Corte di Cassazione ordinanza n. 28163 depositata il 27 settembre 2022
il vizio di violazione del minimo costituzionale può essere rubricato solo nel caso di motivazione, oltre che graficamente assente, meramente apparente o palesemente illogica – il divieto di domande nuove previsto all’art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, trova applicazione anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria
RILEVATO CHE
1. La contribuente CDM SRL ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2006, con cui venivano disconosciute tre voci di costo, relative a tre fatture di acquisto, due emesse da CM S.a.s. (nn. 32, 56) e una dall’impresa B.V. (n. 18), fatture ritenute ascrivibili a costi inesistenti, con recupero di IRES, IRAP e IVA. L’avviso di accertamento traeva origine da un PVC, nel quale si contestava l’assenza di operatività degli emittenti, quale conseguenza dell’assenza di potenzialità operative, della mancanza di personale dipendente, della sproporzione delle prestazioni e dell’anomalia delle modalità di pagamento.
2. La CTP di Caserta ha accolto il ricorso.
3. La CTR della Campania, con sentenza in data 21 novembre 2013, ha parzialmente accolto l’appello dell’Ufficio in relazione a due delle tre fatture emesse (nn. 32 e 18). Ha ritenuto, in particolare, il giudice di appello – per quanto qui rileva – che, quanto alla prima fattura (n. 32 del 31.05.2006 emessa da CM SAS, avente ad oggetto lavori di potatura) che non vi fosse prova che, a quella data, l’immobile ove erano stati eseguiti i lavori fosse nella disponibilità della società contribuente, essendo il contratto di locazione dell’immobile successivo alla data della fattura ed essendo stato il contratto stipulato tra due società il cui socio di maggioranza era la medesima persona fisica. Quanto alla seconda fattura (n. 18 del 21.09.2006 dall’emittente B.V., avente ad oggetto lavori edili), non vi fosse prova che il pagamento fosse avvenuto, secondo la prassi commerciale, con ordinari strumenti di estinzione delle obbligazioni commerciali.
4. Propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a sei motivi; l’Ufficio si è costituito ai soli fini di partecipare all’udienza di discussione. Il difensore di parte ricorrente ha rinunciato al mandato.
CONSIDERATO CHE
1.1 Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 57 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui il giudice di appello ha confermato la legittimità del disconoscimento della fattura n. 32 emessa da CM S.a.s., valorizzando una domanda nuova dell’Ufficio. Osserva parte ricorrente di avere già contestato in grado di appello la novità della allegazione della circostanza della mancanza del possesso dell’immobile da parte della contribuente alla data della esecuzione della prestazione, dedotta sulla base della data di stipulazione del contratto di locazione in epoca successiva alla fattura, in quanto introdotta per la prima volta in grado di appello; il ricorrente deduce che gli elementi addotti in sede amministrativa dall’Ufficio riguardavano la mancanza di potenzialità operative dell’emittente, la sproporzione delle prestazioni e la anomalia delle modalità di pagamento. La circostanza in fatto introdotta dall’Ufficio in appello costituirebbe, ad avviso di parte ricorrente, nuova allegazione, non contenuta nella contestazione originaria, tale da mutare in appello la causa petendi della pretesa impositiva.
1.2 Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241, dell’art. 7 l. 27 luglio 2000, n. 212, nonché dell’art. 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui il giudice di appello ha confermato la legittimità del recupero relativo alla fattura n. 32 di cui al superiore motivo sulla base di fatti diversi da quelli indicati in sede amministrativa.
1.3 Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, violazione dell’art. 2697 cod. civ. e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato l’indeducibilità del costo della fattura n. 18 emessa dall’impresa B.V. per il fatto che non sarebbe verosimile il pagamento avvenuto per contanti. Osserva parte ricorrente come il giudice di appello avrebbe violato le regole di riparto dell’onere della prova, in quanto l’indizio addotto dall’Ufficio – il pagamento in contanti – non avrebbe significato univoco, atteso che il pagamento non era di importo esorbitante (€ 13.000,00) e, quindi, il pagamento in contanti costituirebbe – ad avviso del ricorrente – modalità di regolazione del debito del tutto verosimile secondo la prassi commerciale, con conseguente scarsa pregnanza presuntiva dell’elemento indiziario valorizzato dal giudice di appello, dovendosi avere riguardo alla ragionevole probabilità del rapporto tra fatto noto e fatto ignoto ai fini del ragionamento presuntivo.
1.4 Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 111, sesto comma Cost. e dell’art. 36, comma 4, d. lgs. n. 546/1992, nella parte in cui la sentenza impugnata ha negato rilevanza probatoria alla perizia di parte prodotta nel corso del giudizio di merito al fine di provare l’effettività del costo della fattura n. 18 emessa dall’impresa B.V., in quanto redatta a cinque anni dai fatti.
1.5 Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai fini dell’indeducibilità del costo della fattura n. 18 emessa dall’impresa B.V., fatto decisivo consistente nell’omessa valutazione della prova contraria dedotta dal contribuente avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori, risultante dalla produzione in giudizio della perizia di parte, già oggetto del superiore motivo.
