Corte di Cassazione ordinanza n. 28121 depositata il 27 settembre 2022

motivazione apparente – vizio di motivazione, per omesso esame di fatti decisivi – omessa pronuncia su tutte le questioni formulate dalla contribuente in ordine alle singole movimentazioni bancarie – il contraddittorio spiega la sua piena efficacia solo a indagini e verifiche concluse, a seguito cioè della conoscenza del processo verbale di constatazione, o comunque dell’atto che chiude la verifica medesima, perché solo in quel momento, e prima che l’Agenzia delle entrate emetta un atto impositivo, al contribuente deve essere data la possibilità di interloquire e chiarire la propria posizione a fronte delle emergenze procedimentali – in tema di accertamenti bancari il contribuente deve fornire la prova analitica, non generica, della riferibilità di ogni singola movimentazione ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività

Rilevato che

All’esito di una verifica condotta dalla GdF e di indagini bancarie eseguite ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, alla D. s.r.l., che aveva omesso la presentazione di dichiarazioni e non aveva tenuto la contabilità dal 2008 al 2011 per dichiarata inattività, fu notificato un avviso d’accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate rideterminò il reddito relativo all’anno 2008 nella misura di € 381.800,00, recuperando la relativa Ires, l’Irap e l’Iva.

La società impugnò l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, che con sentenza n. 12088/09/2015 ne accolse le ragioni. L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania fu invece accolto con sentenza n. 605/49/2017, ora al vaglio di questa Corte. Il giudice regionale ha valorizzato la circostanza che la società avesse omesso la presentazione delle dichiarazioni dei redditi e la tenuta della contabilità. Ha ritenuto che, contrariamente a quanto affermato dal giudice provinciale, il contraddittorio era stato rispettato. Ha affermato che il riscontro delle movimentazioni bancarie non giustificate rendeva inattendibile la posizione fiscale della società. Ha giudicato corretto l’operato dell’Amministrazione finanziaria, che ha imputato a reddito le operazioni bancarie riscontrate, senza necessità di procedere ad un analitico esame di ciascuna di esse.

La contribuente ha censurato la sentenza con due motivi, ciascuno dei quali è suddiviso in tre distinte critiche. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Con distinto ricorso, portante il numero di ruolo 237/2018, la società ha impugnato la sentenza n. 4479/10/2017, depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania, che aveva confermato il rigetto del ricorso introduttivo statuito dal giudice di primo grado contro l’avviso di irrogazione delle sanzioni applicate all’esito dell’accertamento sul reddito relativo all’anno 2008.

Anche contro tale provvedimento la contribuente aveva adito la Commissione tributaria provinciale di Napoli, che con sentenza n. 27375/33/2015 aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso perché tardivo. L’appello proposto dalla società dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania era esitato nella sentenza ora al vaglio della Corte, che aveva riconosciuto la tempestività del ricorso, rigettando però nel merito l’impugnazione,  per  considerare  infondate  le  censure  sollevate  dalla contribuente  sulla  regolarità  dell’atto  irrogativo  delle  sanzioni  e  sulla esistenza dei presupposti delle medesime, in concreto riferibili al contenuto dell’avviso d’accertamento.

Tale pronuncia è stata censurata con tre motivi dalla contribuente, che ne ha chiesto la cassazione, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Nell’adunanza camerale del 4 maggio 2022, previa riunione dei procedimenti, la causa è stata trattata e decisa.

La società ha depositato in entrambi i giudizi memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.

Considerato che

Preliminarmente deve procedersi alla riunione del procedimento iscritto con n. 237/2018 di RG con quello, più vecchio, iscritto con n. 20406/2017 di RG, sussistendone le condizioni, per trattarsi di controversie generate dal medesimo accertamento, relativo ai redditi dell’anno d’imposta 2008, dei quali l’uno ha ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento, l’altro la comminazione delle sanzioni relazionate alle maggiori imposte accertate. Con il primo motivo del ricorso avverso l’avviso d’accertamento la ricorrente si duole della violazione dell’art. 41, n. 2, della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., quanto al mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale con riguardo all’accertamento sull’Iva; lamenta la violazione dell’art. 111, comma 6, della Costituzione, nonché degli artt. 132, quarto comma, cod. proc. civ., e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per motivazione apparente; denuncia infine l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.

Il secondo motivo del procedimento relativo alla irrogazione delle sanzioni ricalca le medesime censure.

