Corte di Cassazione ordinanza n. 27921 depositata il 23 settembre 2022
vizio di omessa pronuncia – atto impositivo nei confronti della società fondato sulle indagini relative alle movimentazioni bancarie relative ai conti correnti del socio e legale rappresentante della società
Rilevato che
Dal ricorso e dalla pronuncia impugnata si evince che all’esito di una verifica condotta dalla GdF e di indagini bancarie eseguite ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, alla Dynaweb s.r.l., che non aveva dichiarato redditi e non aveva provveduto alla regolare tenuta delle scritture contabili, fu notificato un avviso d’accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate rideterminò il reddito relativo all’anno 2013, recuperando la relativa Ires, l’Irap e l’Iva.
La società impugnò l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, che con sentenza n. 14686/26/2017 ne accolse le ragioni. L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, pur nella contumacia della società, fu rigettato con sentenza n. 1570/08/2019, ora al vaglio di questa Corte. Il giudice regionale ha evidenziato che né nel processo verbale di constatazione, redatto dalla GdF all’esito della verifica, né nell’avviso d’accertamento si spiega perché le movimentazioni bancarie dei conti personali del legale rappresentante siano state ricondotte alla società, escludendosi che la contribuente fosse una società di persone o una società di capitali a ristretta base partecipativa. Ha ritenuto che in ogni caso la documentazione allegata in sede processuale non presentava anomalie e le operazioni risultavano giustificate o la natura dell’operazione ne escludeva la riconducibilità al reddito sociale.
L’Agenzia delle entrate ha censurato con tre motivi la sentenza, di cui ne ha chiesto la cassazione. La società è rimasta intimata.
Nell’adunanza camerale del 4 maggio 2022 la causa è stata trattata e decisa.
Considerato che
Deve preliminarmente esaminarsi la correttezza della notificazione del ricorso alla società. Agli atti risultano tre notificazioni, formalmente tutte tempestive. La prima risulta eseguita a mezzo pec l’8 luglio 2019, presso il difensore del giudizio di primo grado, Orazio Milano. Risulta che questi abbia accettato la notifica. L’Agenzia delle entrate, successivamente alla notificazione a mezzo di posta elettronica certificata, ha notificato l’atto anche presso la sede della società. A tal fine risulta un primo tentativo di notificazione a mezzo posta, eseguita l’11 luglio 2019 dall’ufficiale giudiziario, all’indirizzo di via Cottrau Alfredo n. 50 in Castellamare di Stabia, ove il destinatario risultava però sconosciuto. Una ulteriore notifica, ai fini del rinnovo della notificazione, risulta eseguita il 10 settembre 2019 ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., presso il medesimo indirizzo, previa verifica della sua rispondenza a quello risultante presso l’anagrafe tributaria. Anche in
questo caso nella relata risulta che la contribuente fosse sconosciuta. E’ tuttavia, a prescindere dalle irregolarità delle notifiche successive alla prima, questa risultava già compiutamente efficace, atteso il principio secondo cui, per il peculiare regime di notificazione degli atti nel processo tributario, disciplinato dagli artt. 16 e 17 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, le notificazioni sono eseguite, salva la consegna a mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio. L’indicazione della residenza e del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi di giudizio (cfr. Cass., 20 giugno 2008, n. 16848; 7 dicembre 2016, n. 25117; entrambe in fattispecie, come quella presente, in cui la notifica del ricorso in cassazione era stata effettuata presso il domicilio che la parte, rimasta contumace in secondo grado, aveva eletto per il primo grado di giudizio).
Esaminando allora il merito, con il primo motivo l’ufficio si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., quanto all’omessa pronuncia su specifiche censure, svolte dall’Agenzia delle entrate in sede d’appello.
Con il secondo motivo l’ufficio ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 e dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, degli artt. 132, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., quanto alla “nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione”.
I due motivi trovano trattazione congiunta per essere tra loro connessi. In sintesi nel ricorso si afferma che il giudice regionale non avrebbe tenuto conto che l’accertamento era fondato sul riscontro della omessa indicazione del reddito da parte della società e dell’omessa tenuta delle scritture contabili e che tali circostanze avevano indotto i verbalizzanti ad indagare sui conti personali del legale rappresentante della società, Russo Nicola. Inoltre il collegio regionale non aveva considerato le singole operazioni bancarie, pur evidenziate nel processo verbale di constatazione e nell’atto impositivo, focalizzandosi invece su altri importi e comunque non spiegando per quale ragione la documentazione bancaria prodotta dalla contribuente non presentasse anomalie.
