Corte di Cassazione ordinanza n. 29212 depositata il 20 ottobre 2021
licenziamenti collettivi – unico soggetto datoriale – unico centro di imputazione – requisiti dimensionali – scelta dei lavoratori
Rilevato che
1. il giudice di primo grado, accertata la sussistenza di un unico complesso aziendale fra M.F. p.a. (poi divenuta A.I. s.p.a.) e A.I. s.p.a. (poi divenuta A.M.C. s.p.a.), ha dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato a B.M. il 28.6.2016 all’esito di procedura di licenziamento collettivo attivata da M.F. s.p.a., formale datrice di lavoro della ricorrente, e condannato le dette società, in solido, alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro, al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, detratto l’aliunde perceptum e l’ aliunde percipiendum, e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;
2. la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado nel resto confermata, ha respinto le domande di B.M. nei confronti della società A. s.p.a. e dichiarato che nulla andava detratto dalla indennità risarcitoria liquidata ex 18 L. n. 300 /1970 a titolo di aliunde perceptum e percipiendum;
3. per quel che ancora rileva, la Corte di merito ha confermato la valutazione di prime cure circa la configurabilità di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro tra M.F. p.a. e A.I. s.p.a. ed osservato che tanto comportava la necessità che la verifica degli esuberi in relazione alla procedura collettiva attivata da M.F. dovesse essere effettuata tenendo conto della complessiva platea e quindi anche dei lavoratori in forze alla (allora) società A.I. s.p.a. e non solo di quelli della società formale datrice di lavoro della B.M., come in concreto avvenuto; in assenza di allegazione e deduzioni probatorie in prime cure da parte delle società convenute circa i presupposti della invocata delimitazione della platea dei lavoratori da licenziare ai soli dipendenti da M.F., il coinvolgimento nella procedura collettiva del solo organico di M.F., quale affermato, autonomo, ramo aziendale distinto rispetto a A.I., non era giustificata; tale difetto di allegazioni si riscontrava nella comunicazione di cui all’art. 3, comma 9, l.n. 223 /1991 di avvio della procedura collettiva che concerneva unicamente i dipendenti di M.F. senza che fossero esplicitate le ragioni del mancato coinvolgimento dell’organico di A.I. s.p.a.; la detraibilità dall’indennità risarcitoria dell’aliunde perceptum e dell’aliunde percipiendum, disposta dal giudice di primo grado in termini del tutto generici ed in assenza di accertamento in ordine ai proventi effettivamente percepiti dalla lavoratrice dopo il licenziamento, era preclusa dalla carenza di specifica deduzione fattuale sviluppata a riguardo nella memoria di costituzione di primo grado delle società convenute; né poteva attribuirsi rilevanza all’impiego a termine offerto alla lavoratrice dalla (allora) società A.I., impiego che per la sua ridotta durata a fronte del periodo di estromissione dal lavoro seguito al licenziamento oggetto di causa risultava inidoneo ad intaccare il limite massimo di dodici mensilità posto dalla legge all’indennità risarcitoria, commisurata alle retribuzioni maturate dal recesso all’effettiva reintegrazione;
4. per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso con unico atto A.I. s.p.a. (già M.F.) e A.I. Fleet Managment Company s.p.a.- AIFMC (già A.I. p.a., da ora AIFMC) sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;
5. il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
6. A.I. s.p.a. (già M.F.) in liquidazione e A.I. Fleet Managment Company s.p.a.- AIFMC (già A.I. s.p.a., da ora AIFMC) in liquidazione hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1. proc. civ. ;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso le società ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 civ. e degli artt. 24, 4, e 5 I. n. 223/1991, nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto illegittimo il licenziamento in controversia sul presupposto che a fondare la contitolarità del rapporto di lavoro bastasse la integrazione fra le attività della controllante e le attività della controllata; ciò a prescindere dall’esame della posizione individuale del singolo lavoratore in rapporto al suo inserimento nella complessiva struttura aziendale e dal concreto accertamento dell’uso promiscuo della sua prestazione;