Con il complesso motivo, che in realtà è sotto articolato nella denuncia di vizi di interpretazione della legge, vizi processuali e vizi motivazionali, la società critica la decisione per non aver riconosciuto la violazione del contraddittorio endoprocedimentale. A tal fine la società sostiene che quanto meno  in  riferimento  all’accertamento  dell’imposta  armonizzata,  l’Iva,

l’Amministrazione finanziaria era obbligata al rispetto del contraddittorio, pur in riferimento agli accertamenti bancari. Risultava peraltro ex actis, in considerazione delle difese addotte dalla società e in particolare delle giustificazioni allegate sin dal giudizio di primo grado per molteplici delle operazioni di versamento e prelevamento sui conti correnti appresi dalla GdF, che la contribuente aveva dimostrato di disporre della “prova di resistenza”. Ad un tempo, a fronte delle numerose spiegazioni rese nel processo dalla contribuente a giustificazione delle suddette operazioni, la motivazione della sentenza impugnata era meramente apparente e comunque ometteva l’esame delle suddette prove, rappresentative di fatti decisivi per il giudizio.

Il  primo motivo del giudizio  più vecchio è innanzitutto ammissibile perché l’invocazione di più ragioni di doglianza rivolti nei riguardi del provvedimento, tra quelli rubricati nell’art. 360 cod. proc. civ., non importa la confusa sovrapposizione di esse, risultando ciascuna trattata e spiegata autonomamente, così permettendo, ove necessario, l’esame separato (cfr. Sez. U, 6 maggio 2015, n. 9100; 17 marzo 2017, n. 7009; 23 ottobre 2018, n. 26790; 9 dicembre 2021, n. 39169). Esso è tuttavia infondato, sebbene la motivazione della sentenza vada corretta ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ.

La decisione sul punto dissente dalle conclusioni cui era pervenuta la Commissione provinciale (che aveva ritenuto violato il contraddittorio, riconoscendo peraltro la pertinenza delle giustificazioni addotte dalla contribuente per spiegare le operazioni bancarie di prelevamento e versamento). Ritiene che la sola lettura del processo verbale di constatazione era sufficiente a considerare che il contraddittorio fosse stato correttamente instaurato, e che dalla giurisprudenza di legittimità era possibile evincere principi opposti a quello applicato dal giudice di primo grado, in particolare che in materia di accertamento bancario il contraddittorio era meramente facoltativo.

La  motivazione  è  deficitaria  tanto  con  riguardo  alla  fattispecie dell’accertamento di una imposta armonizzata, quale l’Iva, quanto con riferimento alla completa obliterazione di una analisi sufficiente e dettagliata delle numerose giustificazioni, riportate nel ricorso, e che, dopo la redazione del processo verbale di constatazione e la sua comunicazione alla contribuente, quest’ultima avrebbe potuto già portare all’attenzione della Agenzia delle entrate prima della emissione dell’atto impositivo. E tuttavia il motivo di impugnazione, sotto tutti i profili di doglianza sollevati, non può trovare accoglimento.

Questa Corte ha affermato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Sez. U, 9 dicembre 2015, n. 24823), principio a cui è conforme la giurisprudenza successiva. Dal perimetro dell’obbligo del contraddittorio restano fuori pertanto le imposte non armonizzate, quando non espressamente prescritto dalla specifica legislazione e, quanto all’iva e a quelle armonizzate, le fattispecie in cui il contribuente non superi la prova di resistenza, cioè l’ipotesi in cui le ragioni che il contribuente lamenta di non aver fatto valere in occasione di un contraddittorio endoprocedimentale – qualora attuato- non avrebbero comunque determinato l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo, rivelandosi meramente dilatorie. Ciò che infatti rileva è la prova che la celebrazione del contraddittorio “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (cfr. Corte di Giustizia UE, 3 luglio 2014, in causa C-129 e C-130/13, Kamino International Logistics). D’altronde la distinzione è stata ulteriormente ribadita laddove, mentre si è affermato che la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa, in quanto l’invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari costituisce per l’Ufficio una mera facoltà, da esercitarsi in piena discrezionalità, e non un obbligo, sicché dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti (Cass., 20 dicembre 2019, n. 34209), di contro è stato anche avvertito che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’accesso, l’ispezione e la verifica nei locali destinati all’esercizio di una attività e la successiva autorizzazione all’espletamento delle indagini bancarie, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, costituiscono procedimenti distinti. Conseguentemente la questione del se l’accertamento sia fondato sulle sole risultanze bancarie o sia misto, ossia fondato anche sulla documentazione acquisita in sede di accesso, ispezione o verifica, deve essere prioritariamente accertata dal giudice di merito, dal momento che il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente trova applicazione solo nel secondo caso, ferma restando, per il tributo armonizzato, la valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, alla luce della cd. prova di resistenza (Cass., 30 giugno 2021, n. 18413). Da ciò trova conferma che, quanto alle imposte armonizzate, il principio del contraddittorio non può escludersi per il sol fatto che l’accertamento sia stato fondato solo su indagini bancarie.

