Corte di Cassazione ordinanza n. 28287 depositata il 9 ottobre 2023
principio “di non dispersione della prova” – obbligo del giudice di appello di valutare anche i documenti presente nei fascicoli dei precedenti gradi di giudizio
FATTI DI CAUSA
L’Arch. P.P. chiese al Presidente del Tribunale di L’aquila ingiungersi a P.E., M.C., M.L., P.R. & C e G. s.r.l. il pagamento dei compensi professionali per l’attività svolta in loro favore nell’ambito di esecuzione di un provvedimento giudiziale. L’Arch. P.P. dedusse che, ltre all’attività svolta quale CTU, aveva ricevuto dalle parti l’incarico di svolgimento ulteriore attività non rientrante nei quesiti posti dal giudice.
All’esito dei giudizi di merito, la Corte d’appello di L’Aquila, in riforma della sentenza di primo grado, accolse l’opposizione e fondò la decisione sulla carenza di prova del conferimento dell’incarico da parte dei comproprietari dell’immobile nell’ambito del giudizio pendente tra le parti. La Corte di merito, pur ammettendo la possibilità della coesistenza di un incarico giudiziale e di un rapporto contrattuale con le parti del giudizio, ritenne che dalla documentazione prodotta dall’arch. P.P. in grado di appello non fosse presente il quesito posto dal CTU, l’elaborato peritale e la sentenza di primo grado, documenti necessari per provare che le parti le avevano affidato l’incarico di risolvere una serie di problematiche relative all’immobile che non erano oggetto del giudizio di danno temuto, nell’ambito del quale aveva prestato la propria attività di consulente tecnico d’ufficio.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso l’Arch. P.P. sulla base di tre motivi.
G. s.r.l., P.E., M.C., M.L. , P.R. & C . G. s.r.l. hanno resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.2697 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che fosse carente la prova in ordine all’ulteriore attività svolta su incarico dei comproprietari dell’immobile rispetto ai quesiti conferiti dal giudice nell’ambito del giudizio di esecuzione del provvedimento cautelare. La prova dello svolgimento di tale attività risulterebbe dalla documentazione allegata alla richiesta di decreto ingiuntivo, confluita nel fascicolo di parte del giudizio d’appello. La ricorrente espone che avverso il medesimo decreto ingiuntivo erano state proposte due distinte opposizioni, definite con due sentenze di rigetto, avverso le quali erano stati proposti due atti d’appello e, nei due giudizi d’appello, si era costituita con comparsa di costituzione. La ricorrente deduce che il fascicolo della fase monitoria era stato inserito nell’altro giudizio di appello mentre nel procedimento oggetto di causa (avente RG 864/2012), la cancelleria aveva inserito la dicitura “ fascicolo fase monitoria depositato nel procedimento 867/2012 in data 5.2.2013”, apponendovi timbro di deposito e firma.
Dalla documentazione prodotta in sede monitoria risulterebbe la prova del conferimento dell’incarico da parte dei comproprietari dell’immobile, avente ad oggetto lo svolgimento di prestazioni professionali riguardanti l’esecuzione di lavori non solo su una porzione del tetto dell’immobile ma sull’intera copertura.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5 c.p.c., con riferimento ai documenti contenuti nel fascicolo della fase monitoria dai quali la Corte d’appello avrebbe tratto la prova dello svolgimento, da parte della ricorrente, di ulteriore attività rispetto ai quesiti posti dal giudice, su incarico dei controricorrenti.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’artt. 115 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., perché la Corte d’appello avrebbe errato nel non esaminare la documentazione contenuta nel fascicolo della fase monitoria, che sarebbe stato ritualmente depositata, disponendo, nell’ipotesi in cui la documentazione fosse mancante, le ricerche per la ricostruzione del fascicolo di parte.
I motivi, considerata la loro stretta connessione, vanno trattati congiuntamente.
Essi sono fondati.
