CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 28388 depositata l’ 11 ottobre 2023
Lavoro – Rapporto di lavoro subordinato – Licenziamento orale – Elementi basilari della subordinazione – Osservanza di un orario di lavoro costante e regolare – Compenso mensile fisso – Inammissibilità del ricorso
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 59/2019 il Tribunale di Siracusa rigettava l’opposizione proposta da M.A. avverso l’ordinanza del medesimo Tribunale con la quale, nella fase sommaria ex L. n. 92/2012, era stata accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’opponente e G.G., era stata dichiarata la nullità del licenziamento intimato oralmente in data 28.10.2014 ed era stata ordinata la reintegra della G. nel posto di lavoro, con condanna al pagamento in suo favore delle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento all’effettiva reintegrazione.
2. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Catania accoglieva il reclamo proposto da M.A. contro la sentenza di primo grado e, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda proposta in primo grado dalla G..
3. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, dopo aver esaminato le testimonianze raccolte, rilevava che, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, sia nella fase sommaria che in quella di opposizione, le allegazioni della ricorrente non avevano trovato alcun riscontro nelle deposizioni testimoniali, né quanto alla sussistenza di un unico rapporto continuativo, né quanto agli indici della subordinazione, non potendosi dalle stesse desumere neppure l’osservanza di un orario di lavoro costante e regolare (sebbene variabile nel tempo) o la percezione di un compenso mensile fisso; e osservava che, anzi, erano emersi elementi di segno contrario.
4. Avverso tale decisione G.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5. Ha resistito l’intimata con controricorso.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità della sentenza impugnata ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione di legge in riferimento all’art. 2094 c.c. in punto di qualificazione del rapporto di lavoro ed all’art. 18, co. 1, L. 300/70, come modificato dalla L. 92/12. Assume che il vizio fatto valere risiede nella mancata individuazione, nel rapporto intercorso tra la G. e il M., degli indici sintomatici del lavoro subordinato, e che tanto aveva inoltre portato la Corte territoriale a negare l’applicazione, al caso di specie, delle conseguenze reali e obbligatorie connesse al regime sanzionatorio dell’art. 18, co. 1, L. 300/70.
2. Col secondo motivo deduce l’illegittimità della sentenza impugnata ex art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostiene che la Corte d’appello ha omesso l’esame circa la prova, scaturita dalle dichiarazioni rese dalle testimoni M. e M., in ordine al dies a quo del rapporto di lavoro in essere tra le parti del giudizio e degli orari di lavoro osservati dall’odierna ricorrente. Censura, altresì, la sentenza della Corte di merito là dove ha ritenuto, del tutto apoditticamente, che: “le allegazioni della ricorrente non hanno trovato alcun riscontro nelle deposizioni testimoniali”. Infine, in ordine alla circostanza riferita dal teste P. (“Il signor M. mi ha indirizzato per la consulenza commerciale presso la signora G.”), assume che tale circostanza, che potrebbe interpretarsi negativamente con il riferimento a un’attività di lavoro impiegata in via autonoma dalla signora G., in verità rappresenta esplicita dimostrazione che il M. coordinasse le attività della G. sino al punto di indirizzarle i propri clienti.
3. I due riassunti motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, sono inammissibili.
4. E’ infatti pacifico che sono riservati al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (così Cass. civ., sez. II, 22.2.2022, n. 5732).
5. Come premesso in narrativa, la Corte d’appello, in base alla propria valutazione delle risultanze processuali, ha concluso nel senso di ritenere l’ “assenza, nella fattispecie, degli elementi basilari della subordinazione”.
6. Ebbene, come risulta chiaramente dallo svolgimento di entrambi i motivi di ricorso, essi – sotto l’apparente deduzione di violazione di norme di diritto e di omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che hanno formato oggetto di discussione tra le parti – in realtà si basano, da un lato, su una critica dell’apprezzamento probatorio operato dalla Corte territoriale e, dall’altro, su una diversa lettura delle prove acquisite (cfr. in particolare pagg. 21-23 per il primo motivo e pagg. 25-27 per il secondo motivo); il che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
7. La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto. Non sussistono, invece, i presupposti per la invocata responsabilità della stessa ex att. 96 c.p.c., né ai sensi del comma 1, perché non risulta che la ricorrente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, né ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, per non avere abusato dello strumento processuale, in quanto non risulta che ella abbia agito in modo scorretto, senza tenere conto degli interessi confliggenti in gioco; sacrificandoli ingiustificatamente o sproporzionalmente in relazione alla utilità effettivamente conseguibile (Cass. n. 26545/2021; Cass. n. 25041/2021).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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