Corte di Cassazione ordinanza n. 28858 depositata il 5 ottobre 2022
accertamento bancario – presunzione legale relativa a favore dell’Agenzia – onere della prova contraria a carico del contribuente
RILEVATO CHE
1. Con avviso di accertamento n. RCB010402609/2009 relativo all’anno 2001, l’Agenzia delle entrate – in base ai rilievi formulati dalla Guardia di Finanza in un processo verbale di contestazione conseguente a verifica compiuta mediante indagini bancarie e finanziarie, rilievi a tenore dei quali era emerso che ASTI Leonardo, nel suddetto anno d’imposta, aveva svolto l’attività di intermediazione nel commercio in difetto di partita Iva, aperta solo nel 2002 (operando in Italia in modo continuativo per tutto l’anno, nonostante la residenza anagrafica all’estero, ed omettendo di presentare la dichiarazione dei redditi e di conservare le scritture contabili obbligatorie), recuperava a tassazione, ai sensi dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, stante l’omessa dichiarazione, nei confronti del medesimo, un maggior reddito pari ad euro 404.148,00, risultante dalla somma delle movimentazioni bancarie non giustificate, per non avere il contribuente reso alcuna dichiarazione o fornito idonea documentazione, dalla quale erano stati sottratti costi presumibilmente sostenuti, nella misura del 19,7%.
2. Con sentenza n. 14688/45/15, la CTP, in parziale accoglimento del ricorso, riduceva la pretesa impositiva, ritenendo giustificate nel merito tutte le movimentazioni contestate, ad eccezione di quelle per un importo pari ad euro 9.234,24, in relazione al quale confermava l’avviso.
3. Con la sentenza impugnata, la CTR, adita in appello dall’Ufficio, confermava la sentenza di primo grado alla luce della seguente letterale motivazione: “[ …] l’Agenzia delle entrate[,] pur non contestando la residenza all’estero dell’Asti[,] non fornisce prova della continuità delle sue prestazioni e neppure del fatto che le stesse possano essere qualificate in maniera diversa dall’attività di procacciatore di affari. Inoltre l’Agenzia non ha confutato, né in questo grado di giudizio né in quello precedente, la documentazione presentata dal contribuente a spiegazione dei movimenti di banca”.
4. Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi a tre Il contribuente resta intimato.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 2909 cod. civ. con riferimento all’affermazione della medesima secondo cui l’Agenzia delle entrate avrebbe omesso di provare il requisito dell’art. 2 t.u.i.r. per l’assoggettamento del contribuente al potere impositivo dello Stato.
1.1 Sul punto si era formato il giudicato interno, in quanto la sentenza di primo grado aveva dato per acquisita la soggezione del contribuente all’autorità impositiva nazionale, accogliendo infatti parzialmente il ricorso del contribuente. Questi non ha proposto appello incidentale in relazione alla parziale conferma dell’avviso, limitandosi a chiedere esclusivamente la conferma della sentenza di primo grado, né risulta dalla sentenza impugnata che la CTR abbia riqualificato l’atto processuale del medesimo come appello incidentale. Erroneamente, dunque, la CTR ha respinto l’appello agenziale sul rilievo che questa, “pur non contestando la residenza all’estero dell’Asti[,] non fornisce prova della continuità delle sue prestazioni”.
1.2 Il motivo è fondato.
Emerge dallo stesso riassunto della sentenza di primo grado effettuato dalla CTR nella sentenza impugnata che “i giudici di prim[a] cur[a] hanno accolto parzialmente il ricorso del contribuente nella duplice considerazione che questi fosse effettivamente residente all’estero nell’anno di riferimento e che quindi la sua attività nell’anno fosse occasionale[,] per cui le movimentazioni bancarie a lui riferibili trovavano giustificazione nella documentazione depositata a supporto del ricorso”.
La CTP, dunque, aveva considerato che la residenza all’estero del contribuente avesse determinato un’attività meramente occasionale, a cagione di ciò ritenendo giustificate le movimentazioni bancarie oggetto di contestazione nell’avviso, ad eccezione di una minima parte (pari ad euro 9.234,24).