2. con il secondo motivo deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 I. n. 223/1991 nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata in base alla considerazione che, anche a voler considerare unitariamente la struttura delle società M.F. p.a. e A.I. s.p.a., l’individuazione dei lavoratori in esubero non poteva che avvenire in relazione alle esigenze tecniche, organizzative e produttive manifestatesi nel perimetro aziendale della prima società; ciò tanto più in considerazione del fatto che la lavoratrice non aveva neppure allegato e provato l’utilizzo promiscuo della sua prestazione lavorativa da parte delle due società; in ogni caso, anche a voler considerare le esigenze tecniche, organizzative e produttive in questione nell’ambito dell’intero gruppo M.F./ A.I., la scelta dei dipendenti da licenziare non poteva che avvenire all’interno del solo personale navigante di M.F.; le due società, infatti, avevano mantenuto strutture autonome, dotate di propri beni, risorse, licenze di esercizio ecc. e la struttura in crisi che aveva generato gli esuberi sin dal 2011 era quella facente capo a M.F.; al fine della configurabilità di un unico centro di imputazione non poteva prescindersi, oltre che dai parametri rappresentati dalla unicità della struttura organizzativa e produttiva, dalla stretta connessione funzionale tra imprese, dal coordinamento tecnico amministrativo e finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faceva confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune, anche dall’ulteriore parametro rappresentato dall’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari di distinte imprese; nel caso in esame era mancato l’accertamento (e ancor prima l’allegazione) e prova della circostanza che la prestazione lavorativa della B.M. fosse stata svolta in favore di entrambe le aziende;
3. con il terzo motivo di ricorso deducono violazione degli artt. 2359, 2947 e segg. cod. civ., degli artt. 776 e 779 cod. nav. nonché del Regolamento europeo 859/2008 (capo C) OPS 1.185 punto 5 e Appendice 2 dell’OPS 1.175 punti a) e b), del Regolamento europeo n. 1008/2008, art. 2 (nn. 1,8 e 25), art. 3 (n. 2), art. 4 punto e), del Regolamento Europeo n. 965 del 2012 – Allegato 3 Capo CC Sezione 1 ORO. CC. 125; il giudice di appello aveva trascurato di considerare che nel settore aeronautico, governato da pregnanti e minuziose disposizioni normative contenute, tra l’altro, nei suddetti Regolamenti, era impossibile, sia di fatto che di diritto, che il servizio di trasporto aereo fosse svolto da due società attraverso una struttura aziendale unitaria con uso promiscuo dei naviganti e dei responsabili delle varie attività; neppure poteva essere valorizzato nel senso dell’unitarietà della struttura la utilizzazione dell’aeromobile mediante contratti di wet lease I circostanza che non implicava alcuna confusione tra le separate strutture organizzative facenti capo alle società;
4. con il quarto motivo di ricorso deducono violazione degli artt. 2697 e 1321 civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 30 d. lgs. n. 276/2003, censurando la sentenza impugnata sul rilievo che l’utilizzo dell’istituto del distacco e l’utilizzo del job posting,- quest’ultimo caratterizzato dalla risoluzione consensuale del contratto di lavoro con (la allora) M.F. e dalla successiva assunzione alle dipendenze di A.I. s.p.a., mai impugnate dai lavoratori -, escludevano l’uso promiscuo della forza lavoro; nella sentenza impugnata era mancata una attenta disamina sull’utilizzo comune e promiscuo delle risorse lavorative, elemento imprescindibile per pervenire alla configurazione di un unico centro di imputazione del rapporto; era inoltre da escludere che con il distacco si realizzasse, in contrasto con la previsione dell’art. 30 d. lgs n. 276 /2003, un’ipotesi di uso comune e promiscuo del dipendente;
