Corte di Cassazione ordinanza n. 28966 depositata il 5 ottobre 2022
notifica – acquisizione documentazione ai fini fiscali – L’amministrazione finanziaria può avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario con esclusione di quelli la cui inutilizzabillità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale
RILEVATO CHE:
1. In data 15/1/2012, l’Agenzia delle Entrate, tramite l’Ambasciata italiana a Tel Aviv, notificò a M.R. due distinti avvisi di accertamento, con i quali rideterminò i redditi, relativi rispettivamente agli anni di imposta 2005 e 2006, ai fini Irpef e addizionale regionale, con le relative sanzioni, ed un atto di contestazione, col quale irrogò, per i medesimi periodi di imposta, una sanzione per l’omessa indicazione, nel quadro RW delle dichiarazioni dei redditi relative ad entrambe le annualità, di investimenti e attività finanziarie all’estero. Impugnati i predetti atti con un unico ricorso, la C.t.p. di Milano, con sentenza n. 111/03/13, ritenne tempestiva la notifica degli avvisi, essendo la spedizione avvenuta precedentemente al termine di decadenza fissato per il 31/12/2011, ma accolse la domanda nel merito, disponendo la compensazione delle spese di lite. Impugnata la predetta sentenza dall’ufficio e incardinato il giudizio, nel quale il contribuente, proponendo a sua volta appello incidentale, insistette sulla intervenuta decadenza dal potere impositivo in ragione della tardività della notifica, la C.t.r. della Lombardia, con sentenza n. 950/2014, depositata il 24/2/2014, accolse l’appello, disponendo la compensazione delle spese di lite.
2. Contro la predetta sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è difesa con controricorso.
3. Considerato che le questioni in diritto sollevate con la prima e la seconda censura oggetto di ricorso erano state sottoposte al vaglio delle Sezioni unite di questa Corte dalla Quinta Sezione con ordinanza interlocutoria 15545, depositata il 21/7/2020, all’esito della camera di consiglio del 6/7/2021 la Corte, con ordinanza, rinviava il giudizio a nuovo ruolo.
Successivamente, il ricorso veniva nuovamente fissato per l’adunanza camerale del 21 settembre 2022.
CONSIDERATO CHE:
1.1 Con il primo motivo di ricorso, limitato all’anno di imposta 2005, si lamenta la violazione dell’art. 43, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in tema di perfezionamento, per il notificante, della notificazione al momento dell’invio dell’atto, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.t.r. affermato che il termine di decadenza applicabile fosse quello di cui all’art. 43, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 per i casi di omessa presentazione della dichiarazione, ossia quello del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione sarebbe dovuta essere presentata, e che la data di spedizione da parte dell’ufficio era antecedente a quella di decadenza, coincidente, nella specie, con il 31/12/2011, dovendo farsi riferimento alla data di spedizione e non a quella di ricevimento. Secondo il contribuente, però, la decadenza si era verificata con riguardo all’anno 2005, in quanto gli atti, recanti tutti la data del 1/12/2011, erano stati inviati dall’Agenzia delle Entrate all’Ambasciata italiana di Tel Aviv in data 16/12/2011, mentre l’Ambasciata aveva provveduto alla notifica con raccomandata spedita il 9/1/2012. Ad avviso del contribuente, perciò, non era stato considerato che, pur trovando applicazione il principio della scissione soggettiva, l’Ambasciata, ancorché appartenente ad altra Amministrazione, era legata, rispetto al servizio di notificazione, all’Amministrazione finanziaria da un rapporto organico-funzionale diretto, essendo la sua funzione di organo notificatore istituzionalmente dipendente dall’Ufficio che aveva emesso l’atto. Pertanto, la notifica effettuata tramite Ambasciata, proprio in ragione di tale rapporto organico-funzionale intercorrente tra le due Amministrazioni, andava considerata effettuata direttamente dall’ufficio che aveva emanato l’atto, sicché essa si era perfezionata per l’Ufficio alla data di spedizione, ossia al 9/1/2012, e dunque tardivamente.