La Corte d’appello ha fondato la decisione sui documenti fisicamente contenuti nel fascicolo d’appello, tra i quali non aveva rinvenuto i documenti relativi alla fase monitoria, senza considerare che tale documentazione era stata espressamente indicata dall’appellante in quanto inserita dalla cancelleria nel fascicolo relativo all’altro giudizio di appello, con annotazione attestante data e timbro. Si trattava di documentazione ritualmente acquisita al giudizio e decisiva per la prova del conferimento dell’incarico da parte dei comproprietari dell’immobile, di cui la Corte non ha tenuto conto ai fini della decisione.
Vi è stata una evidente violazione del principio di non dispersione della prova nel giudizio d’appello, recentemente affermato dalle Sezioni Unite con sentenza del 16.2.2023, n. 4835. Nell’ampia motivazione della sentenza, è posto in risalto il potere-dovere del giudice d’appello di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado, nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, mediante richiamo di esso nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte, illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni.
In particolare, affinché il giudice di appello possa procedere all’autonomo e diretto esame del documento già prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento può essere sottoposto alla sua attenzione, ove non più disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perché ritirato e non restituito, o perché questa è rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell’art.76 disp.att. c.p.c.
Il giudice di appello può, inoltre, porre a fondamento della propria decisione il documento prodotto in formato cartaceo non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto che sia trascritto o indicato nella decisione impugnata, o in altro provvedimento o atto del processo, ovvero, se lo ritiene necessario, può ordinare alla parte interessata di produrre, in copia o in originale, determinati documenti acquisiti in primo grado.
Tale principio, che opera sia per i documenti con modalità telematiche che in formato cartaceo, comporta che il fatto storico in essi rappresentato spiega un’efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio e che non può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che li abbia inizialmente offerti in comunicazione.
In relazione al fascicolo della fase monitoria, le Sezioni Unite, nella citata sentenza del 16.2.2023, n. 4835, richiamano il proprio precedente, affermato sempre a Sezioni Unite, con decisione del 10 luglio 2015, n. 14475, che, nell’escludere la “novità”, agli effetti dell’art.345, comma 3 c.p.c., dei documenti posti a sostegno della domanda di decreto ingiuntivo, non prodotti nel giudizio di opposizione e poi allegati all’atto di appello, ha riaffermato che “i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata implicano… che le prove acquisite al processo lo siano in via definitiva. Tali prove non devono essere disperse. Ciò vale anche per i documenti: una volta prodotti ed acquisiti ritualmente al processo, devono essere conservati alla cognizione del giudice”. In definitiva, già la sentenza n. 14475 del 2015 aveva elaborato il principio “di non dispersione della prova”, precisando che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la parte opposta non è libera di ritirare i documenti su cui era fondata l’intimazione di pagamento, dovendo esservi autorizzata a norma dell’art.169 c.p.c., e che il giudice, nel decidere, dovrà disporre di tutto il materiale probatorio”.
Nel caso di specie, la Corte di merito non ha tenuto conto, ai fini della decisione, della documentazione contenuta nel fascicolo della fase monitoria, che era confluito nell’altro giudizio d’appello, dal momento che avverso il medesimo decreto ingiuntivo erano stati proposti due distinti atti di opposizione, definite con due sentenze, avverso le quali erano stati proposti due atti d’appello. Tanto risultava evidente dall’attestazione della cancelleria, che aveva apposto la dicitura “ fascicolo fase monitoria depositato nel procedimento 867/2012 in data 5.2.2013”, apponendovi timbro di deposito e firma.
La Corte d’appello avrebbe, quindi, dovuto esaminare i documenti contenuti nel fascicolo della fase monitoria e, segnatamente il verbale di conferimento dell’incarico, il provvedimento di esecuzione del provvedimento cautelare e la sentenza del Tribunale di L’Aquila conclusiva del giudizio di primo grado che, secondo quanto affermato nella sentenza impugnata ( pag.5-6) erano decisivi al fine di stabilire se i comproprietari dell’immobile avessero conferito alla ricorrente l’incarico di svolgere ulteriori prestazioni professionali rispetto ai quesiti posti dal giudice, riguardanti non solo una porzione del tetto dell’immobile ma l’intera copertura.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto.
La sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione.
Il giudice di rinvio provvederà alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione
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