5. con il quinto motivo di ricorso deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, n. 300 del 1970 per avere il giudice di appello escluso la detraibilità dell’a/iunde perceptum e de//’a/iunde percipiendum dall’indennità risarcitoria; tale esclusione era frutto dell’errata interpretazione dell’art. 18, comma 4 L. n. 30071970 nel testo novellato dalla I. n. 92/2012, con il quale il legislatore aveva inteso, in applicazione del principio civilistico della compensatio lucri cum damno, evitare un ingiusto arricchimento del soggetto leso e sterilizzare gli effetti di una durata anomala del processo; alla luce del mutato contesto normativo l’aliunde perceptum e l’aliunde percipiendum non si configurano come oggetto di eccezione della quale è onerata la parte datrice ma quali fattori indispensabili per la quantificazione della indennità dovuta, elemento imprescindibile per la stessa affermazione della sussistenza di un danno risarcibile; la Corte di merito aveva inoltre errato, in contrasto con il dato letterale e la ratio ispiratrice della norma, nel ritenere che compensi percepiti per periodi di ridotta durata non potessero intaccare il limite risarcitorio massimo delle dodici mensilità con la conseguenza di avere, in tal modo, determinato in concreto la trasformazione di tale limite massimo in un limite minimo irriducibile;
6. i primi quattro motivi di ricorso, trattati congiuntamente per la reciproca connessione, sono infondati;
6.1 occorre premettere che la sentenza impugnata, con accertamento di fatto riservato al giudice di merito ed in questa sede neppure astrattamente incrinabile dalla deduzione di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, deduzione in concreto preclusa ai sensi dell’art. 348 ter, ultimo comma proc. civ. dalla esistenza di < < doppia conforme>>, ha ritenuto che gli elementi di collegamento fra le società avessero travalicato, per caratteristiche e finalità, le connotazioni di una mera sinergia fra consociate per sconfinare in una compenetrazione di mezzi e di attività, sintomatica della sostanziale unicità soggettiva ai fini per cui è causa (sentenza pag.8, quart’ultimo capoverso);
6.2 i criteri attraverso i quali la Corte di merito, anche sulla base del richiamo agli elementi a tal fine valorizzati dal primo giudice, è pervenuta alla qualificazione della sostanziale unicità della struttura aziendale, vale a dire, tra gli altri, l’assegnazione di quasi tutta la operatività di volo da M.F. ad A.I., che la aveva gestita mediante anomali contratti di wet lease su tratte e bande orarie della prima sostenendo direttamente i costi necessari, l’utilizzo di A.I. di slot facenti capo a M.F., la stipula di un contratto tra M.F. e A.I. con il quale la prima si impegnava a prestare a A.I. i servizi di gestione amministrativa e finanziaria inclusi gli adempimenti civilistici e fiscali, il controllo di gestione compresa la pianificazione economica, finanziaria e patrimoniale, l’analisi preventiva e consuntiva per gli investimenti, la gestione del personale e delle relazioni industriali, l’utilizzazione da parte di A.I. di personale proveniente da M.F., attraverso l’istituto del distacco e mediante job posting cioè l’assunzione ex novo previa risoluzione del contratto con M.F., l’utilizzo da parte di A.I. di equipaggi misti, la dichiarata finalizzazione di tutta la operazione alla riduzione del costo del lavoro, sono coerenti con le indicazioni del giudice di legittimità secondo il quale è configurabile l’esistenza di un unico centro di imputazione in presenza di: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (v. Cass. 31/07/2017, n. 19023; Cass. 31/05/2017, n. 13809, Cass. 20/12/2016, n. 26346; Cass. 12/02/2013, n. 3482); in particolare è stato chiarito che “Il collegamento economico – funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell’autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta, alle quali continuano a fare capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le distinte e rispettive imprese; tale collegamento, pertanto, non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, intercorso tra un lavoratore e una di tali società, si estendano ad altre dello stesso gruppo, salva, peraltro, la possibilità di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro – anche ai fini della sussistenza o meno del requisito numerico necessario per l’applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato – ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra vari soggetti