CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 28459 depositata il 12 ottobre 2023
Tributi – Avviso di accertamento – ICI – Valore catastale – Contratto di locazione ad uso commerciale – Erroneo presupposto d’imposta “permanente” – Mutevole valore venale – Omessa valutazione di un fatto decisivo – Solo Agenzia del Territorio autorizzata a notificare un atto di modifica della rendita catastale – Accoglimento – affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto con l’indicazione specifica dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte
Rilevato che
1. L’Istituto San Marco – E.N. P.A.L. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina avverso un avviso di accertamento relativo ad ICI per l’anno (…) concernente, in particolare, un immobile ubicato in (…), asserendo, tra l’altro, che il minor (Euro 395.488,63, in luogo di Euro 725.501,47) valore catastale del cespite era stato definitivamente determinato con sentenze passate in giudicato, riferite alle annualità dal (…), la cui forza espansiva non poteva, a suo dire, essere disattesa.
2. La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso.
3. Sull’appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale Lazio accoglieva parzialmente il gravame, affermando che la minor rendita invocata dall’istituto era stata riconosciuta in precedenti sentenze passate in giudicato.
4. Avverso la sentenza della CTR proponeva ricorso per cassazione il Comune di Latina e la S.C. con ordinanza n. 17760/18, nell’accoglierlo, rinviava la causa ai giudici di secondo grado affinché verificasse se la destinazione dell’immobile, nel periodo dal (…) su cui si fondavano i giudicati presi in considerazione, fosse già di tipo commerciale.
5. Riassunta la causa dal contribuente, la CTR Lazio rigettava il gravame dallo stesso proposto, evidenziando che l’intervenuta variazione sostanziale, rappresentata dalla stipula nel (…) di un contratto di locazione ad uso commerciale, non consentiva l’ultrattività del giudicato esterno riferito alle decisioni precedenti (nelle quali era stato fissato il valore catastale in Euro 395.488,63) e che, in ogni caso, la rendita dell’immobile, determinata in Euro 725.501,47, era rimasta invariata nel tempo, indipendentemente dalle sentenze passate in giudicato invocate dalla parte contribuente, sicché correttamente l’ente locale ne aveva fatto applicazione nell’accertamento in esame.
6. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Istituto San Marco – E.N. P.A.L. sulla base di tre motivi. Il Comune di Latina ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nonché l’omessa pronuncia su una specifica allegazione da essa eseguita, in violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), con conseguente violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
1.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Invero, la CTR, in sede di rinvio, non si è attenuta al principio di diritto enunciato da questa Corte con l’ordinanza n. 17760/18, con la quale, in accoglimento del ricorso della contribuente, aveva invitato i giudici di secondo grado ad accertare se, nelle annualità dal (…), su cui si fondano i giudicati esterni presi in considerazione, l’immobile ubicato in (…), fosse già destinato ad uso commerciale. Viceversa, la CTR si è limitata a dare atto di una circostanza che già era incontestata, vale a dire che nel (…) la contribuente aveva stipulato, con riferimento al detto immobile, un contratto di locazione ad uso commerciale con un terzo.
Va, in proposito, ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, sicché è esclusa l’efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie “tendenzialmente permanenti” in quanto suscettibili di variazione annuale” (Cass. 4832/15; secondo Cass. n. 12763/14, la preclusione del giudicato opera nel caso di giudizi identici – per soggetti, causa petendi e petitum -, ma nei soli limiti dell’accertamento delle questioni di fatto e non anche in relazione alle conseguenze giuridiche, v. Cass. n. 20029/11, 5727/18, 26457/17, 14303/17, 20257/15, 21395/17).
Orbene, i giudici d’appello avevano erroneamente ritenuto, come rilevato da questa Corte con l’ordinanza n. 17760/18, che il valore della rendita catastale costituisse un presupposto d’imposta “permanente” a prescindere dalla situazione di fatto sulla quale si basava, senza quindi tener conto che è potenzialmente mutevole il valore venale in comune commercio dell’immobile al primo gennaio dell’anno d’imposizione, in quanto, si fonda non solo sul contesto territoriale, urbanistico ed edilizio sottostante anch’esso suscettibile di mutamento, ma, nella specie, anche sulla destinazione d’uso consentita, che nella presente vicenda era all’attualità pacificamente quella commerciale, mentre non era dato conoscere quella riferita al (…) e quella riferita al (…) (su cui si fondano i giudicati dedotti).
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per omessa valutazione di un fatto decisivo, nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per l’omessa pronuncia su apposita allegazione proposta nei vari gradi di giudizio, in violazione dell’art. 112 c.p.c., e la violazione e falsa applicazione della L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che, a seguito del riconoscimento del valore catastale di Euro 395.484,63 operato con le sentenze, poi passate in giudicato, della CTP di Latina nn. 382/3/03 e n. 119/05/09 e della CTR Lazio n. 92/39/12, l’ente impositivo si sarebbe dovuto ritenere allo stesso vincolato e solo l’Agenzia del Territorio avrebbe potuto notificare un atto di modifica della rendita catastale.
2.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.
E’ evidente, infatti, che, se la CTR pervenisse alla conclusione della mancata opponibilità dei giudicati invocati dal contribuente, il Comune non si sarebbe dovuto ritenere agli stessi vincolati.
Del resto, il rinvio della causa operato da questa Corte ha avuto riguardo non già la rendita catastale, bensì la risalenza della destinazione ad uso commerciale impressa al bene, atteso che, qualora essa fosse già in atto nel periodo (…)-(…) (preso in considerazione dalle pronunce della CTP di Latina del 2003 e del 2009 e della CTR Lazio del 2012), il giudicato formatosi sulle stesse non sarebbe stato scalfito (sotto forma di fatto sopravvenuto) dal contratto di locazione ad uso commerciale stipulato dal contribuente nel (…).
A ben vedere, l’ultimo accertamento demandato in sede di rinvio al giudice d’appello era finalizzato a verificare se ricorressero o meno i presupposti per il riconoscimento dell’esenzione ICI di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), evidentemente alla luce del fatto che, qualora fosse venuto meno il vincolo derivante dai giudicati esterni, l’avviso di accertamento, fondato sulla originaria rendita (di per sé non impugnata nel contraddittorio con l’Agenzia del territorio), si sarebbe rivelato legittimo.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omissione di pronuncia in ordine all’allegazione della nullità dell’avviso di accertamento impugnato per inesistenza di motivazione, in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non essersi la CTR pronunciata sulla sua eccezione di carenza assoluta di motivazione dell’avviso.
3.1. Il motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, in quanto il contribuente si è limitato a riprodurre la comparsa di costituzione depositata in sede di rinvio (cfr. pag. 13 del ricorso, in nota), senza attestare, in violazione del principio di autosufficienza, se avesse reiterato la doglianza in sede di appello avverso la sentenza di primo grado.
In secondo luogo, sempre in violazione del principio di specificità, il ricorrente ha omesso di trascrivere l’avviso di accertamento impugnato, in tal guisa precludendo a questo Collegio la possibilità di scrutinare la fondatezza del proprio assunto.
E’ noto, infatti, che, in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti (Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23834 del 25/09/2019).
In particolare, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass., Sez. L, Sentenza n. 15367 del 04/07/2014; conf. Sez. 2, Ordinanza n. 28072 del 14/10/2021).
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, in accoglimento del primo motivo del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo ed inammissibile il terzo;
cassa la sentenza impugnata con riferimento a motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in differente composizione.
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