Corte di Cassazione ordinanza n. 28312 depositata il 28 settembre 2022
accertamenti bancari – prova contraria – omesso esame di un fatto storico, principale o secondario
Rilevato che:
1. con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Roma, Claudio Di Lauro impugnò l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, ai sensi degli artt. 38, 32, primo comma, 37, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a fronte di un reddito imponibile dichiarato pari a zero, aveva ripreso a tassazione, ai fini dell’Irpef e delle addizionali locali, per il periodo di imposta 2005, redditi non dichiarati (per euro 208.750,00), sulla base delle risultanze di un’indagine finanziaria su tre conti correnti riferibili al contribuente, uno dei quali cointestato a lui e al coniuge, gli altri due intestati rispettivamente al coniuge e alla figlia;
2. il primo giudice, con sentenza n. 286/13/2012, accolse parzialmente il ricorso e ritenne dovuta l’imposta per l’ammontare di euro 21.848,65, importo non contestato dal contribuente;
3. la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Lazio, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello dell’ufficio sulla base delle seguenti considerazioni: (i) non si è trattato di un accertamento sintetico (art. 38, d.P.R. n. 600 del 1973), ma di un accertamento fondato su indagini finanziarie (articolo 32 del medesimo d.P.R.); (ii) in tema di accertamento fondato sulle indagini finanziarie è prevista l’inversione dell’onere della prova, nel senso che spetta al contribuente, che nella specie non ha contestato la riferibilità a sé dei conti correnti e delle relative movimentazioni bancarie, giustificare la causale dei versamenti e prelevamenti; (iii) nella fattispecie, risulta che il contribuente, socio con la moglie e con la figlia di quattro società, ha omesso di dichiarare somme che, se «rinvenienti dalla contabilità aziendale e dalle dichiarazioni fiscali delle società», sarebbero state assoggettate a tassazione pro quota;
4. il contribuente ha proposto ricorso, con tre motivi, per la cassazione della sentenza di appello; l’Agenzia delle entrate è rimasta intimata, non avendo depositato e notificato – ai sensi dell’art. 370, primo comma, cod. proc. civ. – alcun controricorso (non essendo tale la mera “nota di costituzione” depositata al dichiarato “solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica”) (Cass. 10813/2019; Cass. Sez. U., 10/04/2019, n. 10019, che richiama Cass. Sez. 3, 05/12/2014, n. 25735);
5. questa Corte, nella precedente camera di consiglio del 26/03/2019, su istanza del ricorrente, ha dichiarato la sospensione del giudizio, come previsto dall’art. 6, comma 10, del d.l. n. 119 del 2018;
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso [«1) Violazione di norme di diritto e falsa applicazione: artt. 38 e 32 del dpr n. 600/1973; artt. 67, lett. i) e 71, 2 co., dpr n. 917/1986 (in relazione all’art. 360 n. 3, c.p.c.)»], il ricorrente censura la sentenza impugnata che ha fatto applicazione della disciplina del reddito di impresa, senza considerare che dai maggiori ricavi accertati dovevano essere dedotti i costi, poiché nella specie si trattava di “redditi diversi”, derivanti dalla vendita non abituale di autoveicoli, per i quali la base imponibile è costituita dalla differenza tra l’ammontare percepito e le spese inerenti alla loro produzione;
2. con il secondo motivo [«2) Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 n. 5, c.p.c.)»], si censura il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata che, quando afferma che il contribuente non ha giustificato le movimentazioni bancarie, trascura che, in sede di contraddittorio procedimentale, quest’ultimo aveva prodotto (cfr. pagg. 8, 9 del ricorso per cassazione) «un prospetto riepilogativo di entrate e di uscite, accompagnato da copie di assegni emessi (per l’acquisto di veicoli da parte del Di Lauro) e ricevuti (a seguito della rivendita degli stessi), da contabili di bonifici, da certificati rilasciati dal PRA in ordine ai passaggi di proprietà», quali documenti idonei a fornire la “prova contraria” rispetto alla presunzione di ricavi non dichiarati;
3. con il terzo motivo [«3) Violazione di norme di diritto e falsa applicazione: art. 2697 c.c., 67 e 71, 2 co., tuir (in relazione all’art. 360 n. 3, c.p.c.)»], il ricorrente censura la sentenza impugnata che, muovendo dall’erroneo presupposto dell’applicabilità della presunzione «[ex] art. 32, n. 2, seconda parte, d.P.R. n. 600/1973» (cfr. pag. 10 del ricorso per cassazione) che, per gli imprenditori e i professionisti, equipara i prelevamenti ai versamenti bancari, è pervenuta alla conclusione, del pari erronea, di non potere considerare come costi i prelievi a causa di un difetto di prova, con ciò operando un’indebita inversione dell’onere della prova tra l’Amministrazione finanziaria e il soggetto sottoposto a verifica. In tal modo, però, la C.T.R. non ha tenuto conto che l’art. 71, comma 2, t.u.i.r., secondo cui ai fini dei “redditi diversi” l’imponibile è dato dalla differenza tra i proventi e le spese ad essi inerenti, pone una presunzione relativa di un nesso tra gli stessi redditi e le spese ad essi correlate;
4. il primo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, non sono fondati;
4.1 per la Corte «In tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o di lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, primo comma, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti» (Cass. 20/01/2017, n. 1519; 16/11/2018, n. 29572);
4.2 nella fattispecie, la C.T.R. si è attenuta a questo principio di diritto e, alla stregua di un accertamento di fatto, ha stabilito che i prelevamenti e versamenti ingiustificati sui conti correnti intestati o comunque riferibili al contribuente erano redditi di impresa conseguiti dal contribuente quale socio di quattro società. Al riguardo, si deve soltanto aggiungere che la tesi del ricorrente secondo cui detti redditi sarebbero “redditi diversi” postula una ricostruzione in fatto della vicenda che non ha trovato riscontro nel giudizio di merito;
5. il secondo motivo è inammissibile;
5.1 ricorda Cass. 31/01/2022, n. 2900, che la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, n. 33679) nell’affermare che: il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma;
5.2 nella specie, il ricorrente solo apparentemente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio di cui al n. 5 dell’articolo 360; in realtà, però, egli chiede alla Corte — in modo non consentito e menzionando genericamente i documenti prodotti dinanzi al giudice tributario — di rivalutare il materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito che, come sopra anticipato, ha escluso che la parte privata avesse dimostrato l’irrilevanza fiscale delle contestate movimentazioni bancarie in entrata e in uscita;
6. ne consegue il rigetto del ricorso;
7. nulla si deve disporre sulle spese del giudizio di cassazione, al quale l’ufficio non ha partecipato;
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.