e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l’esame delle singole imprese, da parte del giudice del merito” (Cass. 06/04/2004, n. 6707); il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare – anche all’eventuale fine della valutazione di sussistenza del requisito numerico per l’applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato – un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico – funzionale e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l’esame delle attività di ciascuna delle imprese gestite formalmente da quei soggetti, che deve rivelare l’esistenza dei seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; e) coordinamento tecnico e amministrativo – finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori. Trattasi di valutazione di fatto rimessa al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, (Cass. 31/07/2017, n. 19023, n. 26346/2016, cit., n. 3482/2016) e che “Ove il collegamento economico funzionale tra le imprese sia tale da comportare l’utilizzazione contemporanea e indistinta della prestazione lavorativa da parte delle diverse società si è in presenza di un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro; ne consegue che tutti i fruitori dell’attività devono essere considerati responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, in virtù della presunzione di solidarietà prevista dall’art. 1294 e.e., in caso di obbligazione con pluralità di debitori, qualora dalla legge o dal titolo non risulti diversamente.” (Cass. 28/03/2018, n. 7704 e quindi anche Cass. 09/01/2019 n. 267). Infine, anche recentemente su un unico centro, Cass. n. 25/01/2021 n. 1507 ha ribadito che ” La Corte di merito, in ordine alla individuazione degli elementi per ravvisare, tra due soggetti, un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, ha correttamente richiamato, attenendosi ad essa, la giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Cass. n. 19023 del 2017; Cass. n. 26346 del 2016) secondo cui tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e ciò venga rivelato dai seguenti requisiti: a) univocità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle single imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori. In adesione ai principi sopra richiamati e con una valutazione di merito a lei riservata, attraverso un esame completo ed approfondito del materiale probatorio (e quindi insindacabile in questa sede) la Corte territoriale ha constatato che la distinzione tra i due formali datori di lavoro, lungi dall’essere questi soggetti autonomi e distinti, era soltanto nominale, perché di fatto il datore di lavoro era stato unico.”;
6.3 va peraltro ricordato che la giurisprudenza ha comunque riconosciuto la configurabilità, a vari fini, di un’impresa unitaria, a prescindere dal carattere simulatorio del frazionamento dell’unica attività, e valorizzando la mera apparenza della pluralità di soggetti giuridici a fronte di un’unica sottostante organizzazione di impresa, intesa come unico centro decisionale (v. 28/03/2018, n. 7704; Cass. 29/11/2011, n. 25270; Cass. 14/03/2006, n. 5496; Cass. 24/03/2003 n. 4274; Cass.28/08/2000, n. 11275). Nella sentenza n. 4274 del 2003, questa S.C., in una fattispecie di più imprese formalmente distinte, ma con un’unica organizzazione imprenditoriale, intesa anche come unico centro decisionale (le tre società convenute gestivano un’unica azienda costituita da un unico complesso aziendale, avevano in comune gli organi direttivi e una serie di servizi, si scambiavano i dipendenti, utilizzati indifferentemente per i vari servizi e spostati di anno in anno da una società all’altra) ha ritenuto che i requisiti dimensionali e quantitativi prescritti dall’art. 24 della legge n. 223 del 1991 ai fini dell’applicabilità della disciplina dei licenziamenti collettivi dovessero essere riferiti all’unico complesso aziendale costituito dalle predette imprese. Si è ritenuto possibile concepire un’impresa unitaria anche in presenza di gruppi genuini, in condizione di codatorialità che “presuppone l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione economica complessiva a cui appartiene il datore di lavoro formale nonché la condivisione della prestazione del medesimo, al fine di soddisfare l’interesse di gruppo, da parte delle diverse società, che esercitano i tipici poteri datoriali e diventano datori sostanziali, anche ai fini dell’applicazione delle disposizioni in tema di licenziamento collettivo” (Cass. 09/01/2019, n. 267);
