Corte di Cassazione ordinanza n. 28079 depositata il 27 settembre 2022

nullità della sentenza che non si pronunci – decadenza dall’accertamento con adesione 

Rilevato che

I ricorrenti hanno proposto ricorso avverso la sentenza n. 809/06/2014, pronunciata dalla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, che ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza del giudice di primo grado, rigettando il ricorso introduttivo dei contribuenti avverso l’avviso d’accertamento con cui l’ufficio aveva rideterminato l’imponibile della società ai fini Iva ed Irap, relativamente all’anno d’imposta 2005, nonché il reddito di partecipazione dei soci.

Nel ricorso si riferisce che l’atto impositivo era stato impugnato dalla società e dai soci, eccependone vizi di notificazione alla società, nonché questioni di validità del procedimento amministrativo, incidenti sulla validità stessa dell’atto (mancanza del processo verbale di chiusura delle operazioni, o del processo verbale di constatazione; mancato rispetto del contraddittorio per violazione del termine previsto dall’art. 12, comma 7, della I. 26 luglio 2000, n. 212); infine erano state sollevate questioni di merito afferenti l’accertamento e la rideterminazione dell’imponibile, tenendo conto degli esiti del procedimento di definizione con adesione, concordata tra le parti ma dalla quale l’ufficio aveva ritenuto che i contribuenti fossero decaduti per mancata prestazione della garanzia prescritta dall’art. 8, comma 2, del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (ratione temporis vigente).

La Commissione tributaria provinciale di Pescara, con sentenza 151/03/2011, rigettò tutte le eccezioni formulate dai contribuenti e dall’Agenzia delle entrate, rideterminando l’imponibile nella misura concordata dalle parti in sede di procedimento di definizione con adesione.

La pronuncia fu impugnata dall’Amministrazione finanziaria dinanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, che con la sentenza ora al vaglio della Corte accolse l’appello. Il giudice di secondo grado, dopo aver superato le questioni di inammissibilità, ha accolto le doglianze dell’ufficio relativamente alla rideterminazione dell’imponibile secondo gli importi emersi in sede di procedimento con adesione. Ha in particolare sostenuto che, decaduta la contribuente dalla definizione con adesione delle pendenze fiscali -per mancata prestazione della garanzia prevista dall’art. 8, comma 2, cit.-, il giudice di primo grado aveva errato nel rideterminare il debito tributario secondo gli accordi raggiunti in sede di adesione. Ha pertanto confermato nella sua interezza l’avviso di accertamento, rigettando dunque integralmente il ricorso introduttivo dei contribuenti.

I ricorrenti hanno censurato la sentenza affidandosi a tre motivi, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Nell’adunanza camerale del 7 aprile 2022 la causa è stata trattata e decisa.

Considerato che

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia la nullità della pronuncia per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché il giudice regionale ha omesso di decidere sulle ragioni spiegate con il ricorso a sostegno della richiesta di annullamento dell’atto impositivo;

con il secondo motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quanto alla valutazione dell’incidenza sull’esito dell’accertamento della documentazione allegata dai contribuenti in sede di accertamento con adesione, al fine di ridimensionare l’entità del maggior imponibile richiesto dall’Agenzia delle entrate, nonché sulla erroneità della decurtazione forfettaria dei costi, ai sensi del ci.I. n. 853 del 1984 (cd. Visentini ter);

con il terzo motivo si duole dell’omessa applicazione alla fattispecie delle disposizioni introdotte nel corso della controversia dal ci.I. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in I. 15 luglio 2011, n. 111, che aveva escluso la prestazione di garanzia alle definizioni con adesione.

