà fattuale da essa pretesa. Peraltro, insistendo in questa sede sulla pregnanza dei propri indizi, non si avvede che tenta una rivalutazione delle prove, inammissibile in questa sede.
Il motivo va pertanto rigettato e con esso l’intero ricorso.
All’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente nelle spese di causa, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione in favore della controricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 13.000,00 per competenze, € 200,00 per esborsi ìoltre spese generali nella misura forfettaria del 15% e accessori come per legge.
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