6.4 alla luce dei su esposti principi e della ricostruzione fattuale operata dalla Corte di merito e nell’ottica della accertata unicità del centro di imputazione sostanziale dei rapporti di lavoro risulta priva di pregio la tesi delle società ricorrenti, che costituisce lo sfondo concettuale alla base di larga parte delle censure articolate con i motivi in esame, secondo la quale occorreva la dimostrazione da parte dell’originaria ricorrente di un uso promiscuo della propria attività da parte delle due società;
6.5 la rilevata compenetrazione tra le strutture aziendali formalmente facenti capo a soggetti distinti implica la riferibilità della prestazione di lavoro ad un soggetto sostanzialmente unitario e rende non decisiva la vicenda personale del singolo lavoratore; l’accertamento della sostanziale unitarietà della struttura imprenditoriale costituita da M.F. – A.I. esclude che possa assumere rilevanza decisiva la verifica circa la concreta, effettiva, utilizzazione da parte di entrambe le società delle prestazioni rese dalla B.M. la cui attività deve comunque ritenersi prestata nell’interesse – indifferenziato – delle due società solo formalmente distinte ; il dato fondamentale è infatti rappresentato dalla totale integrazione fra le attività di M.F. e A.I. che non consente di distinguere nell’ambito dell’attività prestata dalla lavoratrice quanto riferibile all’una o all’altra società; la prestazione deve ritenersi effettuata infatti in favore dell’unico soggetto datoriale risultante dalla integrazione della struttura organizzativa ed amministrativa;
6.6 l’accertamento fattuale che sorregge la decisione impugnata consente di superare, ai fini che qui rilevano, il dato formale, sul quale insistono in particolare le società ricorrenti nel quarto motivo di ricorso, rappresentato dal titolo giuridico in base al quale i dipendenti di M.F. venivano utilizzati da A.I. , vale a dire il distacco ed il ricorso al job posting, implicante la previa risoluzione del rapporto di lavoro con la prima società e la costituzione di un rapporto ex novo con la seconda; la Corte distrettuale ha accertato che l’attività si è svolta nei confronti di questo unico centro di imputazione: non viene in rilievo pertanto un problema di qualificazione giuridica del rapporto ma un accertamento fattuale della modalità di svolgimento del rapporto, prestato nei confronti di un unico soggetto;
6.7 al riguardo, è sufficiente richiamare il principio di effettività, che permea il diritto del lavoro e che trova espressione in numerose disposizioni normative (v., ad esempio, gli artt. 27, 29 e 30 del d.lgs. 276 del 2003 e succ. modif.; art. 8 della legge n. 223 del 1991), a cominciare dall’art. 2094 cod. civ.. Si è precisato che la stessa “esigenza di individuare con precisione un unico centro di imputazione cui ricondurre la gestione del singolo rapporto di lavoro, a di là degli schermi societari ovvero di una pluralità di strutture organizzative non aventi una chiara distinzione di ruoli, risponde al dato normativo base dell’art. 2094 cod. civ. che impone di individuare l’interlocutore tipico del lavoratore subordinato nella persona (fisica o giuridica) del “datore di lavoro”, e cioè di chi, di fatto detiene ed esercita i suoi poteri (direttivo e disciplinare) nei confronti della controparte dipendente” (Cass. n. 4274 del 2003 cit.);
6.8 in forza di tale principio deve ritenersi che l’esistenza di titoli giuridici formalmente legittimanti l’utilizzazione da parte di una società dei dipendenti di altra società oppure lo spostamento dei lavoratori da uno all’altro datore di lavoro, non costituisca elemento di per sé ostativo alla configurazione di un’impresa unitaria ove ricorrano indici significativi della unicità della struttura organizzativa e produttiva, dell’integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo in vista di un interesse comune, dell’esistenza di unico centro decisionale che coinvolga anche la gestione del personale o di parti di esso, oppure di una condizione di codatorialità tra gruppi genuini.