1.2 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in relazione all’anno di imposta 2005, per avere la C.t.r. omesso di esaminare, con riguardo alla questione di cui alla prima censura, il fatto che l’Ambasciata avesse provveduto alla notifica del provvedimento del 2005 con raccomandata spedita il 9/1/2012, oltre il termine di decadenza del 31/12/2011, fatto che, se esaminato, avrebbe comportato un esito diverso del giudizio.
1.3 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, comma 2, 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 132, n. 4., cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la C.t.r. omesso di motivare sulla idoneità della fiche/scheda cliente, inclusa nella c.d. Lista Falciani (da cui risultava la titolarità, in capo ad esso, di un conto corrente presso la HSBC, Filiale di Lugano-Svizzera) a dimostrare le asserite disponibilità estere, essendosi limitata ad affermare la legittimità della sua acquisizione, e avere dunque posto a carico del contribuente l’onere della prova contraria prima che venisse dimostrata la sussistenza della obbligazione tributaria, il cui onere grava sull’Amministrazione finanziaria.
1.4 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta l’illegittimità per violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., per avere la C.t.r. errato nell’applicazione del principio della distribuzione dell’onere della prova, non costituendo la c.d. lista Falciani e la fiche in essa contenuta valida prova, sia in quanto priva di intestazione bancaria e di sottoscrizione, sia in quanto non costituente documento bancario né documento attribuibile ad un istituto bancario, sia in quanto acquisita illecitamente dal Falciani che aveva sottratto i dati alla banca HSBC di cui era dipendente, sicché reputare diversamente avrebbe comportato un’inversione dell’onere probatorio.
2.1 Il primo ed il secondo motivo devono essere esaminati congiuntamente, perché connessi; essi sono infondati e vanno rigettati alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di notifica a mezzo messo notificatore, ma adattabili al caso in esame, secondo cui nessuna inerzia può attribuirsi all’amministrazione finanziaria nel caso in cui abbia tempestivamente dato impulso al processo notificatorio.
Invero, <<in materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e degli effetti di questa sull’osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi d’imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale, e per gli atti tributari dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti, né la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l’ente ha posto in essere gli elementi necessari ai fini della notifica dell’atto e non quella, eventualmente successiva, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente>> (Cass. S.U. n.40543/2021).
In particolare, nella pronuncia citata, le Sezioni unite hanno evidenziato l’esigenza, posta alla base del principio generale della scissione degli effetti della notificazione, di evitare pregiudizi per attività in parte sottratte ai poteri di impulso del notificante, ritenendo che debba impedirsi un irragionevole effetto di decadenza, la quale ha senso come sanzione, solo se rapportata ad un’effettiva inerzia della parte nel termine fissato per legge.
Ciò in quanto, come chiarito da precedente sentenza delle Sezioni Unite n.24288 del 2015, il termine previsto per il notificante per svolgere l’attività posta a suo carico, nella logica del bilanciamento degli interessi, gli deve essere riconosciuto per intero, sino allo scadere, altrimenti dominerebbe la totale incertezza giuridica.
Nella fattispecie al loro esame, le Sezioni Unite (Cass. S.U. n.40543/2021 prima citata)hanno, quindi, concluso nel senso che una diversa soluzione comporterebbe non solo una ingiustificata e irragionevole riduzione del termine per l’esercizio del potere impositivo nei confronti dell’Ente impositore solo perché si sia avvalso, tra le varie tipologie di notificazione possibile, dell’opera di un soggetto (in quel caso il messo notificatore) che il legislatore ha appositamente previsto per l’esigenza opposta (ovvero assicurare una notificazione dell’atto impositivo la più diretta e, quindi, celere possibile), ma condurrebbe anche a incentivare comportamenti in violazione dello spirito di collaborazione che, pure, deve improntare il destinatario della notificazione
Rimane, allora, ininfluente la natura del soggetto notificatore (terzo o dipendente della parte notificante -il messo notificatore nel caso all’esame delle Sezioni Unite – in funzione di organo notificatore istituzionalmente dipendente dall’ufficio che aveva emesso l’atto), essendo rilevante, ai fini dell’impedimento della decadenza, unicamente che la parte gravata svolga le attività poste a suo carico (emissione dell’atto e richiesta per la notificazione) nel termine perentorio di legge, circostanza pacifica nella specie, e che, al fine di garantire l’effettività dell’esercizio dei suoi diritti, sia messa in grado di svolgerle sino all’ultimo momento.