1.6 Con il sesto motivo si deduce, in via gradata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., violazione dei principi generali del processo tributario e, in particolare, dell’art. 35, comma 2, d. lgs. n. 546/1992, dell’art. 111, secondo comma Cost. e degli artt. 112 – 113 cod. proc. civ. in combinato disposto con l’art. 2 d. lgs. n. 546/1992, per avere omesso di rideterminare l’obbligazione
2. Va preliminarmente dato atto che la rinuncia al mandato del difensore di parte ricorrente non ha incidenza nel presente giudizio, stante il principio della perpetuatio dell’ufficio di difensore di cui è espressione l’art. 85 cod. proc. civ. (Cass., Sez. VI, 8 novembre 2017, n. 26429), in conformità al principio della ultrattività del mandato (Cass., Sez. U., 4 luglio 2014, n. 15295), oltretutto in costanza del principio secondo cui il giudizio di cassazione è regolato dal potere di impulso di ufficio (Cass., Sez. III, 9 luglio 2009, n. 16121; Cass., Sez. I, 2 marzo 2000, n. 2309).
3. I primi due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati, dandosi continuità al principio costantemente affermato da questa Corte (Cass., Sez. V, 10 giugno 2021, n. 16461), secondo cui «nel contenzioso tributario il divieto di domande nuove previsto all’art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, trova applicazione anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, alla quale non è consentito, innanzi ai giudice d’appello, mutare i termini della contestazione, deducendo motivi diversi, sotto il profilo del fondamento giustificativo, da quelli contenuti nell’atto impositivo (Cass., 10/05/2019, n. 12467; 26/02/2020, n. 5160). E tuttavia la novità della domanda deve essere valutata non in riferimento alle controdeduzioni formulate in primo grado dall’Amministrazione finanziaria, bensì con riguardo ai presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento dell’atto impositivo oggetto di ricorso, poiché, per la natura impugnatoria del processo tributario e la conseguente veste di attore in senso sostanziale assunta dall’Ufficio, la pretesa impositiva è quella risultante dall’atto impugnato sul piano del petitum come della causa petendi (Cass., 28/06/2012, n. 10806; cfr. anche 27/06/2019, n, 17231)».
4. Nel caso di specie, il giudice di appello ha fondato l’accoglimento dell’appello dell’Ufficio sulla circostanza in fatto, costituita dall’assenza di possesso del bene immobile oggetto di potatura all’atto dell’emissione della fattura, circostanza non contenuta nell’avviso impugnato (doc. 2 ricorrente). Il fatto nuovo, costituito dall’assenza di possesso del bene immobile, è stato introdotto in grado di appello – e tempestivamente contestato dal ricorrente, come risulta dalla sentenza impugnata – ed è stato fondato su un nuovo elemento in fatto, costituito dalla allegazione del contratto di locazione stipulato in epoca successiva alla emissione della fattura. Tale nuova circostanza in fatto è tale da modificare il quadro indiziario addotto dall’Ufficio, in relazione alla quale parte ricorrente non aveva avuto occasione di difendersi in primo grado. La sentenza va, pertanto, cassata sul punto.
5. Il terzo motivo è inammissibile, in quanto parte ricorrente mira a rivalutare, con il vizio di violazione di legge, un accertamento in fatto compiuto dal giudice di appello relativo alla pregnanza di un elemento indiziario, costituito dal giudizio di implausibilità del pagamento per contanti in relazione all’importo complessivo della prestazione (€ 000,00), giudizio che rimane sul piano del merito e non pertiene a questa Corte. Deve, peraltro, osservarsi come la stessa CTR abbia ritenuto, con ragionamento immune da censure, che la stessa prassi commerciale in corso tra le parti fosse differente da quella con cui era stato regolato questo pagamento, ove osserva che «non si comprende per quale motivo le parti, che utilizzavano assegni circolari emessi e cambiati in banca per importi di ben più modesta entità, nel caso di specie abbiamo invece preferito regolare il tutto per contanti». Il giudizio contenuto nella sentenza impugnata – fondato sulla valutazione che la stessa prassi commerciale invalsa tra le parti fosse in contrasto con la modalità di pagamento adottata – costituisce apprezzamento delle prove incensurabile in questa sede.
6. Il quarto motivo è infondato, in quanto il vizio di violazione del minimo costituzionale può essere rubricato solo nel caso di motivazione, oltre che graficamente assente, meramente apparente o palesemente illogica (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Circostanza che non ricorre nella specie, avendo il giudice di appello dato contezza delle ragioni relative alla perizia di parte («nemmeno può ascriversi rilievo alle perizie di parte, dal momento che esse si riferiscono a lavori di sistemazione verificati nel 2011, cinque anni dopo la data della fattura, sicché è arduo non solo ricollegare lo stato di fatto del 2011 ai lavori del dicembre 2006, ma nemmeno può affermarsi che quello stato di fatto sia conseguenza proprio dei lavori del 2006»).
7. Il quinto motivo è inammissibile. Parte ricorrente si duole della omessa valorizzazione come elemento di prova della perizia di parte, compito (quello della valutazione della elezione delle prove ritenute utili al convincimento giudiziale) che rientra nel potere discrezionale del giudice del merito. In ogni caso, l’omessa valutazione di una deduzione difensiva, quale il riferimento alla perizia di parte, non è deducibile con la censura di omesso esame di fatto decisivo, non essendo riconducibile all’omesso esame di un fatto storico l’omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., Sez. I, 18 ottobre 2018, n. 26305).
8. Il sesto motivo è infondato, essendosi il giudice tributario pronunciato su tutta la domanda, avendo confermato la sentenza di primo grado – così rigettando l’appello – in relazione alla fattura già oggetto di annullamento in primo grado.
9. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione ai primi due motivi, rimettendosi al giudice del rinvio la valutazione degli elementi sulla base dei quali in sede amministrativa è stata operata la ripresa relativa alla fattura n. 32 del 31.05.2006 emessa da CM S.a.s., oltre alla regolazione delle spese processuali.
P.Q. M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, rigetta nel resto il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Campania, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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