I motivi sono per alcuni aspetti inammissibili, e per altri infondati.
Va intanto chiarito che per quanto emerge dai passaggi difensivi del ricorso, in cui sono riprodotte le risultanze del processo verbale di constatazione, così come dalle motivazioni complessive poste a sostegno delle censure, l’atto impositivo nei confronti della società fu fondato sulle indagini relative alle movimentazioni bancarie relative ai conti correnti del socio e legale rappresentante della società. La circostanza che la società non avesse dichiarato redditi o avesse omesso la tenuta delle scritture contabili, ai fini della valutazione della correttezza dell’avviso d’accertamento impugnato, costituisce pertanto un antecedente fattuale, che tuttavia perde rilevanza rispetto alle modalità concrete con cui l’Amministrazione finanziaria ha inteso ricostruire il reddito della società (poteva diversamente optare per un accertamento induttivo puro ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973).
Ciò premesso, va rammentato che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Tale vizio non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass., 9 maggio 2007, n. 10636; 29 gennaio 2021, n. 2151). Infatti, poiché il vizio di omessa pronuncia si concretizza nel difetto del momento decisorio, si è condivisibilmente affermato che per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto: il che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte ovvero quando egli pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio. Escluso il vizio di omessa pronuncia, il mancato esame di un motivo giustifica peraltro l’annullamento, da parte della Suprema Corte, della sentenza impugnata a condizione che le questioni di fatto, proposte con il motivo non esaminato, siano decisive ai fini dell’accertamento dei fatti sui quali si fonda la pretesa punitiva dell’amministrazione ovvero che, trattandosi di questioni in diritto, le stesse non siano infondate: nel primo caso dovendo essere denunciato un vizio di motivazione, nel secondo un vizio di violazione di legge (Cass., Cass. 18 febbraio 2005, n. 3388; 3 marzo 2020, n. 5730).
Nel caso di specie le doglianze della Amministrazione finanziaria afferiscono alle argomentazioni allegate a sostegno della pretesa impositiva, non a specifici ed autonomi motivi ignorati dal giudice d’appello, la cui pronuncia ha invece un inequivoco contenuto decisorio.
Ciò esclude anche l’apparenza della motivazione, denunciata con il secondo motivo di ricorso.
Peraltro la motivazione della sentenza, condivisa o meno dalla ricorrente, ha evidenziato correttamente che gli esiti dell’attività di verifica e l’avviso di accertamento erano fondati su indagini bancarie su conti del socio e non della società; ritenendo assenti riscontri sulla composizione della società a ristretta partecipazione, ha rilevato l’assenza di motivi che giustificassero la riconducibilità alla società delle movimentazioni bancarie operate sui conti del socio, ancorché amministratore; ha esaminato la documentazione allegata dalla società a controprova di alcune delle più significative movimentazioni bancarie ricondotte a reddito della società – secondo le regole di distribuzione dell’onere probatorio nelle ipotesi di indagini bancarie ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973- ritenendole giustificate dal contribuente (l’accredito di € 110.000,00 riconducibile al contratto di mutuo) o escludendone la natura di versamento (€ 45.000,00 configurante una garanzia di tipo personale).
Per un verso le argomentazioni addotte dal giudice regionale escludono un vizio della pronuncia, come omessa o apparente, per altro verso, a fronte di esse, non emerge una critica specifica da parte della Amministrazione finanziaria ricorrente.
I due motivi vanno dunque rigettati.
Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., quanto al malgoverno della normativa sulle indagini bancarie, nonostante “i suoi forti legami con la società” e la circostanza che questa fosse attiva e allo stesso tempo dichiarasse zero redditi, omettendo di tenere una regolare contabilità.
Il motivo è inammissibile perché è generico nella critica rivolta alla sentenza e mostra di non aver colto il senso delle argomentazioni del giudice regionale, che, sia pur sinteticamente e a fronte di una accertamento fondato su indagini bancarie, ha rilevato la assenza di riscontri oggettivi (quali la ristretta base partecipativa alla società di capitali) per ricondurre prelevamenti e versamenti riscontrati sul conto corrente del socio amministratore al reddito sociale occultato; in ogni caso per alcuni dei movimenti bancari ne ha escluso la riconducibilità o la natura reddituale.
Il ricorso va pertanto rigettato. Essendo rimasta intimata la società, nulla va liquidato a titolo di spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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