Ebbene, affermare senza altri chiarimenti, come fa la Commissione tributaria regionale, che il contraddittorio nel caso di specie sarebbe stato rispettato nella fase delle indagini, non è sufficiente in rapporto alle imposte armonizzate, perché il contraddittorio spiega la sua piena efficacia solo a indagini e verifiche concluse, a seguito cioè della conoscenza del processo verbale di constatazione, o comunque dell’atto che chiude la verifica medesima, perché solo in quel momento, e prima che l’Agenzia delle entrate emetta un atto impositivo, al contribuente deve essere data la possibilità di interloquire e chiarire la propria posizione a fronte delle emergenze procedimentali. È in quel momento che l’Amministrazione chiarisce se e su cosa potrebbe fondare le contestazioni da indirizzare al contribuente con l’avviso d’accertamento.

E tuttavia ciò non implica l’insorgenza di un obbligo dell’Agenzia delle entrate di “audizione” del contribuente, cioè un obbligo di convocazione, soprattutto se mancano del tutto i presupposti da cui l’organo accertatore possa evincere l’intenzione del contribuente di contraddire sugli esiti della verifica. L’attuazione del contraddittorio trova invece piena applicazione, anche per le imposte armonizzate, nel realizzarsi della fattispecie prevista dall’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, ossia nel diritto del contribuente, entro sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, di comunicare osservazioni e richieste che sono valutate dall’ufficio impositore. Trattasi di una prescrizione generale, che non vale solo per le imposte non armonizzate, ma per tutte le imposte. Con quelle osservazioni, eventualmente, il contribuente potrà anche chiedere di essere sentito, ciò che costituirà peraltro non un obbligo per l’Amministrazione finanziaria ma solo una sollecitazione, che l’organo accertatore è libero di accogliere, non essendovi alcun principio da cui si evinca che il contraddittorio trovi attuazione esclusivamente con l’audizione, né dalla giurisprudenza euro­ unitaria è dato evincere un obbligo assoluto di audizione (ad es. cfr. Corte di Giustizia, 22.10.13, in causa C-276/12, Jirl Sabou). Questo perché anche l’interlocuzione scritta assicura il principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente.

Ebbene, nel caso di specie la società ha lamentato genericamente una violazione del contraddittorio endo-procedimentale, ma in realtà non ha neppure accennato se abbia trasmesso osservazioni ai sensi dell’art. 12 cit., e nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione del processo verbale di constatazione. Non risulta neppure invocata la violazione di quella norma, cui generalmente e comunemente la giurisprudenza riconduce la violazione dell’obbligo del contraddittorio.

Ne discende che manca il presupposto stesso delle doglianze articolate dalla contribuente.

Del tutto infondate sono poi le critiche rivolte alla pronuncia sotto il profilo della motivazione apparente, trattandosi al contrario di pronuncia che, a prescindere dalla condivisione e correttezza delle argomentazioni e conclusioni, evidenzia una analisi della vicenda; inammissibile poi è la critica rivolta al vizio di motivazione, per omesso esame di fatti decisivi, atteso il perimetro entro cui può svilupparsi la suddetta critica relativamente ad una sentenza pubblicata successivamente alla modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., dalla I. 7 agosto 2012, n. 134.

Le medesime conclusioni, per le stesse ragioni, vanno affermate con riferimento al secondo motivo del ricorso riunito.

Con il secondo motivo del giudizio più vecchio la società si duole della violazione degli artt. 112 e 346 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., quanto all’omessa pronuncia su tutte le questioni formulate dalla contribuente in ordine alle singole movimentazioni bancarie; lamenta la violazione dell’art. 111, sesto comma, Costituzione, dell’art. 132, quarto comma, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., per motivazione apparente, quanto alla conferma tout court dell’avviso di accertamento senza valutare le giustificazioni addotte dalla contribuente su una pluralità di operazioni bancarie; denuncia la violazione dell’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché degli artt. 32, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per non aver esaminato le singole contestazioni sollevate; si duole infine dell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quanto al medesimo profilo.

Premesso che, nonostante la pluralità di doglianze ricondotte ad un unico motivo, esso è ammissibile per le medesime ragioni esposte con riguardo al primo motivo, in sintesi la società ha denunciato che il giudice regionale, pur essendo state allegate agli atti le giustificazioni delle singole movimentazioni bancarie poste a base dell’accertamento, si è limitato a considerare inattendibile la posizione fiscale della società per il riscontro delle “movimentazioni bancarie non giustificate”, invocando la presunzione legale di riconduzione a reddito dei versamenti e dei prelevamenti, «senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni, la quale è posta a carico del contribuente, in virtù dell’inversione dell’onere della prova».