Ciò a maggior ragione se, come nel caso di specie, la parte contribuente non contesta la validità della forma di notificazione prescelta, tramite ambasciata, ma solo l’applicabilità del principio di scissione degli effetti della notifica.
2.2 Il terzo ed il quarto motivo devono essere esaminati congiuntamente, perché connessi; essi sono infondati e vanno rigettati.
In conformità ai principi di diritto enunciati da questa Corte con le ordinanze gemelle n. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015, occorre ribadire, in linea generale, che il diritto interno, sia in materia di imposte dirette sia in materia di imposta sul valore aggiunto, consente l’acquisizione nel corso dell’accertamento fiscale e, successivamente, nel processo tributario, di elementi comunque acquisiti e, dunque, di prove atipiche, o di dati ottenuti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni tipici della prova per presunzioni.
Gli elementi assunti a fonte di presunzioni non debbono, peraltro, essere plurimi, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su un elemento unico, purché preciso e grave, mentre la valutazione della sua rilevanza non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e non contraddittoria (Cass., sez. 5, 15/01/2014, n. 656).
La prova per presunzioni può, pertanto, essere costituita anche da acquisizioni provenienti da una autorità straniera nell’ambito di direttive comunitarie o di accordi bilaterali.
Sul punto questa Corte, con le richiamate ordinanze nn. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015, ha precisato che <<…l’eventuale responsabilità penale dell’autore materiale della lista – questione che esula dalla vicenda processuale odierna, non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia (v. art. 7 cod. pen. rispetto alle ipotesi delittuose per le quali è astrattamente profilabile una competenza del giudice italiano in relazione a condotte commesse all’estero) – e, comunque, l’illiceità della di lui condotta nei confronti dell’istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico del contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi – v. sul punto, la pronunzia della Cassazione penale francese del novembre 2013 (Cour de Cassation crimine/le, 27.11.2014, ric. 13-85042) che ha espressamente riconosciuto l’utilizzazione – addirittura in ambito penale – della Lista Falciani sul presupposto che al confezionamento eventualmente illecito delle prove non aveva cooperato l’autorità pubblica>>.
Va, pertanto, ribadito principio di diritto già espresso da questa Corte con la sentenza n. 16951 del 19 agosto 2015, e confermato anche di recente (Cass., sez. 5, 29/11/2019, n. 31243; Cass., sez. 5, 5/12/2019, n. 31779), secondo cui «L’amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico, con esclusione di quelli la cui inutilizzabillità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Sono perciò utilizzabili nell’accertamento e nel contenzioso con il contribuente i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all’estero e ottenuti dal fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, senza che assuma rilievo l’eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazione dei doveri di fedeltà verso l’istituto datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che non godono di copertura costituzionale e di tutela legale nei confronti del fisco medesimo. Spetta al giudice di merito, in caso di rilievi avanzati dall’Amministrazione, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro delle contestazioni mosse dal contribuente» (Cass. n.11162/21).
Nel caso di specie, la C.t.r., affermando che le informazioni desunte dalla cd. Lista Falciani costituivano indizi sufficienti a carico del contribuente, che non aveva assolto all’onere della prova contraria, non si è discostata dai principi enunciati costantemente da questa Corte proprio con riguardo alla Lista Falciani.
Pertanto il ricorso va complessivamente rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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