Ciò emerge con chiarezza, altresì, dal passaggio della motivazione sella sentenza di primo grado riportata, a fini di autosufficienza, a pagina 7 del ricorso, laddove leggesi: “Il contribuente dichiara che nell’anno 2001 […] era residente all’estero [ …]. In considerazione di tale circostanza, e della documentazione prodotta dal ricorrente in relazione alle movimentazioni bancarie del periodo, questo Collegio ritiene poco probabile che il contribuente possa aver realizzato il volume di affari presunto dall’Ufficio”.
A mente di tale motivazione della sentenza di primo grado, che trova coerente estrinsecazione nell’esito decisorio di parziale conferma dell’avviso (eccezion fatta per la suddetta somma di euro 9.234,24), oltreché dell’omessa proposizione, da parte del contribuente, di appello incidentale sul punto, come reso palese dal primo foglio dell’atto di costituzione e controdeduzioni in appello, riprodotto a pagina 9 del ricorso, non avrebbe potuto la CTR rimproverare all’Ufficio di non aver fornito la prova della continuità delle prestazioni del contribuente in Italia nell’anno di riferimento, costituente, ai sensi dell’art. 2 t. u. i.t., requisito per il suo assoggettamento al potere impositivo italiano: invero, il “thema” della continuità delle prestazioni del contribuente non le era devoluto, men che meno dall’Agenzia delle entrate, la quale aveva appellato la decisione della CTR ‘direttamente’ per ragioni di merito (dettagliate a pagina 7 del ricorso).
2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 d.P.R. n. 633 del 172, con riferimento alle affermazioni della sentenza impugnata secondo cui l’Agenzia delle entrate avrebbe omesso sia di provare quale fosse l’attività svolta dal contribuente sia di confutare le deduzioni dello stesso quanto alla documentazione presentata a giustificazione delle movimentazioni.
2.1 Con le due affermazioni oggetto di censura, la CTR ritiene che l’applicabilità delle presunzioni sia subordinata alla previa qualificazione da parte dell’Ufficio del tipo di attività imprenditoriale espletata dal contribuente e che questi possa limitarsi ad una contestazione generica delle movimentazioni, trasferendosi per l’effetto sull’Ufficio l’onere di confutare le argomentazioni dal medesimo addotte.
Al contrario, l’Ufficio non ha l’onere né di individuare né di provare quale sia il tipo di attività esercitata dal contribuente; sotto altro profilo, la presunzione in materia bancaria e finanziaria comporta che il contribuente, al fine di superarla, non possa fornire deduzioni generiche e prove vaghe, ma abbia l’obbligo di addurre solo giustificazioni puntuali e corrispondenti prove analitiche, in difetto delle quali i maggiori redditi risultano provati semplicemente per effetto della presunzione.
3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per carenza della motivazione in violazione dell’art. 132, comma 1, 4, cod. proc. civ. e dell’art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, con riferimento all’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’Agenzia delle entrate avrebbe omesso di confutare le deduzioni del contribuente quanto alla documentazione presentata a giustificazione delle movimentazioni.
3.1 La CTR si limita ad apoditticamente affermare il difetto di confutazione della documentazione presentata dal ricorrente (il quale sosteneva di avere ricevuto bonifici e compiuto pagamenti per conto di ditte sue clienti nell’esercizio dell’attività di procacciatore di affari), senza illustrare a quali movimentazioni ed a quali documenti faccia riferimento e senza esplicitare le ragioni della ritenuta insufficienza delle pur precise argomentazioni dell’Ufficio (che aveva evidenziato il difetto di documentazione riferibile a specifiche imprese clienti e di fatture effettivamente emesse nell’ambito di rapporti di cessione, oltreché l’incompatibilità tra il denaro contabilizzato in entrata per euro 396.000,00 ed i soli euro 107.000,00 in uscita, con conseguente mancato riversamento di ben euro 290.000,00).
La radicale assenza, anche sul piano grafico, di motivazione determina la violazione delle disposizioni di legge indicate in rubrica.
4. Entrambi motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per l’evidente comunanza di censure, sono fondati e meritano accoglimento.