Il motivo è fondato per quanto appresso chiarito.

Va intanto ribadito che oggetto della controversia è un accertamento fondato sulla verifica dei conti correnti intestati alla ricorrente o al suo socio e legale rappresentante.

Questa Corte ha affermato che la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Ufficio di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, cui è tuttavia fatta salva la prova contraria (Cass., 15 maggio 2013, n. 11624; 27 febbraio 2019, n. 5777).

Peraltro, quanto al concreto atteggiarsi dell’onere probatorio, quello dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 cit., attraverso i dati e gli elementi  risultanti  dai conti  predetti,  determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., 27 giugno 2011, n. 14041; 26 aprile 2017, n. 10249; 29 luglio 2016, n. 15857; 20 marzo 2019, n. 7758). Non è dunque sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass., 18 settembre 2013, n. 21303; 11 marzo 2015, n. 4829).

Quello che viene richiesto al contribuente, a fronte delle risultanze bancarie addotte dalla Amministrazione, è la analiticità della prova allegata. La sua specificità ed analiticità consente infatti di superare la presunzione di attribuzione dei versamenti e dei prelevamenti emergenti dal conto corrente dell’imprenditore, perché alla specificità della prova contraria deve far seguito una valutazione del giudice altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato dal contribuente (ex multis, Cass., 28 novembre 2018, n. 30786; 5 maggio 2021, n. 11696; 18 novembre 2021, n. 35258; cfr. anche 8 ottobre 2020, n. 21700).

Pertanto, dalla stessa lettura delle norme, secondo la consolidata interpretazione resa dalla giurisprudenza di legittimità sull’art. 32 cit., così come sull’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i dati emergenti dall’esame delle movimentazioni bancarie sui conti correnti, a cui l’Amministrazione finanziaria abbia avuto accesso, sono presuntivamente riconducibili ad operazioni economiche del contribuente, e come tali confluiscono direttamente nel suo imponibile.

Si tratta tuttavia di presunzione legale relativa, che può essere contrastata dalla prova contraria allegata dal contribuente. Sotto tale ultimo profilo si è affermato che «Al fine del più ampio rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva, nel processo, che sia instaurato a seguito di accertamenti sintetici e induttivi per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto giuridico d’imposta, costituisce principio a tutela della parità delle parti quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione della inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere di allegazione il contribuente abbia provveduto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo. Il principio, a garanzia della parità e del regolare contraddittorio processuale per la corretta definizione del rapporto giuridico d’imposta, è tanto più pervasivo quanto più si rifletta sulla limitazione di accesso nel settore tributario ai mezzi di prova, in parte inibiti dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992» (Cass., 21700 del 2020 cit.).

Trattasi di un principio che a maggior ragione trova applicazione in tema di indagini bancarie e della previsione di una presunzione legale relativa in merito alla riconducibilità a reddito delle movimentazioni bancarie rilevate dagli organi accertatori.

Ebbene, nel caso di specie la difesa della società si era concentrata sin dal giudizio di primo grado, e poi in sede d’appello, nell’allegazione della documentazione o delle ragioni a giustificazione delle operazioni bancarie riscontrate dai militari verificatori. In osservanza del principio di autosufficienza nel ricorso la società ha riprodotto le spiegazioni e prove dei movimenti emergenti dai conti correnti riconducibili alla società, che si rivelano dettagliati e numerosi. Era a questo punto necessario che il giudice regionale, a fronte degli elementi addotti dalla contribuente a confutazione delle prove legali acquisite nell’accertamento, analizzasse la prova contraria.

Invece di ciò non  vi è traccia  nella  sentenza,  che è dunque esposta fondatamente alle critiche mosse nel secondo motivo, tanto sotto il profilo dell’errore di diritto nell’interpretazione delle norme, quanto sotto quello del vizio motivazionale.

Il motivo va in definitiva accolto.

Per le stesse ragioni trova accoglimento il terzo motivo del giudizio riunito.

Il primo motivo del giudizio riunito, quando ammissibile perché con esso ci si limita a lamentare l’errore processuale della mancata sospensione del processo ex art. 295 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., è comunque superato per la riunione e trattazione congiunta dei due procedimenti.

Le sentenze vanno in conclusione cassate nei limiti dell’accoglimento dei ricorsi, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, la quale, in diversa composizione, oltre che liquidare le spese del presente giudizio, dovrà riesaminare le ragioni della società contribuente facendo applicazione dei principi di diritto dispensati dalla Corte di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo del giudizio con RG n. 20406/2017; accoglie il terzo motivo, rigetta il secondo ed il primo motivo del giudizio riunito iscritto con RG n. 237/2018. Cassa le sentenze nei limiti dell’accoglimento dei rispettivi ricorsi e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.