6.9 sotto il profilo processuale la ricostruzione qui condivisa esclude in radice la configurabilità di un onere a carico della lavoratrice, di allegazione e prova di un utilizzo promiscuo della prestazione da parte di entrambe le società;
6.10 è ancora da considerare che le società ricorrenti non si confrontano specificamente con l’affermazione del giudice di merito circa la protratta e costante composizione mista degli equipaggi dei voli operati da A.I., accertamento che la Corte ritiene di dover porre a fondamento di una valutazione della situazione aziendale operata nel complesso;
6.11 le osservazioni che precedono rendono priva di pregio la deduzione di violazione e falsa applicazione dell’art. 115 proc. civ., formulata con il primo motivo di ricorso, fondata sull’ avere la Corte di merito posto a base della decisione circostanze di fatto (utilizzazione promiscua della prestazione del singolo lavoratore) non allegate né provate;
6.12 conseguenza ineludibile della configurabilità in concreto di un unico soggetto datoriale è la necessità che la procedura collettiva attivata da M.F. coinvolgesse i lavoratori in organico non solo alla detta società ma anche a A.I., cioè tutti i lavoratori dell’unico complesso aziendale scaturito dalla integrazione delle due società, come viceversa non è avvenuto; la legittimità della limitazione della platea dei licenziandi ai soli dipendenti di M.F. non può essere recuperata, come viceversa sembrano prospettare le società ricorrenti, sulla base della considerazione che le esigenze tecnico- produttive ed organizzative del complesso aziendale per l’individuazione dei lavoratori da licenziare ex art. 5 n. 223/1991 erano in tal senso conducenti in quanto solo nella struttura di M.F., configurata come autonomo ramo di azienda, si erano registrate le condizioni per il ricorso alla procedura collettiva;
6.13 la censura sul punto, per come in concreto formulata dalle società ricorrenti, è inammissibile posto che essa non si confronta specificamente con l’affermazione della Corte distrettuale, configurante autonoma ratio decidendi, secondo la quale le società, sulle quali gravava il relativo onere, non avevano in prime cure svolto deduzioni probatorie in ordine ai presupposti dell’invocata delimitazione della platea dei lavoratori da licenziare al solo organico di M.F. quale, affermato, ramo aziendale distinto da A.I.; le ricorrenti non dimostrano, infatti, mediante trascrizione o esposizione per riassunto degli atti di riferimento ed in particolare delle rispettive memorie di costituzione in primo grado che, al contrario di quanto affermato dalla Corte territoriale, vi era stata specifica allegazione e richiesta di prova delle circostanze che avrebbero, in tesi, giustificato, la limitazione della platea dei licenziandi al solo organico in forze a M.F.; la considerazione che precede assume rilievo dirimente anche rispetto all’ulteriore profilo sottolineato dalla Corte distrettuale e non validamente censurato con il ricorso per cassazione, rappresentato dalla mancata esplicitazione, nella comunicazione ex art. 4, comma 3 In. 223 71991, delle ragioni che avrebbero giustificato la delimitazione del perimetro dei licenziandi ai soli dipendenti formalmente in forze a M.F.;
6.14 è coerente con tale accertamento preliminare la verifica della corretta applicazione dei criteri di cui all’art. 5 I. n. 22371991 , che è stata condotta dalla Corte di appello in applicazione del consolidato principio secondo il quale, di regola, in tema di licenziamento collettivo, la scelta dei lavoratori da licenziare in applicazione dei criteri di legge deve essere fatta nell’ambito dell’intero complesso aziendale, a meno che la riduzione riguardi un reparto determinato, dotato di specifica autonomia e formato da particolari professionalità, non fungibili rispetto a quelle di altri reparti (con onere della prova a carico della parte datoriale delle situazioni che rendono impraticabile la comparazione– v, tra le altre, Cass. 01/08/2017, n. 19105; Cass. 16/09/2016, n. 18190; Cass. 12/01/2015 n. 203; Cass.03/05/2011 9711; Cass. 23/06/2006, n. 14612);
6.15 la ricostruzione fattuale alla base del decisum di secondo grado e le conseguenze giuridiche che ne sono state tratte in termini di necessità di estensione della platea dei lavoratori anche ai formali dipendenti di A.I. non sono incrinate dalle deduzioni formulate con il terzo motivo di ricorso intese a denunziare la violazione di normativa specifica di fonte europea e del codice della navigazione;