4.1 Il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso che, “in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 e.e. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze” (cfr., ad es., Sez. 5, n. 13112 del 30/06/2020, Rv. 658392-01).
In ragione di quanto precede, “la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Amministrazione finanziaria di riferire ‘de plano’ ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente” (Sez. 5, n. 10249 del 26/04/2017, Rv. 644098-01).
Ciò significa che, “qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova, non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili” (in termini, da ultimo, Sez. 5, n. 15857 del 29/07/2016, Rv. 640618-01).
Donde, “poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, .il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione” (Sez. 6-5, n. 10480 del 03/05/2018, Rv. 648064-01).
4.2 Alla stregua di quanto precede, è da rilevarsi, in relazione al secondo motivo, la censurabilità della duplice affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui l’Agenzia delle entrate non ha fornito la “prova [ …] del fatto che le [prestazioni del contribuente] possano essere qualificate in maniera diversa dall’attività di procacciatore di affari”, né “ha confutato […] la documentazione presentata dal contribuente a spiegazione dei movimenti di banca”.
Da un lato, infatti, “l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito quali prove presuntive di maggiori ricavi o operazioni imponibili, ai sensi degli artt. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa o di lavoro autonomo, atteso che, ove non sia contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito da essa ricavato, incombendo al contribuente l’onere di provare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti” (così, da ultimo, Sez. 5, n. 25812 del 23/09/2021, Rv. 662241-01). Dall’altro lato, inoltre, in conformità del resto a quanto già detto, la prova contraria cui il contribuente è chiamato per vincere la presunzione legale non può essere né generica né ‘massiva’, ragion per cui, anzitutto, il medesimo è tenuto a dimostrare “in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili” e, ulteriormente, di riflesso, “il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso contribuente” in relazione “ad ogni singola movimentazione”, “dandone conto in motivazione” (Sez. 5, n. 11696 del 05/05/2021, Rv. 661519-01).
Quanto precede comporta che gli oneri allegatorio e probatorio dell’Amministrazione devono ritenersi assolti con la mera indicazione delle movimentazioni prive di giustificazione, spettando invece al contribuente, che voglia sottrarsi alle conseguenze della presunzione, dimostrare “in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili” (Sez. 6-5, n. 35258 del 18/11/2021, Rv. 663154-01), senza viepiù che sia “sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente”, poiché “è” invece “necessario che il [medesimo] fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività” (Sez. 5, n. 4829 del 11/03/2015, Rv. 635057-01).
4.3 Talché – trascorrendosi così ad analizzare anche il terzo motivo – nella specie la CTR – a fronte degli specifici rilievi dell’Agenzia appellante volti a contestare, in sostanza, la genericità della documentazione prodotta dal ricorrente a giustificazione delle poste di conto, senza puntuali riconciliazioni finanche nell’ottica difensiva di allegato esercizio dell’attività di procacciatore d’affari, stante la mancanza di precise fatture attestanti effettivi rapporti di cessione e considerato comunque il notevole immotivato sopravanzo delle entrate sulle uscite avrebbe dovuto ‘direttamente’ valutare la documentazione prodotta dal contribuente, al fine di stabilire se fosse idonea, “analiticamente” (come preteso dalla giurisprudenza), a rendere giustificazione di tutte le movimentazioni di conto. In tale giudizio, avrebbe la medesima eventualmente potuto altresì tener conto, ove ne avesse ravvisato la necessità logico-argomentativa, da adeguatamente esplicitare in motivazione, della concreta attività esercitata dal contribuente, tuttavia soltanto nella prospettiva di un mero inquadramento della verifica delle riconciliazioni: verifica nondimeno da compiere, indefettibilmente, in relazione ad ogni singola posta oggetto_ di contestazione.
5. In definitiva, alla luce di quanto precede, in integrale accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla CTR, in diversa composizione, per nuovo esame.
P.Q.M.
In integrale accoglimento del ricorso, cassa ed annulla la sentenza impugnata con rinvio alla CTR, in diversa composizione, per nuovo esame.
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