Il primo motivo è fondato. Dopo essere decaduti dalla definizione del procedimento di accertamento con adesione -per aver concordato con l’Agenzia l’entità del maggior imponibile e la rateizzazione del suo versamento, senza tuttavia prestare la garanzia prevista dall’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 218 del 1997-, i ricorrenti avevano impugnato l’atto impositivo sollevando questioni di regolarità del procedimento accertativo e contestando nel merito gli esiti dell’accertamento stesso. Ciò con riguardo tanto alla quantificazione delle operazioni quanto alla percentuale forfettaria di costi deducibili. Alla decisione del giudice di primo grado, che, superate le eccezioni, si era poi limitato a determinare il debito fiscale nella misura quantificata in sede di procedimento di definizione con adesione, era seguita la pronuncia ora impugnata dinanzi alla Corte, con la quale la Commissione regionale, vagliate e superate le eccezioni preliminari, sollevate anche in sede d’appello -e ora non più oggetto di discussione-, aveva esaminato il merito della controversia. A tal fine tuttavia il giudice d’appello ha vagliato le modalità di rideterminazione dell’imponibile da parte della commissione provinciale, limitandosi a rilevare che alla caducazione del procedimento di definizione con adesione del rapporto giuridico «si ripristina nella sua totalità l’originaria pretesa impositiva contenuta nell’accertamento». Con ciò ha dunque ritenuto che degli esiti dell’adesione il giudice di primo grado non avrebbe più dovuto tenerne conto. Evidenziato l’errore in cui era incorsa la commissione di primo grado, ha riconosciuto fondata la pretesa fiscale dell’Agenzia delle entrate nella sua integrale determinazione. Sennonché, così decidendo, ha omesso del tutto di pronunciarsi sulle ragioni che già con il ricorso introduttivo erano state articolate dai contribuenti in ordine alla determinazione dell’imponibile. La sentenza risulta pertanto viziata dall’omessa pronuncia sulle ragioni di merito che i contribuenti avevano tempestivamente esternato nel ricorso introduttivo. Ciò importa la nullità della decisione.

L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo.

È invece infondato il terzo. Con esso i ricorrenti assumono l’erronea omessa applicazione del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni in l. 15 luglio 2011, n. 111. Nello specifico sostengono che il comma 20 dell’art. 23 del citato d.l. avrebbe reso valida la definizione con adesione, concordata con l’Amministrazione finanziaria, che ne aveva poi dichiarato la decadenza per mancata prestazione della garanzia prevista dall’art. 8, comma 2, del d.lgv. 19 giugno 1997, n. 218, regolante le ipotesi di versamenti rateizzati delle somme concordate.

Sennonché la soppressione dell’obbligo di prestazione di garanzia fideiussoria è intervenuta solo con il menzionato l’art. 23, commi 17/19, del d.l. n. 98 del 2011. Peraltro il comma 20 del medesimo articolo ha specificato che «Le disposizioni di cui ai commi da 17 a 19 non si applicano agli atti di adesione, alle definizioni ai sensi dell’art. 15 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 ed alle conciliazioni giudiziali già perfezionate, anche con la prestazione della garanzia, alla data di entrata in vigore del presente decreto». Poiché la definizione con adesione, concordata tra le parti, ma dalla quale l’ufficio aveva ritenuto che i contribuenti fossero decaduti per mancata  prestazione  della  garanzia,  risaliva  ad  epoca  ben  anteriore all’introduzione del d.l. n. 98 del 2011, risultano del tutto incomprensibili le ragioni per le quali i contribuenti hanno formulato il terzo motivo. Al contrario di quanto preteso dalla difesa dei contribuenti, il comma 20 dell’art. 23 cit., prevedendo l’inapplicabilità dei commi 17/19, che hanno soppresso quelle prescrizioni di garanzia, non riesuma definizioni con adesione non andate a buon fine, all’inverso intendendo preservare le garanzie rilasciate in occasione delle definizioni con adesione concluse in epoca anteriore all’entrata in vigore del d.l. n. 98 del 2011.

A tal fine questa Corte ha già affermato che in tema di concordato con adesione del contribuente, l’art. 23, commi 17 e 18, del d.l. n. 98 del 2011, nel modificare la disciplina di cui agli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 218 del 1997, ha eliminato l’obbligo di prestare la garanzia fideiussoria, nel caso di somme dovute, per effetto dell’accertamento con adesione, con versamento rateale e per importi superiori a cinquantamila euro, solo dalla data della sua entrata in vigore (Cass., 4 agosto 2020, n. 16646).

Il motivo va dunque rigettato.

La sentenza va pertanto cassata nei termini di cui in motivazione e il processo va rinviato alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, in diversa composizione, che, oltre che liquidare le spese del giudizio di legittimità, deciderà tenendo conto dei principi di diritto esposti in motivazione.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, rigetta il terzo; cassa la sentenza per quanto accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.