6.16 la sentenza non contiene alcuna affermazione in contrasto con le norme richiamate ma si limita a dare atto della concreta esistenza di una forte integrazione e compenetrazione tra le strutture aziendali facenti capo a due soggetti formalmente autonomi; tanto tuttavia non incide sulle prescrizioni relative alle condizioni per il rilascio delle licenze di esercizio, di specifiche certificazioni ecc. di cui alle disposizioni richiamate, le quali operano sul piano, affatto diverso, inerente in definitiva ai presupposti di sicurezza della navigazione aerea; in questa prospettiva le certificazioni ed i titoli abilitativi di cui alle norme menzionate devono necessariamente essere riferiti a soggetti formalmente autonomi ma tanto non esclude che, da un punto di vista fattuale, a tale formale autonomia corrisponda una integrazione delle strutture aziendali che sotto lo specifico profilo che qui viene in rilievo giustifica la estensione della platea dei licenziandi all’intero complesso risultante dalla richiamata integrazione;
6.17 la censura che contesta la valorizzazione dei contratti di wet lease come rivelatrice della ritenuta unitarietà aziendale è inammissibile in quanto l’accertamento della esistenza di un soggetto unitario non è fondata solo sulla valorizzazione di tale dato ma su un complesso di plurimi elementi ritenuti, con valutazione congrua e priva di vizi logici ed in quanto tale sottratta al sindacato di legittimità, dimostrativi della intensità del collegamento tra le società e in definitiva della relativa compenetrazione delle strutture aziendali;
6.18 per ragioni sostanzialmente analoghe deve essere respinto il quarto motivo di ricorso; in primo luogo esso muove dal presupposto, infondato alla stregua di quanto osservato nei paragrafi precedenti, della necessità di prova dell’utilizzo indifferenziato della prestazione della B.M. da parte di entrambe le società; in secondo luogo al di là della formale indicazione in rubrica del vizio denunziato come violazione e falsa applicazione di norme di diritto, le censure articolate non sono incentrate sul significato e sulla portata applicativa delle norme richiamate, come richiesto dallo specifico vizio denunziato (Cass. Sez. Un. 28/10/2020, n. 23745; Cass. 21/08/2020, n. 17570; Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 28/02/ 2012, n. 3010; Cass. 28/11/ 2007, n. 24756; Cass. 31/05/ 2006, n. 12984), ma intese a contestare il significato probatorio degli elementi utilizzati dal giudice di merito nel pervenire all’accertamento della sostanziale unicità del soggetto datoriale e, quindi, la concreta ricognizione della fattispecie sulla base delle risultanze di causa, sollecitando un sindacato precluso al giudice di legittimità;
7. il quinto motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità; non è infatti specificamente censurata la affermazione del giudice di appello, configurante nell’economia della motivazione autonoma ratio decidendi alla base della statuizione che esclude la detraibilità dell’afiunde perceptum e percipiendum, rappresentata dalla rilevata carenza di specifica deduzione fattuale a riguardo nella memoria difensiva di primo grado delle odierne ricorrenti; né la rilevata carenza allegatoria può essere superata, come sembrano prospettare le società ricorrenti, dalla necessità di verifica di ufficio dell’aliunde perceptum e dell’aliunde percipiendum, imposta dal testo novellato dell’art. 18, comma 4, n. 300/1970, in quanto da esso si desume solo che tale verifica non è condizionata da una specifica eccezione in tal senso della parte datoriale ma non anche che questa sia esonerata dall’onere di allegazione delle circostanze fattuali che consentano di ritenere la percezione medio tempore di redditi da lavoro da parte del dipendente;
parimenti inammissibili sono le deduzioni relative alle richieste istruttorie a riguardo formulate nella memoria di costituzione ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. in quanto parte ricorrente non chiarisce se ed in che termini tali richieste sono state coltivate in secondo grado; analogo difetto di autosufficienza si rileva in relazione alla deduzione relativa all’offerta lavorativa formulata alla B.M. posto che parte ricorrente omette la esposizione della vicenda processuale destinata a chiarire se ed in che termini la circostanza era stata allegata e provata nelle fasi del giudizio di merito e le deduzioni difensive a riguardo articolate dalle parti;
8. in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto;
9. le spese sono liquidate secondo soccombenza;
10. ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle società ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrentte dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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