Corte di Cassazione ordinanza n. 29253 depositata il 7 ottobre 2022

proventi illeciti

Rilevato che:

1. L’Agenzia delle Entrate notificò a C.M. avviso d’accertamento relativo all’Irpef di cui all’anno d’imposta 2003, con il quale imputava al contribuente, socio detentore del 70 per cento del capitale sociale della S.O. S.r.l., il reddito derivante dalla presunzione della distribuzione pro quota dei maggiori utili occulti realizzati dalla predetta società di capitali, da considerarsi a ristretta base sociale, essendo titolare della restante quota del trenta per cento la coniuge del contribuente.

Avverso l’atto impositivo il contribuente ha presentato ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che lo ha accolto, ritenendo nullo l’avviso d’accertamento emesso a monte nei confronti Contro tale decisione l’Agenzia ha proposto appello, che l’adita Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza di cui all’ epigrafe, ha rigettato.

La CTR ha infatti ritenuto che fosse stata superata la presunzione dell’ avvenuta distribuzione degli utili extracontabili al socio contribuente, atteso che dagli atti del relativo procedimento penale a carico del contribuente e di terzi, era emerso che le fatture emesse e non contabilizzate dalla s.r.l. a ristretta base sociale – che secondo l’Ufficio integravano la provvista dei ricavi sociali occulti che sarebbero stati successivamente distribuiti in nero ai soci- erano false, nel senso che il loro importo corrispondeva piuttosto al ricavo tratto da operazioni illecite, che la relativa documentazione contabile era finalizzata a mascherare.

L’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.

Il contribuente è rimasto intimato.

Il Procuratore generale ha concluso per iscritto, chiedendo l’accoglimento del primo motivo, con assorbimento del secondo, e la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

Considerato che: 

1. Con il primo motivo l’Ufficio denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 81 ed 1 d.P.R. n. 917 del 1986; dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, anche con riferimento all’art. 53 Cost.; e degli artt. 2697 e 2727 cod. civ.

Assume infatti l’Ufficio che è pacifico ( per averlo accertato la stessa sentenza impugnata, sulla scorta degli atti del procedimento penale nei confronti del contribuente e di altri imputati) che le fatture emesse, e non contabilizzate, dalla s.r.l. a ristretta base sociale corrispondevano ad importi ricavati da operazioni illecite, che la fatturazione era finalizzata a mascherare quali proventi leciti. Aggiunge la ricorrente che da una serie di atti istruttori (per autosufficienza richiamati, localizzati quanto alla loro produzione in giudizio ed in parte riprodotti nel ricorso) provenienti dal procedimento penale in questione, ed in particolare dalle dichiarazioni dello stesso Cartei, risultava che quest’ultimo aveva ricevuto le somme oggetto delle fatture in questione, trattenendone una parte e ritrasferendone altra parte a terzi, nell’ambito di un accordo illecito penalmente rilevante.

Tali circostanze, deduce quindi la ricorrente, non escludevano, ma anzi confermavano, sia la sussistenza dei ricavi societari in questione; sia la loro distribuzione occulta ai soci, ed in particolare al Cartei, che ne era entrato in possesso, a prescindere dalla successiva destinazione che egli abbia dato ai relativi importi, redistribuendoli, o meno, in parte a terzi complici; sia la loro assoggettabilità ad imposizione, essendo imponibile anche la ricchezza derivante da fatto generatore illecito.

2. Con il secondo motivo l’Ufficio denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 39, primo comma, d), d.P.R. n. 600 del 1973, anche con riferimento all’art. 53 Cost..

Deduce l’Amministrazione che la ratio decidendi espressa dalla CTR, escludendo l’esistenza di utili occulti realizzati dalla società a ristretta base societaria, e quindi la stessa presunzione della loro distribuzione, in ragione dell’accertamento in fatto della natura illecita della loro fonte, ha implicitamente, ma necessariamente, disatteso la tesi accolta dalla CTP, secondo cui la pretesa nullità dell’accertamento societario, che sarebbe stato emesso nei confronti della s.r.l. a ristretta base sociale , estinta e cancellata dal registro delle imprese, avrebbe dato luogo all’invalidità derivata anche dell’accertamento nei confronti del socio.

3. I due motivi, per la loro connessione, vanno trattati congiuntamente e sono fondati.

Invero, deve concordarsi con la ricorrente allorquando deduce, nel secondo motivo, che la ratio decidendi sulla quale si fonda la sentenza impugnata prescinde totalmente dall’ipotetica invalidità derivata dell’avviso d’accertamento nei confronti del socio, che anzi implicitamente, ma necessariamente, esclude, argomentando, nel merito, il rigetto dell’appello erariale con il ritenuto superamento della presunzione di distribuzione occulta dei ricavi extracontabili. Inoltre, come comunque questa Corte ha già avuto modo di chiarire, in tema di contenzioso tributario, finanche la sentenza, passata in giudicato, di annullamento dell’atto impositivo nei confronti di società a ristretta base sociale, se fondata su motivi di rito (nella specie: l’estinzione della società), non fa stato nei confronti dei soci, mancando un accertamento inconfutabile sull’inesistenza dei ricavi non contabilizzati e della relativa pretesa fiscale (Cass. 22/04/2021, n. 10723). Nel caso di specie (nel quale neppure risulta dedotto ed allegato tale annullamento giudiziale dell’accertamento societario per l’estinzione della s.r.l. o per altra ragione) non sussisteva pertanto alcuna invalidità derivata dell’accertamento nei confronti del socio.

3.1 Quanto poi all’incontestata natura illecita dei ricavi non dichiarati dalla società a ristretta base sociale, da presumere distribuiti al contribuente (che era socio nella misura del settanta per cento, insieme alla coniuge, titolare della restante quota), deve concordarsi con quanto dedotto dalla ricorrente nel primo motivo circa l’assoggettabilità all’imposizione. Infatti, in tema di imposte sui redditi, i proventi derivanti da fatti illeciti, rientranti nelle categorie reddituali di cui all’art. 6, comma 1, del P.R. n. 917 del 1986, devono essere assoggettati a tassazione anche se il contribuente è stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati o se in capo all’autore del reato sussisteva l’intenzione di non trattenere le ricchezze percepite nel proprio patrimonio ma di riversarle a terzi (Cass. 22/09/2021, n. 25684; conforme, ex plurimis, Cass. 05/06/2000, n. 7511; Cass. 24/10/2019, n. 27357).

Pertanto, la circostanza che i ricavi in questione, non contabilizzati e dichiarati dalla società, provenissero da fatto illecito (del quale era peraltro coautore lo stesso socio contribuente, secondo le dichiarazioni rese dallo stesso e richiamate e riprodotte nel ricorso), così come il fatto che il medesimo socio abbia , o meno, trattenuto solo parte della propria quota dei relativi utili illeciti ed occulti, girandone in ipotesi altra parte a terzi, non escludono, in capo al contribuente, il possesso del relativo reddito imponibile, in misura quanto meno corrispondente alla sua partecipazione al capitale della società a ristretta base sociale.

La ridetta presunzione, pertanto, non può ritenersi superata in ragione della fonte illecita dei proventi ricavati ed occultamente distribuiti.

All’accoglimento del ricorso consegue il rinvio al giudice a quo per l’applicazione degli illustrati principi di diritto e per ogni questione rimasta assorbita.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.