Corte di Cassazione ordinanza n. 28047 depositata il 26 settembre 2022

IRES – cessione del credito

Rilevato che:

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre, con un unico motivo, nei confronti della Banca Ifis s.p.a. (incorporante la Toscana Finanza s.p.a.), che resiste con controricorso e successiva memoria, avverso la sentenza in epigrafe con la quale la C.t.r. del Lazio ha rigettato l’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza con la quale la t.p. di Viterbo aveva accolto il ricorso del contribuente avverso il silenzio rifiuto frapposto dall’Ufficio all’istanza di rimborso di euro 23.128,00.

2. La società, in virtù di scrittura del 30 giugno 2008, aveva acquistato dalla Cubitar r.l., già dichiarata fallita e rappresentata dal curatore, il credito Ires generato dalle ritenute fiscali applicate sugli interessi attivi maturati alla data del 31 dicembre 2007 sui depositi bancari liquidati dagli Istituti di Credito. Successivamente, la procedura, nel Modello Unico 2009 presentato in riferimento al periodo fallimentare, aveva quantificato il credito Ires; conseguentemente, la cessionaria, a seguito della presentazione della dichiarazione fiscale, in data 8 gennaio 2010, aveva notificato la cessione del credito. L’Ufficio, tuttavia, non aveva provveduto al rimborso, nemmeno a seguito di sollecito.

3. La C.t.p., in accoglimento del ricorso spiegato dalla contribuente, aveva riconosciuto il diritto al rimborso disattendendo l’assunto dell’Ufficio secondo cui l’atto di cessione non era opponibile, avendo ad oggetto un credito futuro, in quanto al momento della cessione la richiesta di rimborso dell’Ires non era stata ancora evidenziata nella dichiarazione annuale.

4. La C.t.r. confermava la sentenza di primo grado evidenziando che al momento della notifica della cessione il credito era già venuto ad esistenza e che era irrilevante che l’accordo tra le parti fosse antecedente.

5. Con ordinanza del 10 settembre 2020, questa Corte, rilevato che la questione rilevante nel giudizio era stata rimessa alle Sezioni Unite (Cass. 28/05/2020, n. 10129) disponeva rinvio a nuovo ruolo.

6. La controricorrente ha, successivamente, depositato ulteriore memoria.

Considerato che:

1. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 43-bis P.R. 29 settembre 1973, n. 602, del D.M. 30 settembre 1997, n. 384, degli artt. 1260 e 1321 cod. civ.

L’Ufficio censura la sentenza impugnata per aver ritenuto legittima la cessione del credito, sebbene le norme citate ne subordinassero la legittimità alla presentazione della dichiarazione dei redditi ed alla indicazione in essa della richiesta di rimborso, e per aver ritenuto sufficiente l’esistenza del credito al momento della notifica della cessione. Assume, in particolare, che in materia di rimborsi delle imposte dirette il credito deve già essere sorto per poter essere ceduto, essendo necessaria l’indicazione nella dichiarazione e che quel che rileva, ai fini di qualificare il credito come futuro o meno, è il momento del perfezionamento della cessione.

2. Il motivo è infondato. 

Le Sezioni Unite di questa Corte, componendo il contrasto concernente la valutazione del rapporto tra il sistema della tassazione in acconto fissato dall’art. 26, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e la tassazione del reddito delle procedure concorsuali liquidatorie, e risolvendo la questione di massima di particolare importanza con riferimento alla circolazione dei crediti delle procedure concorsuali, hanno chiarito che, ai fini della cessione, non rileva che il credito sia esposto nella dichiarazione, la quale non ha natura negoziale o comunque dispositiva, ma è esternazione di scienza o di giudizio. (Come già ritenuto da Cass., Sez. U., 30/06/ 2016, n. 13378); rileva, piuttosto, che esso scaturisca da uno specifico rapporto tributario e che, in quanto tale, sia qualificabile come credito futuro o che derivi da rapporti tra cedente e ceduto anche soltanto eventuali al momento della cessione (Cass., Sez. U., 04/02/2021 n. 2608).

Le Sezioni Unite, di conseguenza, hanno formulato il seguente principio di diritto che, se pure riferito ad un’ipotesi in cui la cedente era in liquidazione coatta amministrativa, è applicabile anche al fallimento: «In tema di circolazione dei crediti delle procedure concorsuali, posto che il credito ires da eccedenza d’imposta versata a titolo di ritenuta d’acconto nasce in esito e per l’effetto del compimento delle attività di liquidazione, di modo che la dichiarazione concernente il maxiperiodo concorsuale comporta soltanto la rilevazione di un credito già sorto, valida ed efficace tra cedente e cessionario è la cessione di quel credito operata dal commissario liquidatore di una società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa antecedentemente alla cessazione della procedura, benché non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto».

Nel caso in esame, analogo a quello trattato dalle Sezioni Unite, quando è stato ceduto, il credito non si poteva dire certo, perché erano in corso le attività di liquidazione dalle quali sarebbe scaturito (anzi, proprio la cessione in questione, che ha prodotto un provento, ha costituito una di quelle attività). Il credito è divenuto certo e attuale, tuttavia, al termine di quelle operazioni, che hanno individuato la materia imponibile. Tanto è avvenuto durante la pendenza della procedura.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

4. La sussistenza del contrasto, risolto dalle Sezioni Unite successivamente alla proposizione del ricorso, è motivo di compensazione delle spese di giudizio.

5. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese di lite.